tag:blogger.com,1999:blog-41420036977188957312024-03-13T11:02:29.628+01:00ObsploitationObsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.comBlogger33125tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-88044455550182313542015-12-18T00:00:00.000+01:002019-05-09T14:37:01.782+02:00La commedia è finita<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinTSnv_sByuOEIr6-IQdB3z4EWgOGqVfqxfVEVZDmqjOFbxebO8nBy-ytnHIkcRl-vzvhpRbdcOPgW7lHQyTLfURO9eJpcEw9tQ3elXPQsBQH1a0Kv6NdJ_NDy-XzswX-0eYrs_-ctN-87/s1600/pagliacci.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinTSnv_sByuOEIr6-IQdB3z4EWgOGqVfqxfVEVZDmqjOFbxebO8nBy-ytnHIkcRl-vzvhpRbdcOPgW7lHQyTLfURO9eJpcEw9tQ3elXPQsBQH1a0Kv6NdJ_NDy-XzswX-0eYrs_-ctN-87/s400/pagliacci.JPG" width="297" /></a></div>
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Da tempo era ormai nell'aria. Lo si capiva da tante cose. La mia prolungata assenza da questo blog è solo una di quelle. C'è in realtà una sorta di disagio che ancora adesso faccio fatica a spiegarmi, ma che non posso continuare a ignorare. </div>
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Un disagio che inizia la mattina presto quando, immerso nel traffico della Vigevanese, il solito traffico inesorabilmente lento, neanche fosse un film cecoslovacco con i sottotitoli in tedesco, mi ritrovo a
buttare l'occhio sullo smartphone, alla ricerca dei nuovi emozionanti articoli
pubblicati in giro per gli altri blog, articoli che mi riprometto di leggere al
più presto, pur conscio che quel "presto" non potrà realizzarsi, forse, se non dopo una decina di ore. </div>
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Il tempo, ecco, forse è quello il problema. Ma nemmeno posso sempre addebitare al tempo le responsabilità che mi appartengono. Il problema è forse più vasto. La voglia, la stanchezza, la pressione continua a cui vengo sottoposto dal momento in cui apro gli occhi al momento in cui li richiudo.</div>
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Quando ho aperto questo blog un po' già lo sapevo che sarebbe stata un'avventura difficile. In quel <a href="http://obsploitation.blogspot.it/2014/01/obsploitation-has-landed.html" target="_blank">primo post</a>, risalente a quasi due anni fa, scrissi che <i>Obsploitation </i>sarebbe rimasto un blog di nicchia, subordinato a quello principale; scrissi che <i>Obsploitation </i>non avrebbe sottratto spazio alcuno a <i>Obsidian Mirror</i>, così come non gli avrebbe rubato del tempo. Non avevo però fatto i conti con tutto il resto.<br />
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E tutto il resto è venuto presto a galla con il tempo. Continuare a portare avanti un blog non è affatto semplice (figuriamoci due), ma questo lo sapevo fin dall'inizio. Per due lunghi anni ci ho provato, per due lunghi anni non ho fatto altro che prendermi per il culo da solo, sebbene sapessi perfettamente che ci sarebbe voluto ben altro affinché questo sgangherato aeroplanino riuscisse a decollare.<br />
Le potenzialità di crescita ci sarebbero anche state, per carità, ma il problema di questo aereo è sempre stato nel pilota, che non ha mai saputo trovare dentro di sé le giuste motivazioni.<br />
E così è successo che, con il trascorrere dei mesi, tutto questo mondo ha iniziato a diventare un peso insopportabile. Mi guardo allo specchio e guardo un blogger stanco, un blogger che ha bisogno di respirare, un blogger che ha bisogno di togliere i propri piedi da questa palude. E deve farlo prima di venirne inghiottito.<br />
Per mantenere un blog occorre impegno e spirito di sacrificio; occorre molto di più del semplice gesto di accendere il computer e mettersi a picchiettare di getto sulla tastiera come sto facendo ora.<br />
Per mantenere un blog occorre però innanzitutto il rispetto: occorre rispetto nei confronti del tempo che si sta rubando ad altre attività, occorre rispetto nei confronti delle persone alle quali si sta rubando la propria disponibilità; in effetti, occorre rispetto soprattutto nei confronti di coloro a cui ci si rivolge.<br />
Nel mio caso occorre rispetto nei confronti di tutti quei lettori, fissi e occasionali, che continuano a venire a leggere <i>Obsploitation </i>nonostante tutto.<br />
Per tutto questo, e per molto altro ancora, credo che non abbia praticamente alcun senso continuare. Seppur con le mani tremanti, che mi costringono a dover correggere di continuo i refusi, è giunto il momento di scrivere la parola FINE.<br />
<b>Obsploitation chiude.</b><br />
Obsploitation chiude affinché Obsidian Mirror possa sopravvivere.<br />
Grazie a tutti per avermi sopportato.<br />
Un forte abbraccio.</div>
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<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/bbTWJTK2oCs/0.jpg" frameborder="0" height="400" src="https://www.youtube.com/embed/bbTWJTK2oCs?feature=player_embedded" width="600"></iframe></div>
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Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com16tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-82315068149047262022015-10-31T10:58:00.000+01:002015-10-31T10:58:52.739+01:00In un mondo di cannibali...<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-ObuL3VjeBiwCuLQpxVSLbkpF2kKOWJzmMzc-TshTvSpjq8bV0ln4gPVwPt07D_N9ElCUk2w6F7S6H5Lgai3Mic8x_LFkEvqVTAqZTQWDFrJhxLArMJVRqIxFHDauOgOCaT6JjRp8b_VZ/s1600/greeninferno.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-ObuL3VjeBiwCuLQpxVSLbkpF2kKOWJzmMzc-TshTvSpjq8bV0ln4gPVwPt07D_N9ElCUk2w6F7S6H5Lgai3Mic8x_LFkEvqVTAqZTQWDFrJhxLArMJVRqIxFHDauOgOCaT6JjRp8b_VZ/s400/greeninferno.jpg" width="270" /></a></div>
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Sono già passate sei settimane dall'ultima volta che ho aggiornato questo blog? Sembra quasi incredibile. Il tempo passa a volte così velocemente, tra mille impegni e mille scadenze da rispettare, che quasi Obsploitation mi sfugge dalle mani. </div>
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Per fortuna, di tanto in tanto saltano fuori alcune iniziative interessanti che mi permettono di mettere una pezza a tutte le mie magagne. E questa volta una pezza proviene da Ximi di Blogghidee, che ha lanciato la proposta "Guest Blogger per un giorno" nel suo piccolo circolino Google Plus al quale mi capita accidentalmente di appartenere.</div>
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In buona sostanza, si tratta di scrivere un articolo e regalarlo ad un altro blogger. Niente di complicato e niente che probabilmente avrebbe avuto la necessità di venire spiegato. L'unico paletto è quello di rispettare lo stile del blog ospitante, a livello di contenuti e di tutto ciò che fa contorno.</div>
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Oggi è il mio turno di ospitare un collega blogger, al quale cedo volentieri l'incombenza di riempire lo spazio bianco qui sotto. Il mio ospite si chiama Giuliano ed è l'amministratore del blog <a href="https://leterredegliantichidei.wordpress.com/" target="_blank">"Le terre degli antichi dei"</a>, uno spazio virtuale dove si respira aria di mondi lontani nel tempo e nello spazio, luoghi popolati da creature credibili e incredibili tra guerrieri, maghi e streghe, luoghi illuminati dai riflessi argentei di due lune. Ma a questo punto direi che non è più il caso di cincischiare e cedo la parola a Giuliano, che si è voluto dilettare in un sano articolo cannibalico!</div>
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Il cinema hollywoodiano non si nasconde, quando trova idee per nuovi film, che siano del sol levante, della vecchia Europa o film auto-prodotti ne prende a mani basse. Se ne ciba. Proprio così. Cannibalizza registi e autori, li fagocita per poi metabolizzarne la poetica e, dopo una breve digestione, sforna un bel regalino. Proprio come fanno certi cagnolini e tu stai lì e ti domandi: ma quanto cazzo magna sto microbo? A parte gli scherzi, nella stragrande maggioranza delle operazione il risultato sarà sempre un bel film hollywoodiano, alcuni saranno campioni di incassi, altri flop paurosi, qualcuno addirittura un cult!
È uscito nelle nostre sale "The Green Inferno" di Eli Roth, film horror cruento che si rifà più o meno esplicitamente alla “Trilogia dei cannibali” di Ruggero Deodato. Ho preso spunto da "The Green Inferno" e da quel che ho potuto vedere nel trailer per una piccola riflessione (non l'ho ancora visto e non è mia intenzione recensirlo). </div>
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Ok, se non vi siete ancora annoiati, vorrei farvi notare che quando si parla di Deodato, e con lui di Lenzi, Fulci, Bava, Argento, eccetera stiamo parlando di un gruppo di registi attivi, principalmente, tra gli anni 60' e gli anni 80'. Ed ho voluto tralasciare volutamente il grande Sergio Leone (se vi piace il mio post, ne parleremo un'altra volta). Tornando ai primi autori e registi citati si può dire, almeno lo dico io, che 50 anni fa è stato il periodo in cui hanno dato i loro massimi risultati. Certo parliamo di film di genere, produzioni non sempre eccelse, ma stiamo parlando di registi e autori che mettevano inventiva e, soprattutto, osavano.
Cito testualmente dalla pagina di wikipedia di <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Ruggero_Deodato" target="_blank">Ruggero Deodato</a>:
<i>“Cannibal Holocaust, considerato il capolavoro di Deodato nonché uno dei film più scioccanti e violenti della storia del cinema è costato al regista 4 mesi di carcere per le sue uccisioni di animali in diretta. Inoltre vanta di essere il primo film horror ad usare la tecnica del falso documentario anticipando di molti anni film come The Blair Witch Project e Il cameraman e l'assassino.".</i></div>
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Sarà per questo che generazioni di registi e autori di fama mondiale si rifanno spesso e citano ancor di più le nostre vecchie generazioni di registi. Stiamo parlando di <b>Tarantino</b>, <b>Rodriguez</b>, <b>Roth </b>e...facciamo un giochino, vedete se ne trovate altri anche voi ;)
Tutto questo per dire cosa? Beh sempre giocando, se andiamo a vedere tra i nostri autori e registi odierni quanti seguono le impronte dei loro predecessori? Non sto parlando di talento. Sto parlando sempre di “inventiva” e di “osare”.
Ok non sono un critico, non sono un giornalista e non mi interessa di recensire film. Parlo da spettatore. Da cinefilo. O almeno da una che guarda i film per passare qualche ora non pensando al mondo che gira fuori dalla mia finestra.
Perché questo post allora? Perché il cinema ha poco più di un secolo. E da sempre i registi e gli autori si cannibalizzano a vicenda. Più o meno volontariamente. Perché in fondo ogni regista e ogni autore è al tempo stesso spettatore, se un'idea, un'inquadratura, una storia gli piace cercherà di farla sua, di metabolizzarla, di fare altrettanto bene o meglio. Di superare il proprio maestro.
Forse il mio sarà un discorso ovvio, forse sì. Ma se il cinema hollywoodiano continua a sfornare remake più o meno espliciti, forse il discorso non è poi così banale!</div>
Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com12tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-79182136068117394762015-09-18T10:00:00.000+02:002015-09-18T10:00:00.684+02:00Play Motel<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg22xpWjM5fy9dI388-DfYhxys1SfA6zV0QyB7a9w9g5t8bFfntrzX4N4Ao-aiS8yHdV-KP44NQf3_umg6_gZV6zB6LFgjJCH3o9IsGRrzuUs99X2_6JUnNwHRArD0PybLxxLeubi96acCV/s1600/Play_Motel_1979.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg22xpWjM5fy9dI388-DfYhxys1SfA6zV0QyB7a9w9g5t8bFfntrzX4N4Ao-aiS8yHdV-KP44NQf3_umg6_gZV6zB6LFgjJCH3o9IsGRrzuUs99X2_6JUnNwHRArD0PybLxxLeubi96acCV/s400/Play_Motel_1979.jpg" width="290" /></a></div>
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Scrivere un articolo su “<i>Play Motel</i>”, lungometraggio girato nel 1979 dal semisconosciuto regista biellese <b>Mario Gariazzo</b>, non è cosa semplice. Innanzitutto ne è difficile la catalogazione: potrebbe essere un giallo all’italiana con delle sfumature softcore, spesso confinanti nell’hard, oppure un semplice crime-movie demenziale sfociante nel grottesco. In qualunque modo la vogliamo guardare, questa pellicola prende e mette insieme il peggio dei vari generi a cui s’ispira ma, per quello strano fenomeno che mai capiremo, qualcuno è riuscito pure a elevarla a livello di cult, pur se limitatamente alla scena trash. Per “<i>Play Motel</i>” Gariazzo dispone di una squadra con due punte d’eccezione: una venticinquenne <b>Anna Maria Rizzoli</b>, all’apice del suo splendore, e il leggendario <b>Ray Lovelock</b>, indiscusso protagonista del poliziottesco italiano di quegli anni. Poteva il nostro buon Mario Gariazzo, con siffatto biglietto da visita, scaraventare nel cesso un’occasione dalle potenzialità così evidenti? Ebbene sì, tutto ad un certo punto finì nel cesso. Ma fu non certo colpa sua.<br />
Alla fine degli anni Settanta il cinema italiano stava ormai raschiando il barile in tutti i suoi generi più acclamati all’estero: il giallo all’italiana era ormai stato mostrato in tutte le sue salse e l’erotic-horror aveva già sparato quasi tutte le sue cartucce per mano del solito <b>Joe D’Amato</b>. In ogni caso, le due cose messe assieme non generarono mai nulla di buono e “Play Motel” ne fu la definitiva conferma.
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<a name='more'></a>In un cinema italiano ormai alla canna del gas, di fronte ad un pubblico ormai palesemente orientato verso un erotismo sempre più esplicito, i produttori cercavano di virare la loro offerta sulla morbosità del nome di grido inserito in un contesto a luci rosse. In uno scenario del genere furono centinaia, se non migliaia, le pellicole massacrate a posteriori da inserti hard non previsti dal copione originale e uno di questi, come avrete indovinato, fu proprio “<i>Play Motel</i>”. Mentre Gariazzo dirigeva Lovelock e la Rizzoli, convinto di avere tra le mani la possibilità di realizzare un giallo in stile <b>Dario Argento</b> (indiscutibili alcuni omaggi a “<i>Profondo Rosso</i>” inseriti dal regista piemontese nel girato originale), la produzione, in gran segreto, stava già lavorando agli inserti hard da inserire nella versione definitiva.<br />
Altrove, infatti, un terzo nome “di grido” stava già girando le sue parti davanti a una diversa cinepresa: era la discussa attrice e modella svedese <b>Marina Hedman Bellis</b>, meglio conosciuta con il nome d’arte di <b>Marina Lotar</b> (o se preferite <b>Marina Frajese</b>), una delle più controverse stelle del firmamento porno anni Ottanta.
