lunedì 23 marzo 2015

Boomstick Award – Edizione 2015

E fu così che sbarcò anche su "Obsploitation" l'ambito "BOOMstick Award”, ideato da HellGraeco (aka Hell), padre biologico del blog Book and Negative. Credo che mai prima d’ora scrivere un post sia stato così facile e rapido, visto che tutto quello che leggerete oggi non è altro che uno spudorato copia e incolla del post uscito solo pochi giorni fa su Obsidian Mirror... Quello che cambia è solo il nome dei premiati, che trovate più in basso...
Eccoci quindi qua. Che dire questa volta? Sono commosso! Commosso e... scisso. Scisso perché c'è un buon 99% di me che rifugge sistematicamente da premi e premietti di ogni specie. Per il Bookstick però di solito faccio un eccezione, se non altro perché, tra i tanti che “infestano” la rete, mi permette di cavarmela senza metterci troppo impegno. Il premio, per la cronaca e per i posteri, mi è stato assegnato nei giorni scorsi da Miki del blog Moz o'clock, un blog cinico, sessista, classista e di sicuro qualcos'altro che al momento non mi sovviene. Le motivazioni? Miki, nel suo post, ha dichiarato di aver voluto premiare il sottoscritto perché, rispetto a Obsidian Mirror, “è più... underground e tiene molto conto di produzioni cult italiane. Per appassionati, ma anche per appassionarsi.". Tutto chiaro? Bene.
L’ennesimo meme, vi chiederete? Volendo ben guardare è proprio così: trattasi di uno di quegli ormai temutissimi meme, che di tanto in tanto si fanno largo, incontrollati, nella rete. Ci sono però, come accennavo sopra, alcuni aspetti positivi che distinguono questo “award” dai propri simili: 1) non viene richiesta risposta ad una serie interminabile di domande, 2) non viene richiesta l’elaborazione di ulteriori quesiti per i successivi malcapitati, 3) l’assegnazione dell’award è un puro e semplice riconoscimento per l’attività del “vicino di casa”, il che di conseguenza fa in modo che 4) non si scatenino lunghi e interminabili “meme di ritorno”, usati sadicamente come ritorsione nei confronti dei cosiddetti “untori”.

lunedì 16 marzo 2015

Circuito chiuso

Ci sono dei momenti della propria vita che, per qualche ragione indecifrabile, rimangono impressi più di altri nella memoria. A volte sono dei ricordi ben precisi: un compleanno, una giornata al mare, un esame superato. Altre volte sono solo delle immagini decontestualizzate: un volto, un oggetto, un odore, un dolore. Ma altre volte ancora non sono che dei suoni: la canzone che ha fatto da colonna sonora ad un avvenimento importante o ad un particolare periodo della propria vita. Immagini e suoni talvolta si fondono, talvolta si intrecciano, talvolta si sovrappongo. Al punto che ci chiediamo spesso se quello che ricordiamo sia davvero avvenuto o non sia magari solo quello che crediamo (o desideriamo) sia avvenuto.
Prendete una vostra fotografia, una di quelle che vi hanno scattato quando eravate piccoli, una di quelle che negli anni avete guardato un milione di volte. Vi avranno senz’altro raccontato mille particolari del giorno in cui quella foto è stata scattata: vi avranno indicato il giorno, il luogo, il nome di eventuali presenti. Quante di queste informazioni appartengono in realtà ai vostri ricordi? E quante invece sono elaborazioni di quello che vi è stato raccontato? Se in quella foto dimostrate meno di 3 anni, probabilmente sono solo ricordi di altri. Non c’è modo infatti di ripescare nella propria memoria delle immagini che risalgono a quell’età. Perlomeno, io non ne sono capace. Ma c’è una fase successiva, che va di solito dai 3 ai 10 anni, in cui i nostri ricordi iniziano a mescolarsi con quelli degli altri creando scenari che, seppur molto vicini alla realtà, in realtà non sono che ricostruzioni più o meno fedeli di avvenimenti accaduti.
Tutto questo è particolarmente vero per chi, come me, ha vissuto la propria fanciullezza negli anni Settanta del secolo scorso. Quelli che hanno i ricordi in bianco e nero, così come in bianco e nero erano le fotografie dell’epoca. Quanti di quei ricordi sono reali? Forse sono solo delle elaborazioni: si osserva una fotografia e, come in un sogno lucido, se ne sviluppano i contorni.