Quando la faccenda venne infine alla luce gran parte del cast ufficiale, tra cui Ray Lovelock, Anna Maria Rizzoli e lo stesso regista Mario Gariazzo, fece le valige e se ne andò sbattendo la porta, abbandonando il film al suo destino. Nulla di grave, perlomeno dal punto di vista degli imperturbabili produttori: il film uscì infine nelle sale e, perlomeno nella versione che è giunta sino a noi, il primo quarto d’ora è infatti totalmente appannaggio di Marina Lotar, alla quale viene semplicemente richiesto di fare ciò che la prorompente svedesona meglio sa fare. Tutto quello che rimane del lavoro di Gariazzo è una specie di “<i>giallo pallido</i>” all’italiana nel quale, di tanto in tanto, uno svogliato omicidio spezza l’inesauribile catena di amplessi, il più delle volte superflui se non ai fini di estendere il minutaggio e renderlo compatibile con la distribuzione. Peccato perché la trama gialla, se fosse stata meglio sfruttata, poteva davvero portare a qualche risultato interessante.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjL_kTJedAa-zUaMz-aU94sM8K1jus_w3jF2Y3SKx-Z4F0Rl6RH05fU9e4_a85akM7460KLmiLceX1Ce3LDzXQfyn6bRc7ztCv343qtotnPqhhHUfxpwNiRXBAXsloSpQP2e7S8sJYq1oBR/s1600/play-motel.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjL_kTJedAa-zUaMz-aU94sM8K1jus_w3jF2Y3SKx-Z4F0Rl6RH05fU9e4_a85akM7460KLmiLceX1Ce3LDzXQfyn6bRc7ztCv343qtotnPqhhHUfxpwNiRXBAXsloSpQP2e7S8sJYq1oBR/s1600/play-motel.jpg" /></a></div>
Siamo a Roma, in un motel appena fuori città dove facoltosi uomini d’affari sfogano i loro appetiti sessuali (e le loro fantasie più sfrenate) con procaci ragazze disponibili a concedersi per denaro. In questo esclusivissimo angolo di piacere tutti gli ospiti, chi prima chi dopo, finiscono nella trappola tesa da individui senza scrupoli che scattano immagini compromettenti alle coppie occasionali. Stiamo parlando di un giro di ricatti a causa dei quali uomini e donne finiscono per perdere non solo la rispettabilità, ma anche la vita per mano di un misterioso omicida. Chi si occuperà di indagare su quanto sta avvenendo? La polizia? Certo che no. Sarà una coppia di amanti, Patrizia (Anna Maria Rizzoli) e Roberto (Ray Lovelock) che, dopo aver trascorso qualche ora di intimità in una stanza del “<i>Play Motel</i>”, si troverà suo malgrado coinvolta nella vicenda. Nella necessità di far sparire un cadavere, il misterioso assassino ritiene infatti un’ottima idea quella di nasconderlo nell’auto della coppia la quale, dopo essersi allontanata dal motel, finirà per fare la macabra scoperta.<br />
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Ed è qui che entra in gioco lo strano meccanismo che fa sì che la polizia, anziché occuparsi in prima persona della vicenda, coinvolge i due poveretti in una situazione a dir poco surreale. Di fatto saranno i due, con appostamenti e quant’altro, a dipanare il mistero.
In particolare, Patrizia verrà incaricata di contattare il presunto fotografo della banda di ricattatori, che la costringerà ad un’estenuante (e non troppo sofferta) sessione di nudo, e poi le verrà chiesto di penetrare nel motel di nascosto e ottenere le prove necessarie ad incriminare i ricattatori. Vien da chiedersi come mai la polizia non si occupi direttamente delle indagini: forse non esistono donne poliziotto adatte a missioni così rischiose? Ci si chiede anche come mai Roberto e Patrizia non mandino subito a quel paese il commissario De Santis (<b>Anthony Steffen</b>) e le sue richieste assurde, e si mettano a giocare agli investigatori dilettanti con tutti i rischi che ne conseguono. Lungi dal preoccuparsi seriamente per la sua incolumità, quando la ragazza si troverà in serio pericolo De Santis e lo stesso Roberto si mostreranno preoccupati solo che Patrizia non mandi a monte l’operazione.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5lzlykBEcJY6ZvhLrG9j4GTcarLtLzEkugM4b6nx_mZusOGam3ojsa86xlqcsHlNss3NXt0YaJMvbMbkvBbEu9ZDHSskE4ImQYpvePzP8QUAHawfUlq47FW8MiwrWcUrERA3d0sCirJ_y/s1600/play-motel+2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5lzlykBEcJY6ZvhLrG9j4GTcarLtLzEkugM4b6nx_mZusOGam3ojsa86xlqcsHlNss3NXt0YaJMvbMbkvBbEu9ZDHSskE4ImQYpvePzP8QUAHawfUlq47FW8MiwrWcUrERA3d0sCirJ_y/s1600/play-motel+2.jpg" /></a></div>
Ma questa disinvoltura di fondo, devo dire, sembra un classico di questo tipo di produzioni, in cui spesso gli agenti polizia si limitano a fare congetture e regalare perle di saggezza senza combinare granché, attivando poi alla soluzione del crimine grazie a un intervento esterno, o comunque più per un caso fortuito che per la loro abilità di investigatori.<br />
Un giallo ambientato nel mondo della prostituzione? Di primo acchito sembrerebbe interessante e, probabilmente, nella mente di Mario Gariazzo questo film interessante lo era veramente. E invece no.<br />
Quando sembra che la vicenda stia per prendere una piega diversa, che stia per offrire un minimo brivido o un po’ di suspense, ecco che arriva inesorabile la scena di sesso che azzera e appiattisce tutto. Un vero peccato, ripeto, perché i presupposti per un bel giallo c’erano tutti. Alla fine, in tutto questo disastro, ci solo però alcune cose da salvare. Prima tra tutte quella sequenza menzionata prima in cui una superba <b>Anna Maria Rizzoli</b>, per meglio supportare la sua parte di infiltrata della polizia, offre all’obiettivo di un fotografo una serie di scatti davvero memorabili. In secondo luogo le numerose e probabilmente involontarie situazioni al limite del grottesco che, nonostante tutto, riescono a strappare ben più di un sorriso: il commissario De Santis, tanto per dirne una, risale all’identità di una delle tante accompagnatrici attraverso la consultazione dell’archivio di pubblicazioni pornografiche della polizia. Chi avrebbe mai detto che la polizia tenesse un archivio di riviste porno nei propri uffici?! Geniale!!
Tutto il resto è poco o nulla. Si salvano dal disastro anche la stupenda fotografia di <b>Aldo Greci</b>, un po’ sbiadita nella versione tv-rip da me visionata, e la superba colonna sonora di <b>Ubaldo Continiello</b> che ancora oggi, a una settimana di distanza dalla visione di "<i>Play Motel</i>", continua a risuonarmi nel cervello.</div>
Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com15tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-37373254958851037762015-09-01T23:00:00.000+02:002015-09-08T21:21:38.731+02:00Quella villa accanto al cimitero<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8vXiNyff8QWOAfvSegcFgAGYGu85oDBxrwPHuL8elZxff8tUcBy5HDQoJRS75M8d1GsyUriGNAtu83hSzy-V4W7tD1nQO3Zfxd_XYnMmS0yYKGI3H0ai5SR_FCe67SfLLXjyypOhtUZz7/s1600/quellavillaaccantoalcimiterocover.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8vXiNyff8QWOAfvSegcFgAGYGu85oDBxrwPHuL8elZxff8tUcBy5HDQoJRS75M8d1GsyUriGNAtu83hSzy-V4W7tD1nQO3Zfxd_XYnMmS0yYKGI3H0ai5SR_FCe67SfLLXjyypOhtUZz7/s400/quellavillaaccantoalcimiterocover.PNG" width="287" /></a></div>
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Quando un paio di mesi fa la solita combriccola di cinefili ha pensato di riproporre, anche questa estate, il crossover "Notte Horror", non ho potuto esimermi dal partecipare. D'altra parte come avrei potuto? Non ho mai fatto mistero del fatto che l'horror sia una delle mie passioni e, visto che questo blog ha sempre bisogno di nuovi stimoli per trascinarsi avanti, quale migliore occasione se non aderire a un'iniziativa tra bloggers? Eccoci quindi qua anche quest'anno a presentare un Lucio Fulci d'annata. E quando scrivo "anche quest'anno" mi riferisco al fatto che esattamente un anno fa Obsploitation aderiva alla scorsa edizione di "Notte Horror" con ben due omaggi al grande maestro del gore italiano: <a href="http://obsploitation.blogspot.it/2014/07/sette-note-in-nero.html" target="_blank"><i><b>Sette note in nero</b></i></a> (1977) e <a href="http://obsploitation.blogspot.it/2014/09/una-lucertola-con-la-pelle-di-donna.html" target="_blank"><i><b>Una lucertola con la pelle di donna</b></i></a> (1971). Se è vero che non c'è due senza tre, allora ecco servito il terzo omaggio, questa volta un vero gore come Dio comanda: <i>Quella villa accanto al cimitero</i> (1981), a sua volta terzo capitolo di una trilogia nota come "Trilogia della morte" o, secondo altre versioni, "Trilogia dei cancelli". Gli altri due film di tale trilogia, tutti girati nel giro di pochi mesi, sono <i>Paura nella città dei morti viventi</i> (1980) e <i>...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà</i> (1981), dei quali non escludo di riuscire a parlare uno di questi giorni, magari la prossima estate, nel caso la suddetta combriccola dovesse ripetere l'iniziativa.<br />
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In realtà, se devo raccontarla giusta, non ricordavo di aver recensito Fulci lo scorso anno proprio in quell'occasione... la mia scelta di oggi è praticamente dovuta al caso. Ho gettato la mano nel mucchio, ovvero nella parete di DVD horror che ormai mi sta fagocitando la casa e, tenendo gli occhi chiusi, ho pescato <i>Quella villa accanto al cimitero. </i>Ricordavo di averlo visto secoli addietro e, sebbene non ricordassi praticamente nulla della trama, ne avevo conservato una piacevole sensazione, motivo per il quale questo DVD non è finito, sorte toccata a molti altri, nel pentolone della roba da vendere per pochi spiccioli a quel tizio del mercatino. Non mi sbagliavo: <i>Quella villa accanto al cimitero </i>è davvero un gran bel film! </div>
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Non voglio arrivare al punto di definirlo un capolavoro ma, cavolo, questo è un film che mantiene esattamente ciò che promette, senza tanti giri di parole e senza troppi cervellotici e improbabili fronzoli. <i>Quella villa accanto al cimitero</i> è formidabile forse proprio per la sua semplicità, per il suo non voler emergere dalla massa di pellicole pretenziose che in quegli anni si moltiplicavano a vista d'occhio senza alcun freno inibitorio. Un film essenziale per una bella serata horror di fine agosto.</div>
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I primi cinque minuti mettono subito in chiaro quali siano gli intenti di Fulci: c'è una ragazza che si sta rivestendo nella cantina di una casa abbandonata, un luogo dove, se ci si trova in un film dell'orrore, bisognerebbe notoriamente astenersi da qualsiasi attività sessuale. Il ragazzo che era con lei ovviamente, per una di quelle solite ragioni che non proviamo nemmeno a spiegarci, si è allontanato. Cosa succederà mai quando la fanciulla, tutt'altro che serena, si metterà alla sua ricerca nei bui sotterranei di quella casa? Semplice: finirà trapassata da una lama che, piantatasi nella di lei testa, troverà la sua uscita dalla bocca dell'incauta biondina (sono sempre bionde queste ragazze votate al sacrificio o è solo una mia impressione?).</div>
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Detto questo spendiamo giusto due parole sulla trama, a beneficio di coloro (immagino ben pochi) che si fossero persi questa chicca. Precisiamo subito che il fatto che la casa sia accanto a un cimitero è del tutto irrilevante. La scelta del titolo è evidentemente stata fatta nel discutibile tentativo di richiamare alla mente una precedente boiata di <b>Tobe Hooper</b> (<i>Quel motel vicino alla palude,</i> 1977), tendenza, quella del citazionismo nei titoli, che in quegli anni si usava spesso, basti pensare al successivo "<i>Quella villa in fondo al parco</i>" (1988) di <b>Giuliano Carmineo</b> e agli innumerevoli "non entrate" o "non aprite".<br />
Il dottor Boyle (Paolo Malco) trasloca in una villa immersa nelle campagne del New England assieme alla moglie Lucy (Catriona MacColl) e al figlio Bobby (Giovanni Frezza), un bambino biondo talmente odioso che vorresti vederlo morto dopo cinque minuti. Lo scopo del dottor Boyle sarebbe quello di proseguire una ricerca lasciata incompiuta da un collega che, senza motivo apparente, proprio in quei luoghi aveva macellato la sua amante e si era tolto la vita.<br />
Entusiasta del nuovo lavoro (e anche un tantino curioso di far luce sulla vicenda del collega), il dottor Boyle, come succede sistematicamente in questo tipo di film, respingerà gli avvertimenti della moglie la cui innata sensibilità le suggerisce di fuggire a gambe levate da quella sinistra casa. Altrettanto sottovalutati saranno i deliri di Bobby, il quale sostiene ripetutamente di essere in comunicazione con una misteriosa bambina (ovviamente il fantasma di una bambina morta male proprio in quella casa).<br />
Più che nel lavoro, com'è ovvio, gli sforzi di Boyle si profonderanno quindi soprattutto nello scoprire i segreti del suo defunto collega, ma la sua sarà un'indagine blanda e scriteriata che, chissà come, sbriglierà il bandolo della matassa solo a pochi minuti dalla fine, giusto in tempo perché il nostro possa correre in soccorso della moglie e del figlioletto, ma con esito tutt'altro che ovvio; in fondo non siamo a Hollywood, dove il lieto fine è scontato... no, del lieto fine a Fulci interessa poco, così come gli interessa poco dell'indagine e di mantenere una parvenza di coerenza e verosimiglianza alla narrazione, dall'antefatto al finale. A Fulci interessa sprofondarci nel buio di quella casa per intrappolarci nel suo incubo. Ad aggiungere un po' di sale alla storia ci sono dunque una lapide vecchia di un secolo nascosta sotto un tappeto e una cantina con la porta sapientemente (e prudentemente) sbarrata con delle assi di legno.<br />
Credo dia superfluo dire che è proprio nella cantina della casa la chiave del film. Come in ogni fiaba che si rispetti, il male si nasconde nel buio e nel silenzio. E così laggiù, ai piedi di quella buia scalinata, c'è qualcosa che aspetta, qualcosa che va oltre qualsiasi immaginabile incubo.<br />
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Raccontato così <i>Quella villa accanto al cimitero</i> sembrerebbe una boiata colossale e, innegabilmente, un pochino lo è, ma è il tocco di Fulci che alza il livello di parecchio rispetto alla media: fiumi di sangue, coltelli nella testa, attizzatoi nel collo, diverse decapitazioni, sbudellamenti, gole tagliate e manciate di disgustosi vermi a volontà. E il nostro Fulci in tutto questo ci va sempre giù pesante: perché tagliare la gola di qualcuno una volta quando lo si può fare tre volte? Gli effetti speciali tutto sommato non sono affatto male, se consideriamo il budget risicato e i tempi di produzione, come al solito ridotti al minimo. Stenderei solo un piccolo velo pietoso sulla scena del pipistrello (palesemente farlocco) che viene accoltellato ma fatto sanguinare anche da punti che non c'entrano nulla.</div>
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Ma quando si parla di Fulci è il quadro generale che va osservato e in <i>Quella villa accanto al cimitero </i>c'è tanto da apprezzare e tantissimo per cui dovremmo toglierci il cappello e inchinarci. Fulci non è solo per gli appassionati di Fulci. Basta luoghi comuni: Fulci è per tutti gli appassionati della bellezza. Guardate quella casa, la sua architettura e i suoi interni, con le ampie vetrate colorate degne del miglior gotico di Mario Bava, guardate le sue atmosfere, al tempo stesso calde, avvolgenti e minacciose. Guardate i dettagli: i prolungati primi piani degli occhi della bambinaia, gli insistiti dettagli del sangue che zampilla. Ascoltate le musiche di Walter Rizzati, malinconiche quanto basta per mantenere l'atmosfera inalterata dall'inizio alla fine. Osservate la fotografia di Sergio Salvati, capace di fare di ciascun fotogramma un dipinto da appendere alla parete.<br />
Tutto questo ci permette ampiamente di sorvolare su tutto il resto, sui clamorosi buchi di sceneggiatura, sui vari bloopers e soprattutto sullo spiegone finale che viene fuori dal nulla. Questo è Fulci, signore e signori, maestro del gore ed esempio al quale ancora oggi guardiamo con curiosità e un pizzico di invidia.<br />
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Accennavo all'inizio al crossover blogghesco che cerca di ripescare nelle atmosfere delle celebri notti horror televisive di venti e più anni fa. L'estate è quasi finita e la maggior parte delle notti horror è già alle nostre spalle ma, se ne avete voglia, siete ancora in tempo a recuperare ciò che è già stato trasmesso altrove sui blog amici. Questo post è uno degli ultimi: sono stati già pubblicati articoli su grandi cultoni horror del passato quali <i><a href="http://castellodiif.blogspot.it/2015/07/notte-horror-il-conte-dracula.html" target="_blank">Il conte Dracula</a>, <a href="http://directorcult.blogspot.it/2015/07/notte-horror-wicker-man.html" target="_blank">The Wicker Man</a>, <a href="http://nonceparagonecinema.blogspot.com/2015/07/notte-horror-on-blog-2015-cujo-1983.html" target="_blank">Cujo</a>, <a href="http://solaris-film.blogspot.com/2015/07/notte-horror-2015-la-mosca.html" target="_blank">La mosca</a>, <a href="http://bollalmanacco.blogspot.com/2015/07/the-devil-rides-out-1968.html" target="_blank">The Devil Rides Out</a>, <a href="http://whiterussiancinema.blogspot.com/2015/07/candyman-terrore-dietro-lo-specchio.html" target="_blank">Candyman</a>, <a href="http://incentralperk.blogspot.com/2015/08/notte-horror-hellraiser.html" target="_blank">Hellraiser</a>, <a href="http://recensioniribelli.blogspot.com/2015/08/4-agosto-notte-horror-brood-la-covata.html" target="_blank">Brood, la covata malefica</a>, <a href="http://marisredroom.blogspot.it/2015/08/notte-horror-2015-buio-omega.html" target="_blank">Buio Omega</a>, <a href="http://lafabricadeisogni.blogspot.com/2015/08/big-bad-wolves.html" target="_blank">Big Bad Wolves</a>, <a href="http://www.delicatamenteperfido.com/2015/08/cimitero-vivente-recensione.html" target="_blank">Cimitero vivente</a>, <a href="http://scrivenny-dennyb.blogspot.it/2015/08/notte-horror-2015-suspiria-1977.html" target="_blank">Suspiria</a>, <a href="http://cinquecentofilmisieme.blogspot.com/2015/08/notte-horror-nightmare-dal-profondo.html" target="_blank">Nightmare, dal profondo della notte</a>, <a href="http://www.pensiericannibali.com/2015/08/notte-horror-i-cult-di-pensieri.html" target="_blank">Giovani streghe</a></i> e il film d'animazione <i><a href="http://www.prevalentementeanimemanga.net/2015/09/coraline-e-la-porta-magica.html" target="_blank">Coraline e la porta magica</a></i>. Martedì prossimo l'ultimo appuntamento con <i><a href="http://castellodiif.blogspot.it/2015/09/notte-horror-dead-snow.html" target="_blank">Dead Snow</a></i> e a seguire il gran finale su <b>The Obsidian Mirror</b> con la mitica <i><a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2015/09/trilogia-del-terrore.html" target="_blank">Trilogia del terrore</a></i> di <b>Dan Curtis.</b></div>
Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com9tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-50205995967909165492015-08-07T14:43:00.000+02:002015-08-07T14:51:30.272+02:00Immacolata e Concetta, l'altra gelosia<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNm5tsxN_rjh-VwBMQWeVPSdxlcJpiSq94yis3yRE6HFf2nQ6bBpoJ7Pvs2Qpk3lhyKGNQ5WLGEgboJaAmL5xcY7h-F26p9NKatORSeKDygNkqJsEFKtjZc3F2rB4EP7frNhIq9E91XMTM/s1600/immacolataeconcetta.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNm5tsxN_rjh-VwBMQWeVPSdxlcJpiSq94yis3yRE6HFf2nQ6bBpoJ7Pvs2Qpk3lhyKGNQ5WLGEgboJaAmL5xcY7h-F26p9NKatORSeKDygNkqJsEFKtjZc3F2rB4EP7frNhIq9E91XMTM/s400/immacolataeconcetta.PNG" width="277" /></a></div>
Un post singolare per Obsploitation quello di oggi. Perché singolare? Perché una volta tanto oggi cerchiamo di stare alla larga dalle boiate e ci tuffiamo direttamente nel cinema d’autore, quello vero, quello che meriterebbe ben più di un articolo su un piccolo blog che non legge nessuno. Una singolarità, quella di oggi, che mi piacerebbe non rimanesse tale, ma questo è decisamente un altro paio di maniche.<br />
Siamo dalle parti di Pomigliano d’Arco, città natale di <b>Salvatore Piscicelli</b>, colui al quale dobbiamo l’esistenza stessa di questo “<i>Immacolata e Concetta: l’altra gelosia</i>”, piccolo gioiello datato 1979 e premiato, nello stesso anno, con il <b>Pardo d’Argento</b> al festival di <b>Locarno</b>. Perché partiamo proprio da Pomigliano d’Arco? In primo luogo perché Salvatore Piscicelli, regista oggi praticamente (e ingiustamente) sconosciuto, ha dedicato ampi tratti della sua carriera registica alla sua terra e alle sue contraddizioni, beneficiando nelle sue pellicole di volti da questo punto di vista davvero caratteristici quali quelli di <b>Ida Di Benedetto</b>, <b>Marcella Michelangeli</b>, Marina Suma e Tony Esposito. In secondo luogo perché Pomigliano d’Arco è anche la location nella quale si muovono le due protagoniste della vicenda di cui proverò a parlarvi oggi.
Immacolata e Concetta: due donne che a causa di alterne vicende conosceranno il carcere, s’incontreranno e s’innamoreranno. È la cronaca di un amore lesbico dai contorni molto delicati, un amore felice finché rimane racchiuso fra quattro mura, perfetto nella sua condizione intima e privata, ma che diventerà inaccettabile nel momento in cui si troverà a fare i conti con il giudizio di una società tutt’altro che pronta a convivere con una diversità dalle proporzioni, per essa, inaudite.<br />
<a name='more'></a>Concetta (Marcella Michelangeli) si trova in carcere per aver già difeso strenuamente la sua diversità in passato. Esasperata al punto dal non poter più sopportare di essere additata e condannata, Concetta decise di rivolgere un’arma contro colui che rappresentava l’ostacolo più grande al suo modo di essere. Immacolata (Ida Di Benedetto) in carcere ci finisce invece per motivi molto meno ideologici: un maldestro tentativo di avviare una ragazzina alla prostituzione e poter così far fronte alle proprie difficoltà economiche. Le due compagne di sventura inizieranno in carcere una relazione intensa, una relazione che assumerà ben presto il carattere di una completa dipendenza dell’una nei confronti dell’altra. Questa espressione come potrete intuire non è casuale. Si dice sempre che in una coppia uno ama e l'altro si fa amare, o comunque uno dei due ama più dell'altro; ebbene, anche all'interno di questa atipica coppia si creerà una situazione di disequilibrio data dal fatto che una delle due donne ama (o sa amare) più dell'altra.<br />
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Una volta scontata la pena, infatti, e spalancate le porte del carcere, tutto sarà naturalmente molto diverso. Non l’amore, che inizialmente non può che essere immutato (se non amplificato dal breve distacco dovuto ai diversi tempi di scarcerazione), quanto il suo dover interagire con un mondo esterno impreparato alla sua esistenza. Immacolata giungerà a invitare Concetta alla convivenza in casa propria, indifferente al fatto di dover imporre la presenza dell’amante al proprio marito e alla figlia. Un marito, il suo, tutto sommato passivo nella sue reazioni: seppur devastato dal dolore e dalla vergogna, egli non riesce a trovare la forza di opporsi alla perdita della propria identità e del proprio letto coniugale (contraddizione? Come spiegherò dopo, non credo). La figlia, poco più che una bambina, cercherà a suo modo una strada per ristabilire la normalità provando a recuperare l’attenzione della madre, ma una caduta dalle scale finirà per lei tragicamente, lasciandola invalida per tutta la vita.<br />
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I vicini di casa osservano la vicenda un po’ increduli, lasciando noi stessi spettatori altrettanto increduli di fronte a tanta passività e indifferenza, soprattutto in virtù del contesto culturale dell’epoca e, più nello specifico, di quello ancor più tradizionalista della provincia campana. In questa storia virata tutta al femminile, in effetti, gli uomini non fanno una gran bella figura: approfittatori, traditori e preoccupati più della forma che della sostanza. Come il marito di Immacolata, che grida allo scandalo per la presenza di Concetta disinteressandosi invece delle frequentazioni maschili della moglie, e che finisce comunque in qualche modo per accettare la nuova situazione perché, spesso, nelle famiglie cosiddette tradizionali tanto più ci si affanna a rimarcare il ruolo predominante dell'uomo tanto più il <i>pater familias</i> è, in realtà, la donna. Ruolo che Immacolata manterrà anche nella nuova relazione, di cui Concetta invece rappresenterà la componente debole e dipendente (a simboleggiare quelle madri di famiglia senza lavoro né prospettiva che, oggi come allora, si annullano nella famiglia perché la famiglia è la loro unica prospettiva). Ruolo che paradossalmente, ma solo in apparenza, invece di cementare la coppia ne causerà la disgregazione e darà il via a quella tragedia che fin dall'inizio aleggia su questa storia. Assuefatti come siamo a terribili fatti di cronaca nati in seno alla famiglia o alla coppia, alla fine del film avremo un assaggio di cosa significhi davvero “l'altra gelosia”.<br />
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Opera prima di Salvatore Piscicelli, “Immacolata e Concetta: l’altra gelosia” apre idealmente la sua trilogia napoletana che si completerà nel giro di pochi anni con altri due titoli davvero notevoli: “<i>Le occasioni di Rosa</i>” (1981) e “<i>Blues metropolitano</i>” (1985), dei quali spero di potervi parlare in futuro.<br />
Un’opera questa difficilmente etichettabile, trovandosi all’intersezione tra commedia amara e melodramma con numerose escursioni nell’erotismo, in sporadici casi anche in prossimità dell’hard. Un’opera che, sebbene sia a volte in bilico tra personaggi e situazioni al limite del ridicolo, riesce a trasmettere in ogni sua scena un forte messaggio sociale, in grado di far vibrare le corde anche dello spettatore più disattento. Un messaggio prima di tutto di emancipazione. Emancipazione della donna, emancipazione della diversità sessuale, emancipazione degli umiliati e degli offesi, emancipazione da una realtà sociale opprimente, schematica e grondante di false moralità. Una realtà sociale che in nessun modo però potrà opporsi alla tenacia di due donne che non hanno in fondo nulla di cui colpevolizzarsi, se non il fatto di essere state sopraffatte dal loro amore. Immacolata è sposata e ha una figlia, questo è vero, ma è forse diversa la sua posizione da quella di tante coppie eterosessuali che si sfasciano ogni giorno per mille motivi diversi? Non credo. Eppure, un po’ ipocritamente, facciamo fatica a non parteggiare un pochino per quella bambina che si ritrova improvvisamente una seconda madre dentro casa e, contestualmente, perde un riferimento paterno, per quanto debole ed effimero possa essere stato.<br />
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Ma la bambina e, in maggior misura, il marito di Immacolata non sono che semplici comparse nel vasto disegno de “L’altra gelosia”, perché ciò che più conta è la grande dignità con cui le due donne portano avanti il loro rapporto, senza eccessi, senza volgarità, senza nessuna intenzione a nuocere ad alcuno se non a se stesse, immergendosi in una storia che non potrà che portare sofferenza.<br />
In fondo cos’è l’amore se non il massimo ideale a cui tutti noi aspiriamo? E non è forse l’amore, di contro, il sentimento che offre felicità e sofferenza in egual misura?<br />
Scritto da Piscicelli a quattro mani con la moglie Carla Apuzzo, “Immacolata e Concetta: l’altra gelosia” è un film crudo che non lascia spazio alcuno alla speranza. Un film con un finale coraggioso, ovviamente tutt’altro che lieto, che lascia lo spettatore privo del benché minimo sostegno, svuotandolo di ogni capacità di azione e reazione. Un film, se vogliamo inusuale, realizzato da un grande regista che meriterebbe di essere maggiormente conosciuto. Un regista che ha dimostrato di aver saputo raccogliere a piene mani l’eredità di quei pochi grandi che in passato seppero mostrare Napoli e le sue contraddizioni senza censure: la Napoli dei Rossellini (<i>Paisà, 1946</i>), la Napoli dei De Sica (<i>L’oro di Napoli, 1954</i>), la Napoli dei Rosi (<i>La sfida, 1958</i>) e naturalmente la Napoli popolare di Eduardo De Filippo (<i>Napoli Milionaria, Natale in casa Cupiello</i>) e, non ultima, la Napoli tragicomica del grande Totò.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjz091amNabinRbUOK8W2KpELDaq9AqUKn6NtCrUX_Mt-ED0ek1TPmZ4MkOwxRDpsloCLGuJeWGzT0QtaW83GioekxLSgzrqxKQ34-1qnsDvshrfpeheDWx0OUozt8fgpFqFrCKCz8vG3cP/s1600/immconc3.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjz091amNabinRbUOK8W2KpELDaq9AqUKn6NtCrUX_Mt-ED0ek1TPmZ4MkOwxRDpsloCLGuJeWGzT0QtaW83GioekxLSgzrqxKQ34-1qnsDvshrfpeheDWx0OUozt8fgpFqFrCKCz8vG3cP/s1600/immconc3.PNG" /></a></div>
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Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com11tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-28818079605484403302015-07-12T17:55:00.000+02:002015-07-12T18:09:35.068+02:00Riti, magie nere e segrete orge nel Trecento<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPaL-R0aAO5H_5dzgiARRDVVVpRVk50o4wrzMqBFU3nNkclcn-8ceUFeFVUFJXzjP6tH74CpPI0ULjv-5dmvw8PFl93Pe5RopYj83-m60V6qqqKCr_20m60cBvs55Ds8QhIr1dV2Il_qss/s1600/ISABELCOVER.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPaL-R0aAO5H_5dzgiARRDVVVpRVk50o4wrzMqBFU3nNkclcn-8ceUFeFVUFJXzjP6tH74CpPI0ULjv-5dmvw8PFl93Pe5RopYj83-m60V6qqqKCr_20m60cBvs55Ds8QhIr1dV2Il_qss/s400/ISABELCOVER.JPG" width="255" /></a></div>
Il sipario si apre su alcuni individui ridicolmente travestiti da supereroi satanici. Il primo impatto lascia già ben presagire ciò che attende l’incauto pellegrino che si prepari ad affrontare la visione di “<i>Riti, magie nere e segrete orge nel Trecento</i>”, opera che il buon <b>Renato Polselli </b>realizzò nel lontano 1973 sull’onda del discreto successo che ottenne il suo precedente lavoro, “<i>Delirio Caldo</i>”.</div>
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Riunito attorno a una specie di altare sul quale giace una giovane donna (presumibilmente vergine), il gruppo è chiaramente concentrato su un rito che dovrebbe avere come culmine la resurrezione, attraverso il classico sacrificio umano, dell’oggetto del loro culto, Isabel (interpretata dalla splendida <b>Rita Calderoni</b>), una giovane che fu bruciata sul rogo secoli prima dagli abitanti del villaggio con l’accusa di stregoneria.</div>
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Il fatto che Isabel fosse davvero una strega è ovviamente opinabile, ma questi sono dettagli che a noi, al momento, interessano poco. Ci incuriosiscono di più quei personaggi che stanno cercando di riportarne in vita un cadavere che, nonostante i secoli e nonostante il rogo, appare tutto sommato solo un po’ palliduccio (se non si tiene conto, naturalmente, della profonda ferita visibile in mezzo al petto). Chi sono quindi questi individui? Ve lo dico già da adesso: una risposta precisa non arriverà mai.</div>
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Renato Polselli ci offre su un piatto d’argento un film assolutamente stravagante, tanto per usare un eufemismo. Stravagante perché i personaggi che vediamo muoversi senza senso per quasi un’ora e cinquanta minuti, di qua e di là sullo schermo, non fanno altro che cose fondamentalmente incomprensibili. Cosa potrei scrivere di sensato in questo post, visto che nemmeno la trama mi è chiara? Proviamo. </div>
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Isabel era una strega? Isabel era una vampira? Diciamo piuttosto che ci sono grosse probabilità che, per non farsi mancare nulla, Isabel fosse una strega vampirizzata nientedimeno che dal conte <b>Dracula</b>. La lunga e interminabile sequenza della sua morte potrebbe infatti far sorgere questo sospetto: perché mai dovresti piantarle un paletto di legno nel cuore se tanto poi devi bruciarla sul rogo? </div>
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Partendo dal presupposto che questo sia un film incentrato sui vampiri, piuttosto che su streghe e relativi adepti di varia natura, alcune cose potrebbero trovare una vaga spiegazione. Tutti i personaggi che ruotano intorno alla vicenda, perlomeno quelli maschili, sembrerebbero essere essi stessi la reincarnazione di coloro che furono protagonisti della già citata vicenda medioevale. Personaggi reincarnati, oppure personaggi resuscitati anch’essi attraverso riti e magie nere? Non ci è dato sapere. Eppure una spiegazione, anche se minima, sarebbe doverosa, visto che Polselli continua per tutto il tempo a giocare con i flashback, saltando da un secolo all’altro con una frequenza esasperante, senza tuttavia ben delineare gli avvenimenti correnti rispetto a quelli trascorsi. Sarà dello spettatore il compito di iniziare, con il trascorrere del minutaggio, a formulare alcune ipotesi sul senso di tutto ciò, ipotesi che tuttavia non troveranno alcun conforto nel finale. </div>
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Ma formulare ipotesi è complicatissimo, perché non si riesce davvero a distinguere ciò che Polselli ha voluto effettivamente mettere in scena da ciò che potrebbe essere assolutamente involontario. Sono molti infatti gli indizi che lascerebbero credere che “<i>Riti, magie nere e segrete orge nel Trecento</i>” sia solamente un prodotto di bassa qualità, realizzato con scarsi mezzi e con interpreti al limite del patetico. La scena del rogo, tanto per dirne una, è palesemente fatta inquadrando un fornello a gas in primo piano. La sceneggiatura stessa sembra fatta mettendo insieme le parole come se fossero state pescate a caso da un mucchio e messe in fila. Che ne pensate infatti di una frase come questa? <i>«I vampiri hanno bisogno di sangue non contaminato da seme umano».</i> Non si faceva prima a dire che i vampiri preferiscono le vergini? Tuttavia, tra decine di sequenze ai limiti dell’incredibile, c’è una scena che è troppo assurda per essere involontaria. È una scena che rappresenta la cattura di due streghe da parte dei villici, una scena di una decina di minuti abbondanti nella quale si passa dall’ambientazione diurna a quella notturna praticamente ogni dieci secondi. Clamoroso errore di montaggio oppure si intendeva, con questo simpatico calembour cinematografico, sottolineare la compenetrazione temporale di eventi successi e di eventi che succedono? Mistero.</div>
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Per gli amanti del piccante rimane un incondizionato uso e abuso di nudità femminili. Si direbbe che qualsiasi scusa sia buona per mostrare un paio di tette. Ma che dire invece delle orge promesse nel titolo? Di quelle nemmeno l’ombra ma, si sa, che fossero “segrete” era effettivamente stato detto. A dire il vero una piccola situazione a tre c’è stata: quella dove una vergine, per non essere più tale, finisce a letto con l’amica ninfomane e il suo disgustoso amico. Ma bastano tre persone perché un’orgia possa definirsi tale? Non lo so mica. </div>
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Per fortuna, in tutto questo squallore, ci sono le stupende immagini di <b>Ugo Brunelli</b>, direttore della fotografia anche in altri grandi titoli del nostro cinema bis quali “<i>La bestia in calore</i>” (Luigi Batzella, 1977) e il già citato “<i>Delirio Caldo</i>” (Renato Polselli, 1972), immagini che riescono comunque a catturare l’attenzione e, nonostante lo sfacelo tutt’attorno, ad affascinare lo spettatore, permettendogli di arrivare serenamente in fondo a un’ora e cinquanta di noia. Un film che consiglieri? Tutto sommato sì. “<i>Riti, magie nere e segrete orge nel Trecento</i>” è un film talmente brutto che merita una visione.</div>
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Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-17022018346327436442015-06-28T15:48:00.000+02:002015-06-28T15:48:56.548+02:00Holocaust 2000<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-wWILaDnqOAs/UIE9cwWZEiI/AAAAAAAAB3o/VKVzLSfj3Vk/s1600/HOLOCAUST+2000.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="http://1.bp.blogspot.com/-wWILaDnqOAs/UIE9cwWZEiI/AAAAAAAAB3o/VKVzLSfj3Vk/s400/HOLOCAUST+2000.JPG" width="255" /></a></div>
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<i>Vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. Le fu permesso di far guerra contro i santi e di vincerli; le fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione. L'adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell'Agnello immolato. Vidi poi salire dalla terra un'altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago. Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d'uomo. E tal cifra è seicentosessantasei. </i><br />
Qualche settimana fa, mentre il cinema di tutto il mondo piangeva la scomparsa di Christopher Lee, questa valle di lacrime veniva lasciata, quasi in punta di piedi, anche da uno dei più grandi registi che questa piccola Italia mai avuto: il grande <b>Alberto De Martino.</b> Questo blog rende omaggio al Maestro recuperando un post originariamente uscito su Obsidian Mirror, negli anni in cui il nostro blog ammiraglio era poco più di un neonato. Stiamo parlando di Holocaust 2000, naturalmente, un piccolo capolavoro che possiamo sintetizzare come la personalissima visione dell’olocausto da parte si Alberto De Martino. Di quale olocausto stiamo parlando? Ma di quello nucleare, naturalmente. <br />
<a name='more'></a>Alla fine degli anni Settanta (giusto per inserire il tutto in un minimo di contesto storico) il mondo era particolarmente attento al nucleare: la crisi energetica del 1973 aveva portato l’Occidente alla ricerca di nuove fonti di energia alternative al petrolio, come il gas naturale e l'energia atomica, per cercare di limitare l'uso del greggio e quindi anche la dipendenza energetica dai Paesi appartenenti all'Opec. Il concetto di energia atomica non poteva però non richiamare, agli occhi dell’opinione pubblica, l’immagine delle bombe sul Giappone e dei test nucleari compiuti nell’immediato dopoguerra presso l'atollo di Bikini, nelle isole Marshall. È in questo contesto che si inserisce <i>Holocaust 2000 (1977)</i>, capostipite di un filone cinematografico anti-nucleare che raggiungerà il suo culmine due anni dopo con il masterpiece <b>Sindrome cinese</b> (<i>The China Syndrome, 1979</i>) di James Bridges, con Jane Fonda, Jack Lemmon e un giovanissimo Michael Douglas. </div>
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Ebbi la fortuna di assistere alla proiezione di <i>Holocaust 2000</i> da bambino, nel piccolo cinema parrocchiale del mio paese. Ebbene sì, quel diavolo di un parroco aveva una netta predilezione per i film horror, specialmente se vi erano contenuti dei riferimenti anche vagamente biblici, e così mi vidi in sequenza grandi pellicole come <span style="font-style: italic;">L’esorcista (1973)</span>,<span style="font-style: italic;"> Rosemary’s baby (1968)</span> et similia, mentre i miei genitori erano tranquillamente a casa illudendosi che mi stessi guardando i più raccomandabili <i>Marcellino pane e vino (1955)</i> oppure <i>Herbie il maggiolino tutto matto (1968)</i>. Credo che in parte si debba ringraziare quel prete se oggi nel mio blog non si parla di ricette o di collanine (con tutto il rispetto per i sempre utili blog di ricette).<i> Holocaust 2000</i> quindi non poteva che entrare di diritto nella programmazione di quella sala cinematografica visto che l’idea che c’è alla base del film, ai tempi originalissima, è l’equazione “nucleare uguale Anticristo”.</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8lJeMKNwuVrrb06EeONOfBgqtATfpnfPUQd5kZFTZFGeSeOC2sL74Yniv8NFFnX78Hv2qYl85-4QzI2fhGvB80E-CJCqxRtl7_PDDGX9cxVCZZl3XmfYaqD4fUq82f57MwH7Y6P4-6Pkg/s1600/h2k-7cent.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8lJeMKNwuVrrb06EeONOfBgqtATfpnfPUQd5kZFTZFGeSeOC2sL74Yniv8NFFnX78Hv2qYl85-4QzI2fhGvB80E-CJCqxRtl7_PDDGX9cxVCZZl3XmfYaqD4fUq82f57MwH7Y6P4-6Pkg/s1600/h2k-7cent.JPG" /></a></div>
Erano anni gloriosi, quelli. Nel cinema si osava ancora molto, nulla era banale o standardizzato come oggi. Non ce ne rendevamo conto allora, ma l’eredità che ci avrebbe lasciato il cinema italiano degli anni settanta italiani fu qualcosa di davvero ineguagliabile. Visto adesso con gli occhi smaliziati di un adulto, <i>Holocaust 2000 </i>è un filmetto che fa sorridere, senza molte pretese, girato in fretta, senza soldi e senza particolari mezzi tecnici. Agli occhi di me bambino, tuttavia, lasciò il segno e ne conservo ancora oggi un ricordo inquietante. </div>
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Nelle vesti del protagonista di questo <i>Holocaust 2000</i> c’era un magnifico <b>Kirk Douglas</b>, affermata star internazionale reduce da successi quali <i>Orizzonti di gloria (1957), </i>pellicola fortemente antimilitarista diretta dal giovane Stanley Kubrick, e il kolossal <i>Spartacus (1960),</i> sempre di Kubrick. Probabilmente Douglas non si ricorderà nemmeno di aver lavorato in questo film di De Martino, pellicola evidentemente minore della sua sterminata carriera. A condividere il set con Kirk Douglas c’erano un inquietante <i>Simon Ward</i>, attore inglese anch'esso recentemente scomparso, e la nostrana <i>Agostina Belli</i>.</div>
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La storia raccontata dal film è molto interessante: ne darò un accenno qui di seguito facendo il possibile per non spoilare (cosa che non garantisco): Kirk Douglas, nella parte dell’ambizioso industriale Robert Caine, ha in progetto di costruire una centrale termonucleare in un non meglio identificato paese mediorientale, progetto che naturalmente trova diversi oppositori: dall’opinione pubblica, al governatore dello stato, fino alla stessa moglie di Caine, proprietaria del 75% delle azioni dell’azienda. Inutile dire che, essendoci di mezzo l’Anticristo, tutti quelli che contrasteranno il progetto di Caine finiranno per morire, uno dopo l’altro, in circostanze violente e poco chiare. </div>
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Per inciso, alcune delle morti sono particolarmente gore (almeno lo erano per gli standard degli anni Settanta): una tra tutte la fine del governatore, letteralmente “decervellato” dalle pale di un elicottero. Piccolo inciso: quella è una scena che ha segnato praticamente tutta la mia vita. Non sono mai più stato capace di guardare un elicottero senza che il mio pensiero tornasse anche solo per un attimo a quella scena. Fine inciso.</div>
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Sarà con l’aiuto di un sacerdote che Caine troverà diverse analogie tra il suo progetto, rielaborato e tenacemente portato avanti assieme al figlio Angel, e alcuni passi dell’apocalisse in cui viene descritta la Grande Bestia: "<i>Vidi sorgere dal mare una Bestia con dieci corna e sette teste e sulle corna dieci diademi e sulle teste delle scritte blasfeme" (Ap.3-1)</i>. Saranno infatti queste, grossomodo, le sembianze della centrale termonucleare di Caine.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhR0YqR58OS5-0K15Or5mAcDZ-zPH7E_o7zHIqU_pTvyAtuf5bqH7JIogXIH3w9K0CfrZQEo0Wht-ekX2srLvUBKs6516xQfVCS5HwfmH3B9YIeYeohQKNH5a1rWwK4Lh1fkKOYd8ekFYLF/s1600/h2k-iesus.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhR0YqR58OS5-0K15Or5mAcDZ-zPH7E_o7zHIqU_pTvyAtuf5bqH7JIogXIH3w9K0CfrZQEo0Wht-ekX2srLvUBKs6516xQfVCS5HwfmH3B9YIeYeohQKNH5a1rWwK4Lh1fkKOYd8ekFYLF/s1600/h2k-iesus.JPG" /></a>Ma non sarà questo l’unico riferimento biblico presente in <i>Holocaust 2000</i>: la riunione del consiglio di amministrazione dell’azienda di Caine, per esempio, richiama alla mente l’ultima cena, con Caine al centro del tavolo ad impersonificare il Cristo. Ma il grande “<i>coup de théâtre</i>” del regista sarà la rivelazione del significato dell’espressione “<b>due radice quadrata di duecentotrentuno</b>”, una specie di codice di errore che apparirà, senza alcuna ragione apparente, sullo schermo del computer di Caine (uno di quei colossali “proto computer” che da soli occupano un’intera stanza, avete presente?). Ebbene il significato di “due radice quadrata di duecentotrentuno”… Che faccio? Lo dico? Massì, tanto chi non voleva essere spoilato sarà già andato via… si rivelerà solo allo specchio. Provate a scriverlo su un pezzo di carta, mettetevi davanti allo specchio e capirete: ecco a voi il <b>Cristo </b>e <b>l'Anticristo</b>. Tutti i tasselli iniziano ad andare al loro posto: Caine comincerà a fare due più due (cosa che lo spettatore aveva già fatto dopo un minuto) e cercherà di porre un freno al progetto. L’Anticristo non sarà ovviamente altrettanto disponibile a fare lo stesso. Chi, come, quando e perché…. Beh, quello non mi sembra il caso di rivelarlo.</div>
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Alberto De Martino non era nuovo a film sull’Anticristo. Solo pochi anni prima, in risposta al successo de <i>L’esorcista (1973)</i>, diresse una ispiratissima Carla Gravina nel suo <i>L’anticristo (1974)</i>: un piccolo capolavoro, purtroppo poco conosciuto, che non ha nulla da invidiare al suo più famoso ispiratore. Se vi piace il genere e avete modo di recuperarlo, ve lo consiglio caldamente, così come consiglio il film che è oggetto del post odierno. <i>Holocaust 2000</i> è un film che sente decisamente tutto il peso dei suoi anni. Visto oggi può lasciare un po’ perplessi: molte sono le ingenuità nella sceneggiatura che, se andavano bene 35 anni fa, non potranno che far storcere il naso allo smaliziato spettatore di oggi. Personalmente, come dicevo, ho avuto più di un motivo per recuperarlo e, dopo tanti anni, godermelo nuovamente spaparanzato sul divano è stato un vero un piacere. Qualcosa è ovviamente cambiato rispetto ad allora (e non mi riferisco solo ai popcorn sgranocchiati freneticamente sulle sedie di legno scheggiato del prete), ma piccoli frammenti del passato sono comunque riemersi e ciò, tutto sommato, mi è bastato.</div>
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Chiudo questo post con una piccola riflessione sull’accoppiata nucleare-anticristo ispirata da <i>Holocaust 2000</i>. In quegli anni, esattamente nel 1979, uno dei più terribili incidenti nucleari della storia ebbe luogo nei pressi dell'abitato di Harrisburg (Pennsylvania, USA). La centrale di <b>Three Mile Island</b> rilascio radioattività nell'ambiente a seguito dello scarico all'esterno di un eccesso di vapore che aveva saturato il circuito primario. In seguito al surriscaldamento del reattore vi fu una fuga di radionuclidi gassosi quali lo Xeno e vapori di Iodio. Se è vero che, come si dice, l’Anticristo completerà la sua opera distruttiva al compimento del suo 33° anno di età, la domanda è: quanti anni sono trascorsi dall’incidente di Three Mile Island?<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSTivMpxBxLly_4DZ6JicH3VMPz79Ox2Fy1CqxNNhhwsHCcmP2g_GsgB9P15jQez6H14aiN_tyzV5sTPiCr6Lx2ZOjxuRo6cfQldRtXNR2XMW7migGj4yblSSQGKpevsa5hiziAhlyB28N/s1600/h2k-7heads.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSTivMpxBxLly_4DZ6JicH3VMPz79Ox2Fy1CqxNNhhwsHCcmP2g_GsgB9P15jQez6H14aiN_tyzV5sTPiCr6Lx2ZOjxuRo6cfQldRtXNR2XMW7migGj4yblSSQGKpevsa5hiziAhlyB28N/s1600/h2k-7heads.JPG" /></a></div>
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Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-4273067958694184622015-05-31T17:31:00.000+02:002015-05-31T17:31:02.175+02:00Cani arrabbiati<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhID8TaCpDbXfjYsRSY8d8RumfBVo7maK-Ilsx1PK_QtwYKaHaAhKVMQbkq3yq3LkkCoY8-ds4qAVGYsLxf03mW9vwf63DjgXhECCZDHbyboSxKv6ACyU59M5zRHLNmKzx2reO6RIr5o8kO/s1600/rabid+dogs+poster.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhID8TaCpDbXfjYsRSY8d8RumfBVo7maK-Ilsx1PK_QtwYKaHaAhKVMQbkq3yq3LkkCoY8-ds4qAVGYsLxf03mW9vwf63DjgXhECCZDHbyboSxKv6ACyU59M5zRHLNmKzx2reO6RIr5o8kO/s400/rabid+dogs+poster.jpg" width="285" /></a></div>
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Ebbene sì, avete letto bene: si torna a parlare di <a href="http://obsploitation.blogspot.it/search/label/Mario%20Bava" target="_blank"><b>Mario Bava</b></a> sul blog <i>Obsploitation</i>. Statisticamente sembrerà una curiosa coincidenza, visto che questo è il terzo post, su un totale di 25 pubblicati sinora, dedicato al regista romano. Nella realtà non c'è nulla di singolare in questa scelta: non ho mai fatto mistero, né da queste parti né tantomeno su <b><i>Obsidian Mirror</i></b>, che Mario Bava sia uno dei registi da me più apprezzati, se non altro dal punto di vista "sentimentale", visto che è proprio con capolavori come "<a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/2011/05/la-maschera-del-demonio.html" target="_blank"><b>La maschera del demonio</b></a>" o “<b><a href="http://obsploitation.blogspot.it/2014/07/la-frusta-e-il-corpo.html" target="_blank">La frusta e il corpo</a></b>” che il sottoscritto ha iniziato ad innamorarsi davvero del cinema. Detto questo, credo sia superfluo attendere la fine del post per capire se questo articolo si concluderà con l'esaltazione di un film o con una sua certosina distruzione, no? Superfluo? Ne siete proprio sicuri? Non ci crederete, ma ho visto per la prima volta "<i><b>Cani arrabbiati</b></i>" solo pochi giorni fa. Era da diverso tempo che questo titolo mi strizzava l’occhio, ma per un motivo o per l’altro non avevo mai avuto modo (diciamo pure voglia) di restituirgli la stessa attenzione. Qual è quindi la sentenza? Mah….<br />
La genesi di “<i>Cani arrabbiati</i>” è soffertissima: roba da Guinness dei primati. Completata attorno alla metà degli anni Settanta, la pellicola, a causa di una sequenza infinita di problemi, da quelli economici (il fallimento della casa di produzione) ai soliti scazzi con la censura, arriva sugli schermi con vent’anni di ritardo e grazie soprattutto all’ammirevole impegno di <b>Lea Lander Kruger</b>, la protagonista femminile del film, che ne recupera i diritti e lo fa riemergere dall’oblio. Proiettato per la prima volta al <b>BIFF</b> di Bruxelles nel 1995, “<i>Cani arrabbiati</i>” avrà bisogno di ulteriori dieci anni per arrivare in Italia, grazie ad un passaggio su Sky datato 2004 con il titolo misteriosamente cambiato in un meno consono “<i>Semaforo rosso</i>”.<br />
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Tra l’altro, sempre a proposito di titoli, va precisato che “<i>Cani arrabbiati</i>” è stato presentato anche all’estero in diverse versioni e con montaggi diversi. Si dice che ne esistano addirittura sei versioni differenti, nelle quali sono state inserite (o rimosse, se preferite) scene in testa e in coda alla pellicola. Scelte a mio parere discutibili perché l’originale baviano funziona benissimo così com’è, senza la necessità di lunghi spiegoni finali o di lunghe introduzioni, che non fanno altro che annoiare (le prime) o spoilerare (le seconde). L’originale “<i>Rabid Dogs</i>” (questo il titolo inglese) si è trasformato nel 2002 in “<i>Kidnapped</i>”, titolo che rivela molto di più di quanto era forse nelle intenzioni del suo Autore.<br />
Scrivere qualcosa sulla trama è un gioco da ragazzi, tanto apparentemente semplice è la storia narrata: il solito gruppo di banditi, dopo aver rapinato un portavalori, si dà alla fuga in auto mentre, neanche a dirlo, una volante della polizia si getta al suo inseguimento. Tipico incipit di quasi tutti i poliziotteschi dell’epoca, a quanto pare. Uno dei banditi esce di scena quasi subito (un classico), mentre i tre superstiti si tolgono dalla brutta situazione prendendo in ostaggio due ragazze: una delle due viene sgozzata subito mente l’altra, Maria, non sarà altrettanto fortunata.<br />
Fuggire con un'auto già segnalata non è mai una buona idea e, altro passaggio obbligato del poliziottesco, giunge quindi ben presto il momento di trasferirsi tutti, ostaggio compreso, su una vettura diversa. Il caso vuole che i malviventi incrocino la loro strada con quella di Riccardo, un uomo che sta trasportando d’urgenza il figlioletto morente all’ospedale: approfittando di un semaforo rosso il cambio macchina è cosa fatta e (contando anche il bambino) gli ostaggi, da questo momento in avanti, diventano tre. È qui che il film prende una piega diversa e si trasforma in un road movie cattivissimo ambientato, quasi completamente, sull’autostrada assolata di un pomeriggio di metà estate.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkSNAvD0MgPfICC7aEb-x0VVCYmIGWBVdDWXhEpAHZPRqPS9Ct7w7EaLZi9yVZ6ijM5A4GA8eXfzFye-CXwzsXa-qPOcYzrkqEZlhcAItJYCLvH2-YRAhe6PpHhpfKzKN5sg3jvEt7ADlS/s1600/rabiddogs1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkSNAvD0MgPfICC7aEb-x0VVCYmIGWBVdDWXhEpAHZPRqPS9Ct7w7EaLZi9yVZ6ijM5A4GA8eXfzFye-CXwzsXa-qPOcYzrkqEZlhcAItJYCLvH2-YRAhe6PpHhpfKzKN5sg3jvEt7ADlS/s1600/rabiddogs1.jpg" /></a></div>
Niente corse folli tra le strade di una città, quindi, niente inseguimenti, niente incidenti, niente semafori rossi saltati con conseguenti capottamenti di malcapitati cittadini, niente bancarelle di frutta travolte e spazzate via, niente di niente. Inaspettatamente, l’ora abbondante che ancora ci separa dai titoli di coda viene (quasi) tutta girata all’interno del circoscritto abitacolo della macchina, tra pianti, lamenti e qualche imprevisto di troppo, inclusi maldestri tentativi di fuga da parte dell’ostaggio femminile e occasionali violenze da parte dei malviventi, sempre più nervosi con lo scorrere dei minuti. La narrazione perde così molto del suo ritmo, ma ne guadagna in claustrofobia e la convivenza forzata getta le basi per i successivi avvenimenti. Ben presto si scatena il conflitto non solo fra gli ostaggi e i rapi(na)tori, ma anche fra i tre complici, e mentre il caldo asfissiante esacerba gli animi già sovreccitati la prospettiva della fine del viaggio, un non ben precisato luogo indicato dal capobanda, evoca timore e sollievo insieme. Non vi racconterò altro, se non che nel finale arriverà un twist che darà a tutto un bel colpo di spugna, anche se va detto che quello che era pensato come un colpo di scena noi, spettatori del duemila, lo avevamo intuito da molto tempo.<br />
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Una menzione speciale va alle ottime interpretazioni, che riescono a risollevare in maniera decisiva le sorti del film. Prima fra tutte quella del sempre sottovalutato <b>Don Backy</b>, che rende in maniera perfetta il personaggio dell'omicida schizofrenico a lui assegnato (chiamato “Bisturi” per via dell’arma da lui prediletta per affettare chiunque gli si pari davanti); di <b>George Eastman</b> (all'anagrafe Luigi Montefiori), un volto perfetto per il personaggio di “Trentadue” (nome che fa riferimento alle sue parti basse), anche lui completamente folle e con l’aggravante delle sue evidenti turbe da maniaco sessuale all’ultimo stadio; di <b>Maurice Poli</b>, che con la sua calma e fermezza e i lineamenti che paiono scolpiti nella roccia incarna perfettamente la fisionomia dell'aristocratico “Dottore”, colui che, all’interno della banda, si rivela essere l’unico con i piedi per terra; di <b>Riccardo Cucciolla</b> nella parte dell'ostaggio maschile, il tenero padre di famiglia che tradisce però un'imperscrutabilità di fondo della quale scopriremo la ragione soltanto sul finire; ma soprattutto di <b>Lea Lander Kruger</b>, personaggio femminile e vittima predestinata, che riesce a intensificare il livello di angoscia anche quando il film, com’è naturale, inizia a mostrare palesi cenni di cedimento.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdYw-nhTUijLAs-X6CTc52WqVFmPWK6kLS8x7MJvEsRJ4XoXtgW0E8shat1F-O7YzrlI6sgmQjhn3aQ6HiY_IUpXxEIMRVrTrtIdrla-m564CR2S_dA4gXanWLY0FBc_im6NCOJ1pkcVjY/s1600/rabiddogs2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdYw-nhTUijLAs-X6CTc52WqVFmPWK6kLS8x7MJvEsRJ4XoXtgW0E8shat1F-O7YzrlI6sgmQjhn3aQ6HiY_IUpXxEIMRVrTrtIdrla-m564CR2S_dA4gXanWLY0FBc_im6NCOJ1pkcVjY/s1600/rabiddogs2.jpg" /></a></div>
Restringere fisicamente di molto il campo d'azione permette alla regia di non distogliere mai l'attenzione da alcuno dei personaggi (eccetto il bambino che, difatti, rimarrà privo di sensi per tutto il tempo), le cui interazioni portano un po' bidimensionalità a figure che altrimenti, probabilmente, sarebbero state rese in modo più macchiettistico. In tal senso, che piaccia oppure no, questa a mio parere si rivela una scelta vincente.<br />
Ancora una volta, con questa pellicola, Mario Bava apre una nuova strada: dopo aver tracciato il solco del giallo all’italiana con “<a href="http://obsploitation.blogspot.it/2014/03/sei-donne-per-lassassino.html" target="_blank"><b><i>Sei donne per l’assassino</i></b></a>” (1964), il nostro reinterpreta il filone del poliziottesco, mettendo da parte i classici topoi del genere, e realizza qualcosa di decisamente diverso. Un film opprimente e claustrofobico il cui meccanismo di fondo sarà più volte riutilizzato negli anni a venire: basti pensare a “<i>Le iene</i>” di <b>Tarantino </b>(<i>Reservoir Dogs</i>, 1997), il cui titolo la dice lunga su quanto il regista americano abbia tratto ispirazione, per l’ennesima volta, dalle nostre parti.<br />
Questo è dunque un film che consiglierei? Aldilà del suo valore storico e delle vicissitudini produttive che lo hanno portato ad divenire un cult, “<i>Cani arrabbiati</i>” è un Bava anomalo, molto diverso da quelli che personalmente definisco capolavori. Pare più un esercizio di regia che un prodotto cinematografico con un preciso scopo ed intento artistico. Un calo d'attenzione durante la visione del film è inevitabile, considerata la monotona ambientazione e le oggettive difficoltà nello sviluppare situazioni che si discostino dall’idea di base, il che ad un certo punto porta lo spettatore a chiedersi quando mai avranno fine quei novanta minuti. Il finale, per quanto geniale e ben congegnato per l'epoca, è come ho già detto ampiamente telefonato e ciò non aiuta a risollevare le sorti della pellicola. Un film da vedere, ma anche no.</div>
Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com13tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-10556939473975543632015-04-28T20:00:00.000+02:002015-04-28T20:00:00.083+02:00E Dio disse a Caino...<div style="text-align: justify;">
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<a href="http://2.bp.blogspot.com/-QeJ9KueAu-Y/UBASsNFoohI/AAAAAAAABaw/XuRnRmYzuL8/s320/EDiodisseaCaino.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://2.bp.blogspot.com/-QeJ9KueAu-Y/UBASsNFoohI/AAAAAAAABaw/XuRnRmYzuL8/s320/EDiodisseaCaino.jpg" height="400" width="276" /></a></div>
<em>Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra.</em><br />
Iniziava così un <a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/2012/07/e-dio-disse-caino.html" target="_blank">vecchio post</a>, pubblicato circa tre anni fa sul mio blog principale. E inizia così anche questo post che, come già accaduto varie volte nel passato recente, rappresenta l'ennesimo tassello di una piccola "operazione riciclo" alla quale, volente o nolente, devo sottostare se voglio evitare di mandare alle ortiche questo angolino di blog. È sempre più difficile, come sicuramente avrete intuito, portare avanti due blog in parallelo e, nonostante gli iniziali entusiasmi, i mesi passano uno dopo l'altro senza che Obsploitation riesca ad assumere una sua identità e una sua fisionomia. In attesa che la mia proverbiale pigrizia venga sconfitta da qualche improbabile evento, rompo il silenzio con questo post, pur conscio che la strada che sto percorrendo è quantomeno opinabile (per non usare termini più espliciti).<br />
Parliamo oggi di <b>Antonio Margheriti</b>, indiscusso maestro del cinema di genere che, stranamente e ingiustamente, non era ancora comparso sulle pagine virtuali di Obspolitation.<br />
Forse Margheriti non è stato il più grande tra i grandi (la concorrenza è in effetti decisamente agguerita), ma è indiscutibile che, nel cinema del nostro paese, il regista romano è stato senz’altro tra tutti il più eclettico, in grado di spaziare dal western all’horror, dalla fantascienza al poliziottesco, senza batter ciglio. “<em>E Dio disse a Caino</em>“ (1970) è un esempio pressoché unico di “western-gotico”, per alcuni una sorta di contaminazione di generi, ma più probabilmente una perfetta miscela tra due atmosfere diametralmente (in questo caso, solo apparentemente) opposte.<br />
<a name='more'></a>Come nel più classico dei romanzi gotici abbiamo il castello come ambientazione principale, qui rappresentato dalla magione del latifondista <em>Acombar</em>, e abbiamo il fantasma che tormenta l’apparente serenità del castello. Il fantasma è qui rappresentato da <em>Gary Hamilton</em>, un <b>Klaus Kinsky</b> nel ruolo inedito del buono (che solo Margheriti poteva convincere ad interpretare), che viene graziato dai lavori forzati e riappare ad un incredulo Acombar, l'uomo che lo fece finire ingiustamente in galera e gli rubò la donna. Il film si svolge praticamente tutto in una notte, durante una tempesta che accompagna l'arrivo del vendicatore, il quale sazierà la propria sete di giustizia mietendo vittime, una dopo l’altra, senza essere visto, come un fantasma avvolto dalle tenebre, implacabile ed invincibile come la morte stessa. <br />
I tirapiedi di Acombar, in preda ad un timore quasi religioso, sussurrano a mezza voce che Hamilton non sia un uomo, ma un mostro dell’inferno… e del resto la tempesta “apocalittica” che oscura il cielo anzitempo, la campana che continua a suonare come posseduta, il prete che diventa agnello sacrificale, il fuoco purificatore e la luce del mattino che riporta con sé la calma sono tutti elementi di sapore biblico. Se mai ce ne fosse bisogno, è lo stesso Hamilton che ci offre un’ulteriore spiegazione per il titolo del film: egli è deciso a portare a termine la sua vendetta a qualunque costo, anche se Dio poi gliene facesse pagare il pegno, rendendolo un reietto come Caino. E difatti, dopo il più classico dei finali western che vede il buono e il cattivo a confronto, come Caino (e come una creatura della notte al sopraggiungere dell’alba) Hamilton si lascia dietro le spalle la sua casa, la “terra promessa” appena ritrovata, per il vasto mondo. E, forse, ricominciare.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiElLvd1RlkNT1EYzMSGMGX-D5cB1Kn7f4dMklF_NLetaoWiOvgH__Vd9SmdKOxbuPLokL8MPWc6b4qGZyYlotnswpmlDLuk2g3GgTa6nlXZI7UHsFTd0ym-UuFgRpLzHgHdTtDkinYy3Dh/s1600/diodissecaino.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiElLvd1RlkNT1EYzMSGMGX-D5cB1Kn7f4dMklF_NLetaoWiOvgH__Vd9SmdKOxbuPLokL8MPWc6b4qGZyYlotnswpmlDLuk2g3GgTa6nlXZI7UHsFTd0ym-UuFgRpLzHgHdTtDkinYy3Dh/s1600/diodissecaino.PNG" /></a></div>
Probabilmente nessuno, se non Klaus Kinski, avrebbe potuto incarnare meglio il personaggio di Gary Hamilton. Un Klaus Kinski particolarmente ispirato, che ha dato un volto che mai si era visto prima (e mai sarà visto dopo) al desiderio di vendetta. Quello di un uomo dall’animo pieno di luci ed ombre, eppure nonostante il risentimento onesto abbastanza da riconoscere che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli. Lasciate perdere <em>Kill Bill, Lady Snowblood</em> o la famosa trilogia del coreano <span dir="auto"><em>Park Chan-Wook</em></span>: la vendetta sta di casa negli occhi schizofrenici e psicopatici di Klaus Kinski!<br />
Non c’è da stupirsi, considerata la bizzarra (per usare un eufemismo) vita dell’attore. Dopo un’infanzia triste e caratterizzata da precoci esperienze sessuali, sembra anche con la sorella, Klaus viene segnato, nel corso della seconda guerra mondiale, dalla terribile esperienza della prigionia. A ventisei anni viene ricoverato in manicomio, dove i medici lo definiscono un “pericolo pubblico”. Nella prima pagina della sua cartella clinica si legge: «Diagnosi temporanea: schizofrenia. Definitivo: psicopatia». <br />
Il giovane attore durante l’internamento tentò il suicidio assumendo tre fiale di morfina. Sopravvisse, ma tre giorni dopo assunse nuovamente una dozzina di compresse di sonnifero. In seguito, affetto da una grave infezione alla gola, leggenda narra che se la estirpò da solo con il coltello per non pagare il medico. Anni dopo Klaus Kinski ebbe due figlie e con una di loro, l’attrice Nastassja, avrà si dice una relazione incestuosa. <br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghRraL8qUBFUnAWajpVbRL6D5U-0v3eyWaDn2aXAIJ9IvenA4jmLCzv_2GuFfaEcaBo3ehpwj9ZIAhLsilfMorr1NOOtNChNqtKK8ORTVS6WqJX-jduNFAnHQddYH9JjAWK5Bw4NipN6sn/s1600/diodissecaino2.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghRraL8qUBFUnAWajpVbRL6D5U-0v3eyWaDn2aXAIJ9IvenA4jmLCzv_2GuFfaEcaBo3ehpwj9ZIAhLsilfMorr1NOOtNChNqtKK8ORTVS6WqJX-jduNFAnHQddYH9JjAWK5Bw4NipN6sn/s1600/diodissecaino2.PNG" /></a></div>
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Ma Kinski era davvero un pazzo oppure solamente un personaggio un po’ originale? I concetti di schizofrenia e di psicopatia sono tuttora molto vaghi. Spesso si ricorre a certi appellativi quando non si riesce a definire altrimenti alcuni comportamenti del paziente. Distacco emotivo, assenza di emozioni, incapacità di concentrazione, mancanza di motivazione sono alcuni sintomi che caratterizzano schizofrenia e psicopatia. Ho diversi colleghi che manifestano questi sintomi, ma da qui a definirli psicopatici ce ne passa. C’è inoltre da considerare il momento storico nel quale queste malattie furono riscontrate in Kinski. La seconda guerra mondiale è stata dura per tutti, molto di più evidentemente per chi ha sperimentato la prigionia. Inoltre quanto più spesso venivano liquidati come pazzi persone normalissime che l’inesperienza dei medici non riusciva a classificare diversamente? Non dimentichiamoci che pratiche criminali come la lobotomia sono state abbandonate quasi completamente solo all'inizio degli anni settanta, e alcuni paesi (Francia, Belgio, Regno Unito) hanno continuato ad applicarle, sebbene su scala ridotta, anche negli anni ottanta. Kinski era quindi probabilmente solo un solitario, una persona timida e riservata e, di conseguenza, spesso violenta ed irascibile. Spesso e volentieri i registi che si trovavano a lavorare con lui dovevano sottostare ai suoi capricci ed erano molti coloro che lo odiavano. </div>
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Per sua sfortuna Antonio Margheriti non gli era da meno. A proposito di questo film, Edoardo Margheriti, il figlio del regista, ci racconta: <em>“La corda si spezzò dopo pochissimi giorni di riprese: stavano girando dentro delle caverne, quando Kinski ebbe una delle sue crisi da primadonna e stava per lasciare il set. Antonio non ci vide più dalla rabbia e cominciò ad insultarlo, arrivando anche a tirargli dietro uno dei fucili di scena. Curiosamente, questo gesto accrebbe smisuratamente il rispetto di Kinski per Antonio e tornò sul set docile come un cagnolino, completando il film senza dargli ulteriori fastidi. Klaus era un "animale" da cinema, e probabilmente voleva sentirsi "dominato" dalla persona preposta a dirigerlo. Infatti in seguito ebbe un rapporto straordinario con Antonio, lavorando in molti altri suoi film. Credo che <b>Antonio Margheriti</b> e <b>Werner Herzog</b> furono i soli due registi a creare un rapporto di superiorità, e conseguentemente di collaborazione e stima, con Klaus Kinski.“</em></div>
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Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com11tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-57720578053763937452015-03-23T21:08:00.000+01:002015-03-23T22:19:59.331+01:00Boomstick Award – Edizione 2015<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<a href="http://3.bp.blogspot.com/-rplb7jERYW4/VQsv_hKhoYI/AAAAAAAAHLQ/sNLlYmSAbmw/s1600/boomstick2015-Small.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/-rplb7jERYW4/VQsv_hKhoYI/AAAAAAAAHLQ/sNLlYmSAbmw/s1600/boomstick2015-Small.png" height="640" width="315" /></a></div>
E fu così che sbarcò anche su "Obsploitation" l'ambito "BOOMstick Award”, ideato da HellGraeco (aka Hell), padre biologico del blog <a href="http://www.bookandnegative.com/" target="_blank"><b>Book and Negative</b></a>. Credo che mai prima d’ora scrivere un post sia stato così facile e rapido, visto che tutto quello che leggerete oggi non è altro che uno spudorato copia e incolla del post uscito solo pochi giorni fa su Obsidian Mirror... Quello che cambia è solo il nome dei premiati, che trovate più in basso...<br />
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Eccoci quindi qua. Che dire questa volta? Sono commosso! Commosso e... scisso. Scisso perché c'è un buon 99% di me che rifugge sistematicamente da premi e premietti di ogni specie. Per il Bookstick però di solito faccio un eccezione, se non altro perché, tra i tanti che “infestano” la rete, mi permette di cavarmela senza metterci troppo impegno. Il premio, per la cronaca e per i posteri, mi è stato assegnato nei giorni scorsi da Miki del blog <a href="http://mikimoz.blogspot.it/2015/03/boomstick-award-2015-scrivi-per-fus.html" target="_blank"><b>Moz o'clock</b></a>, un blog cinico, sessista, classista e di sicuro qualcos'altro che al momento non mi sovviene. Le motivazioni? Miki, nel suo post, ha dichiarato di aver voluto premiare il sottoscritto perché, rispetto a Obsidian Mirror, “<i>è più... underground e tiene molto conto di produzioni cult italiane. Per appassionati, ma anche per appassionarsi.". </i>Tutto chiaro? Bene.<br />
L’ennesimo meme, vi chiederete? Volendo ben guardare è proprio così: trattasi di uno di quegli ormai temutissimi meme, che di tanto in tanto si fanno largo, incontrollati, nella rete. Ci sono però, come accennavo sopra, alcuni aspetti positivi che distinguono questo “award” dai propri simili: 1) non viene richiesta risposta ad una serie interminabile di domande, 2) non viene richiesta l’elaborazione di ulteriori quesiti per i successivi malcapitati, 3) l’assegnazione dell’award è un puro e semplice riconoscimento per l’attività del “vicino di casa”, il che di conseguenza fa in modo che 4) non si scatenino lunghi e interminabili “meme di ritorno”, usati sadicamente come ritorsione nei confronti dei cosiddetti “untori”.</div>
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<a href="http://1.bp.blogspot.com/-xm0qHroTcUg/VQswAq8YleI/AAAAAAAAHLY/QKkWH98OPWw/s1600/bitch_please_2015-Small.png" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/-xm0qHroTcUg/VQswAq8YleI/AAAAAAAAHLY/QKkWH98OPWw/s1600/bitch_please_2015-Small.png" height="320" width="226" /></a></div>
Passiamo quindi rapidamente alle regole previste dal "BOOMstick Award”, semplici e inviolabili:<br />
<b>Regola n. 1</b>: i premiati sono 7. Non uno di più, non uno di meno. Non sono previste menzioni d’onore.<br />
<b>Regola n. 2</b>: i post con cui viene presentato il premio non devono contenere giustificazioni di sorta da parte del premiante riservate agli esclusi a mo’ di consolazione.<br />
<b>Regola n. 3</b>: i premi vanno motivati. Non occorre una tesi di laurea. È sufficiente addurre un pretesto.<br />
<b>Regola n. 4:</b> è vietato riscrivere le regole. Dovete limitarvi a copiarle, così come Hell le ha concepite.<br />
I vincitori possono a loro volta assegnare il premio ad altri 7 blogger, ma non arrogarsi la paternità del banner: quella va riconosciuta a Hell di <a href="http://www.bookandnegative.com/" target="_blank"><b>Book and Negative</b></a>.<br />
L’assegnazione del premio deve rispettare le 4 semplici regole sopra esposte. Qualora una di esse venga disattesa, il Boomstick Award sarà annullato d’ufficio e, in sostituzione, verrà assegnato il Bitch Award che, al contrario del primo, porta grande sfiga sul malcapitato.<br />
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Passiamo ora alle premiazioni. Le mie scelte quest’anno derivano da un'operazione da super furbetto nascosta tra le pieghe del trecentesimo post pubblicato sul mio blog gemello. Avevo già preventivamente assegnato il Boomstick ai sette più voraci lettori di Obsidian Mirror. A questo punto, avendo ricevuto un premio anche qui, non mi resta che trovare un nuovo metodo ancora più furbetto. Considerato che su Obspolitation non verranno mai sette commentatori in un colpo solo, assegno il Boomstick ai secondi sette commentatori del post già citato. Ahahah. [Risata sadica]. I fortunati (o sfortunati, dipende dai punti di vista) vincitori sono ordunque i seguenti:</div>
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<span style="font-size: large;"><b>1)<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span></b><span style="white-space: pre;"><b><a href="https://plus.google.com/102810293123229452162/about" target="_blank">Marco Lazzara</a></b></span></span></div>
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<b>...perché </b>Marco è stato l'ottavo a venire a commentare il post del tricentenario di Obsidian Mirror, ma anche per la sua capacità di infiltrarsi dappertutto mantenendo fede alla sua identità di blogger senza blog. P.S.: E a questo punto sono curioso di vedere come riuscirà ad accettare questo premio...<br />
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<b><span style="font-size: large;">2)<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span><a href="http://fronteretro.blogspot.it/" target="_blank">Fronte e retro</a></span></b></div>
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<b>- perché </b>Max è stato il nono a venire a commentare il post del tricentenario di Obsidian Mirror, ma anche per le sue "osservazioni poco sistematiche" e per le sue "riflessioni confuse" (così dice lui), In realtà Max è un gran osservatore del mondo che ci circonda, ed è in grado di offrire riflessioni argute e il più delle volte condivisibili. Se il suo sito fosse l'unico del web, probabilmente si potrebbe ancora avere un'idea chiara di come gira il mondo </div>
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<b><span style="font-size: large;">3)<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> <a href="http://ivanolandi.blogspot.it/" target="_blank">Ivano Landi</a></span></span></b></div>
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<b>- perché </b>Ivano è stato il decimo a venire a commentare il post del tricentenario di Obsidian Mirror, ma anche perché in poco più di un anno è riuscito a mettere in piedi un vero capolavoro che guardo con malcelata invidia. Il fatto poi di essere il commentatore più assiduo di Obsploitation aggiunge solo punti...<br />
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<b><span style="font-size: large;">4)<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span></span></b><span style="font-size: large;"><b><a href="http://bollalmanacco.blogspot.it/" target="_blank">Il bollalmanacco di cinema</a></b></span></div>
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<b>- perché </b>Erica è stata l'undicesima a venire a commentare il post del tricentenario di Obsidian Mirror, ma anche perché vado pazzo per il modo in cui demolisce le pellicole più scrause. La sua rubrica "on-demand", inoltre, è semplicemente geniale... anche se, ora che ci penso, la mia ultima richiesta sta tardando a venire soddisfatta...<br />
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<span style="font-size: large;"><b>5) <a href="http://sicilianamente.blogspot.it/" target="_blank">Sicilianamente</a></b></span><br />
<b>- perché </b>Alessia è stata la dodicesima a venire a commentare il post del tricentenario di Obsidian Mirror, ma anche perché è la commentatrice che ogni blog vorrebbe avere, capace di regalare ad ogni post che visita un immenso valore aggiunto. Aggiungo anche, con l'occasione, un grazie anticipato per quella cosa che sai ^_^<br />
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<b><span style="font-size: large;">6) <a href="http://bibliomaniarecensioni.blogspot.it/" target="_blank">Bibliomania</a></span></b><br />
<b>- perché </b>Camilla è stata la tredicesima a venire a commentare il post del tricentenario di Obsidian Mirror, ma anche perché il suo blog continua imperterrito a marciare a singhiozzo (ma so per certo che la fanciulla è sempre molto sensibile a questi piccoli "incitamente"). Forza Cami!<br />
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<b><span style="font-size: large;">7) </span></b><span style="font-size: large;"><b><a href="http://www.pensierospensierato.net/" target="_blank">Pensiero spensierato</a></b></span><br />
<b>- perché </b>Donata è stata la quattordicesima a venire a commentare il post del tricentenario di Obsidian Mirror, ma anche perché il suo blog è uno di quelli storici del mio blogroll, uno dei primissimi, un blog che amo, che ho sempre amato e che amerò per sempre (anche se Wordpress è un casino da commentare).<br />
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Ecco, questo è quanto, come vedete è stato facile e indolore. E ho pure rispettato il fatidico regolamento. ^_^ Adesso però basta giocare. Ad aprile si ricomincia a bloggare sul serio. </div>
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Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com21tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-62652146436065622462015-03-16T08:10:00.000+01:002015-03-16T08:10:00.335+01:00Circuito chiuso<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEizsPV81y66LVZye5UoiMLqYwzo5sPRRkgHE_JiRfT24MYLM5PJiugjE59X4YCGYBlrGJpw4q4FnnaeL9_ec_mpAVyarb-TzCcGi0IoYRbJ59ifKB7pj_3Ja7oeItcwqUS_YmHPJx2lX-40/s1600/circuitochiuso.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEizsPV81y66LVZye5UoiMLqYwzo5sPRRkgHE_JiRfT24MYLM5PJiugjE59X4YCGYBlrGJpw4q4FnnaeL9_ec_mpAVyarb-TzCcGi0IoYRbJ59ifKB7pj_3Ja7oeItcwqUS_YmHPJx2lX-40/s1600/circuitochiuso.jpg" height="400" width="275" /></a>Ci sono dei momenti della propria vita che, per qualche ragione indecifrabile, rimangono impressi più di altri nella memoria. A volte sono dei ricordi ben precisi: un compleanno, una giornata al mare, un esame superato. Altre volte sono solo delle immagini decontestualizzate: un volto, un oggetto, un odore, un dolore. Ma altre volte ancora non sono che dei suoni: la canzone che ha fatto da colonna sonora ad un avvenimento importante o ad un particolare periodo della propria vita. Immagini e suoni talvolta si fondono, talvolta si intrecciano, talvolta si sovrappongo. Al punto che ci chiediamo spesso se quello che ricordiamo sia davvero avvenuto o non sia magari solo quello che crediamo (o desideriamo) sia avvenuto.</div>
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Prendete una vostra fotografia, una di quelle che vi hanno scattato quando eravate piccoli, una di quelle che negli anni avete guardato un milione di volte. Vi avranno senz’altro raccontato mille particolari del giorno in cui quella foto è stata scattata: vi avranno indicato il giorno, il luogo, il nome di eventuali presenti. Quante di queste informazioni appartengono in realtà ai vostri ricordi? E quante invece sono elaborazioni di quello che vi è stato raccontato? Se in quella foto dimostrate meno di 3 anni, probabilmente sono solo ricordi di altri. Non c’è modo infatti di ripescare nella propria memoria delle immagini che risalgono a quell’età. Perlomeno, io non ne sono capace. Ma c’è una fase successiva, che va di solito dai 3 ai 10 anni, in cui i nostri ricordi iniziano a mescolarsi con quelli degli altri creando scenari che, seppur molto vicini alla realtà, in realtà non sono che ricostruzioni più o meno fedeli di avvenimenti accaduti.</div>
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Tutto questo è particolarmente vero per chi, come me, ha vissuto la propria fanciullezza negli anni Settanta del secolo scorso. Quelli che hanno i ricordi in bianco e nero, così come in bianco e nero erano le fotografie dell’epoca. Quanti di quei ricordi sono reali? Forse sono solo delle elaborazioni: si osserva una fotografia e, come in un sogno lucido, se ne sviluppano i contorni.<br />
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Tutto questo discorso per introdurre il post di oggi, rivisitazione di un post pubblicato tre anni fa sul mio blog principale, e che è incentrato su una cosa che vidi da bambino. Una cosa che, per decine di anni, ho solo creduto fosse un falso ricordo dovuto alla mia fervida immaginazione.</div>
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Nel mio ricordo c’era questo film in bianco e nero. Più che un film c’erano degli spezzoni, delle scene isolate. Era qualcosa che mi aveva certamente terrorizzato, qualcosa che aveva sconvolto a fondo la mia sensibilità di bambino. Qualcosa che mi sarei portato dietro, sotto forma di sensazione, attraverso gli anni e fino al nuovo millennio. Mi ricordavo di un cinema. Ma non ero io ad essere in un cinema. Il cinema era l’ambiente in cui si svolgevano i fatti. Sullo schermo veniva trasmesso un film western. Un film con la classica sparatoria tra i buoni e i cattivi. Al termine della proiezione si accendevano le luci in sala e, tra il panico generale, si scopriva che uno degli spettatori delle prime file era morto. La sparatoria del western aveva evidentemente coperto il rumore dello sparo che lo aveva ucciso. Arrivava la polizia, il pubblico veniva trattenuto in sala e si tentava una ricostruzione dei fatti. Come nei più classici gialli, veniva chiesto a ciascuno di prendere posto nella poltrona che occupava al momento dell’omicidio. Nuova proiezione e nuova vittima.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj45HcoKAYnCDnqsi6QpZJljWH4xsvxBjUNOhonOJTMR3v5G2Q20zniLJ7gtT2o-A9vWymYEDGj1UIlH5D_CiAh0EZJTtCkVUUvvQl-lUzIsAE_8SaJZCuc2fxv5PWQ-UNX_vUdw0YE1JCG/s1600/cc6.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj45HcoKAYnCDnqsi6QpZJljWH4xsvxBjUNOhonOJTMR3v5G2Q20zniLJ7gtT2o-A9vWymYEDGj1UIlH5D_CiAh0EZJTtCkVUUvvQl-lUzIsAE_8SaJZCuc2fxv5PWQ-UNX_vUdw0YE1JCG/s1600/cc6.PNG" /></a></div>
Ho sempre creduto di aver solo immaginato tutto questo. Nessun’altro da me interpellato aveva mai visto o sentito parlare di un film del genere. Non ricordavo nessun particolare, né il titolo, né i nomi o i volti degli attori. Col tempo si era radicata in me la convinzione che mi fossi inventato, o che avessi sognato, tutto. Ne ero convinto al punto che più avanti, mi dicevo, ne avrei scritto un romanzo, che sarebbe diventato un best-seller e da cui, un giorno, qualcuno avrebbe realizzato un film.</div>
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In realtà un piccolo particolare mi pareva di ricordarlo: il titolo conteneva in qualche modo la parola “circuito”. Ma quale poteva essere il titolo esatto? Forse “Corto Circuito”? Chissà…</div>
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Fatto sta che il tempo trascorse e alla fine me ne dimenticai completamente per oltre vent’anni. In tutto quel tempo mai una prova, mai un solo indizio, che mi potesse far capire se quello che avevo ormai rimosso fosse realtà o una mia fantasia. Nulla, in poche parole, che mi potesse far tornare in mente quella… cosa. Un giorno però, senza una precisa ragione, mi tornò in mente. Quelle scene non le avevo dimenticate. Erano soltanto rinchiuse da qualche parte in fondo alla mia testa. Le immagini, è vero, erano molto più sfumate, ma era rimasta in me una indescrivibile sensazione di disagio.</div>
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Ma la domanda era ancora la stessa: realtà o fantasia? Se fosse stato reale, come mai non ne avevo mai più sentito parlare? Se fosse stato un vero film quello che mi ricordavo, come mai in vent’anni non era mai stato replicato?</div>
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Il mondo però nel frattempo fortunatamente era cambiato. Era arrivato il World Wide Web! Se il film esisteva, in qualche modo ne avrei trovato traccia. Qualcun altro, uno sconosciuto, magari lontano centinaia di chilometri, avrebbe sicuramente potuto aiutarmi a chiarirmi le idee. La difficoltà è che non avevo molti indizi per una ricerca. Provai così a googlare termini come “Circuito”, “Cinema”, “Settanta”. Niente di rilevante. Con un punto di partenza così misero le possibilità erano esigue. Cominciai a frequentare forum specializzati nel cinema anni Settanta e finalmente qualcuno mi indirizzò su un sito intitolato "Vicolo Stretto". L’avevo trovato! Non era una mia fantasia. Il titolo era “Circuito Chiuso”. La regia di <b>Giuliano Montaldo</b>. La parte del protagonista affidata a <b>Flavio Bucci</b>. Ma certo, come avevo potuto dimenticarlo? Colui che aveva dato il volto a <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Ligabue" target="_blank"><b>Ligabue</b></a> nel famoso sceneggiato televisivo<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhmGrEkcyeHgORfHKrMh1k6t519w4y0MwfQuknMSkVkmL59p8-f83Ot23ACuvv_7jBsTQKDVYBmnOU3Kizn537jZjGf8YjGj26FLMVxxHFxsxmH-jRbBTPqwz3Yup6_8bPHNo3KAMRPjitT/s1600/cc3.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhmGrEkcyeHgORfHKrMh1k6t519w4y0MwfQuknMSkVkmL59p8-f83Ot23ACuvv_7jBsTQKDVYBmnOU3Kizn537jZjGf8YjGj26FLMVxxHFxsxmH-jRbBTPqwz3Yup6_8bPHNo3KAMRPjitT/s1600/cc3.PNG" /></a>La recensione che trovate su <a href="http://www.vicolostretto.net/circuito_chiuso.html" target="_blank"><b>VicoloStretto</b></a> è molto ben fatta ed approfondisce come mai avrei potuto sperare il tema e i retroscena del film. Raccomando a tutti di andarsela a leggere, ma sappiate che, se vi ho incuriosito e se avete una mezza idea di andarvi poi a cercare il film, verrete beffardamente spoilati. In questo caso allora rimanete qui: ve ne parlerò senza rivelarvi l’incredibile finale.</div>
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Si tratta di un film televisivo che fu presentato fuori concorso al ‘<b>Premio Italia’ del 1978</b>, e trasmesso l’anno successivo sulla seconda rete Rai all’interno del ciclo "<b>Tv cinema: 5 film italiani per la televisione</b>." Tra l’altro il film era a colori, e non in bianco e nero come io lo ricordavo. E qui mi riallaccio a quando detto all’inizio: i ricordi sono spesso delle rielaborazioni della mente.<br />
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La trama in poche parole: in un cinema di Roma, durante il primo spettacolo del pomeriggio, mentre sullo schermo si svolge la scena del duello di un film western uno spettatore viene ucciso con un colpo di pistola. Dilaga il panico, le uscite vengono bloccate e viene fatta intervenire la polizia. Inizia così il giallo nel suo formato più classico: quello cosiddetto “della porta chiusa”. Diversi indiziati, bloccati in un luogo da cui non si entra né esce e nel cui perimetro avviene un delitto. Il colpevole è sicuramente uno degli indiziati e sarà compito dell’investigatore smascherarlo facendo appello alla logica. Il commissario interroga tutti e cinquantaquattro gli spettatori ma, diversamente da quanto accade nei gialli di Agatha Christie, non viene a capo di nulla. Si fa notte e gli indiziati iniziano a dare segni di insofferenza. Si decide di ricostruire l’accaduto con una nuova proiezione: tutti devono tornare ai posti che occupavano al momento dello sparo; un dipendente della sala cinematografica si offre volontario per occupare la poltrona del morto. Dalla cabina di proiezione parte la pellicola. Il film avanza tra la noia generale fino alla scena della sparatoria. Bang! Accade di nuovo.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixRJoCvY3BuejnBimbYYSdXvltNxvaJrGPkoQutyeUKJsBsy3f7tKcSTz_p3FRH3ceH650Zj0xlB-J-vPmktSOulsr1LDjTJmghFVvUp1w3HHQF_iBgdvVoDI8NctOoat3GJxYi9tQ-Bh6/s1600/cc1.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixRJoCvY3BuejnBimbYYSdXvltNxvaJrGPkoQutyeUKJsBsy3f7tKcSTz_p3FRH3ceH650Zj0xlB-J-vPmktSOulsr1LDjTJmghFVvUp1w3HHQF_iBgdvVoDI8NctOoat3GJxYi9tQ-Bh6/s1600/cc1.PNG" /></a>Sulla stessa poltrona c’è un secondo cadavere, anche lui ucciso da un colpo di pistola. Un sociologo presente in sala (<b>Flavio Bucci</b>) propone agli inquirenti una sua bizzarra teoria, secondo la quale vi sarebbe uno strano collegamento tra le morti e la poltrona stessa, qualcosa ai limiti della logica. Qui la narrazione si fa avvincente e i brividi iniziano a scorrere lungo la schiena. Mistero? Paranormale? Maledizioni? L’unico indizio è un foro di pallottola trovato al centro dello schermo. Il questore, sopraggiunto per dare una scossa a delle indagini che sembrano non portare a niente, ordina un’altra ricostruzione durante la quale egli siederà personalmente sulla sedia ‘maledetta’. Tutti riprendono posto, e riparte il film. </div>
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Mi fermo qui. Il finale è quello che non ti aspetti. È quello che ha tormentato i miei sonni di bambino e che adesso, dopo tanti anni, riappare improvvisamente, in tutta la sua chiarezza, negli occhi un po’ più smaliziati di un adulto. Tra gli interpreti è necessario citare un giovane <b>Giuliano Gemma</b>. Questo tecnicamente è corretto, sebbene Gemma non reciti effettivamente in “Circuito Chiuso”, ma solo in un breve inserto metacinematografico (Giuliano Gemma è infatti un personaggio del film western che viene proiettato sul grande schermo del cinema e che fa da sfondo alla vicenda principale). Il film western, per inciso, è un vero film western. Trattasi di “<a href="http://www.imdb.com/title/tt0062618/" target="_blank"><b>E per tetto un cielo di stelle</b></a>”, film del 1968 per la regia di <b>Giulio Petroni</b>. Inoltre, in un ruolo secondario, recitava anche <b>Marzio Honorato</b>, assurto alla notorietà in tempi molto più recenti come interprete storico della soap “<i>Un posto al sole</i>”.</div>
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Ci tengo a sottolineare che, diversamente da altri film visti durante la mia infanzia, questo non ha perso un briciolo del suo fascino una volta che l’ho rivisto da adulto. Ora come allora la trama mi ha coinvolto e mi ha lasciato una profonda impressione.</div>
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Non è stato facile recuperare il film per potermelo rivedere. Ci ho messo almeno un altro anno. La pellicola probabilmente giace dimenticata da tempo immemore negli immensi archivi della RAI. Forse qualche volta sarà passato in replica, ma certamente sarà stato a qualche ora assurda della notte. “Circuito chiuso” purtroppo non è un blockbuster, non è qualcosa di cui si parla, non è nemmeno uno di quei film anni Settanta che alcuni rari blog specializzati recensiscono di tanto in tanto. E’ qualcosa invece di tremendamente particolare, che si chiude con un messaggio direi sufficientemente destabilizzante da far sì che venga fatto sparire nell’oblio: quello che “<b>di immagini si può morire</b>”. Geniale!</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3vHattcWJiWNQCKgcKgTYSOELAPrJTLBkM5vTCn5TiKBgRY8GJemIeow0rrZWGk4w4NN4ChO7Xj9mnJClMzrA-XDQshLm8oemCpjBPvx0nFumszIGbvaMfPXmig38SYkVx1_cT2w4F_Xh/s1600/cc7.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3vHattcWJiWNQCKgcKgTYSOELAPrJTLBkM5vTCn5TiKBgRY8GJemIeow0rrZWGk4w4NN4ChO7Xj9mnJClMzrA-XDQshLm8oemCpjBPvx0nFumszIGbvaMfPXmig38SYkVx1_cT2w4F_Xh/s1600/cc7.PNG" /></a></div>
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Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com11tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-7042434546382665362015-02-16T21:07:00.000+01:002015-02-16T21:07:29.251+01:00Le scomunicate di San Valentino<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBv4BDsb6dW0Lr-hgcY9JEgO12Hn9CBlfk0gyHAiF6AqLYPXcNclGYrEuIDCAKY5rxC5QwEzTg7KkJFEvuOJKwTq16qrh4aFKxw2d6OukReujmw7i9PPSCSUOlQZWK_BXEXZxxVULmERg9/s1600/sinful+nuns-vo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBv4BDsb6dW0Lr-hgcY9JEgO12Hn9CBlfk0gyHAiF6AqLYPXcNclGYrEuIDCAKY5rxC5QwEzTg7KkJFEvuOJKwTq16qrh4aFKxw2d6OukReujmw7i9PPSCSUOlQZWK_BXEXZxxVULmERg9/s1600/sinful+nuns-vo.jpg" height="400" width="281" /></a></div>
Nell'attesa di trovare il tempo per tirare le somme sui tanti dubbi che mi assillano, e che ho illustrato nel <a href="http://obsploitation.blogspot.it/2015/01/obsploitation-for-dummies-2.html" target="_blank">post precedente</a>, lascio che il blog riprenda il suo normale corso, posticipando a data da destinarsi qualsiasi decisione. Colgo l'occasione della (appena trascorsa) festa di San Valentino per andare a riscoprire un film che, a parte l'ovvietà del titolo, ha parecchio a che fare con la festa degli innamorati.</div>
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Avrei voluto uscire con questo articolo già un paio di giorni fa ma, complice una trasferta di lavoro che mi ha trattenuto lontano dalla mia città per tutto il weekend, riesco solo oggi a realizzare quelle che erano le mie intenzioni.</div>
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Ho riscoperto qualche settimana fa questa interessante rivisitazione del tema shakespeariano di Romeo e Giulietta, girato nel 1974 da Sergio Grieco, un regista che forse non tutti conoscono ma che andrebbe di diritto iscritto nella lista dei grandi maestri del nostro cinema bis. Estremamente versatile, Grieco giunge a girare "Le scomunicate di San Valentino" solo negli ultimi anni della sua trentennale carriera, dopo aver attraversato e sperimentato quasi tutti i generi, dalla commedia (memorabile "Non è vero... ma ci credo" con Peppino De Filippo del 1952) al film storico (Giovanni dalle Bande Nere, 1956) fino al poliziottesco (La belva col mitra, 1977), passando inevitabilmente per l'exploitation, come dimostra appunto il film di cui parliamo oggi.<br />
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Si narrano le vicende di Lucita de Fuentes e di Esteban Albornozma, due giovani innamorati il cui amore è vittima del feroce odio che, da intere generazioni, scorre tra le rispettive famiglie. Un tema, quello dell'amore impossibile, che, seppur usato e abusato milioni di volte, non manca ancora oggi di appassionare il pubblico, specialmente nel periodo in cui San Valentino bussa alle porte del calendario.<br />
Verona non c'entra nulla in questo caso, come forse si è intuito dai nomi dei protagonisti. Il contesto è quello della Spagna cinquecentesca, quella degli anni terribili dell'Inquisizione, un contesto che sicuramente non è l'ideale per l'amore clandestino dei due giovani.<br />
Incontriamo infatti Lucita tra le spesse mura di un convento, segregata per volere del padre in attesa di prendere i voti affinché i suoi "sogni di gloria" possano smorzarsi definitivamente. Esteban, dal canto suo, non è messo meglio: accusato ingiustamente di eresia, lo troviamo alle prese con i soldati dai quali, seppur ferito, riesce a fuggire. Il giovane si rifugerà presso il convento Sagrestano di San Valentino, lo stesso convento dove è rinchiusa Lucita.<br />
Tutto facile? Nemmeno un po', perché non è solo dall'Inquisizione che i due giovani dovranno guardarsi, ma anche dalle malvagie trame di Doña Encarnacion, la Madre Superiora che, per tenere lontana la curiosità di Padre Onorio, il temibile inquisitore, dalle proprie perversioni, non esiterà a accusare Lucita dell'omicidio di una consorella.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZPRVoFKmRfvo1iYVQKA7-IkL0EIdg6ux6IeIxlUQ-2QsiBRR-ZO_uMJHxKDsJBV8lXTAMoTegoqhzzfwN9HHnW0Ao3idjMyJ82jAChXgh5LkTYHbQjqmxACWoFpMdmfBxCmE7cafwghuA/s1600/sanval2.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZPRVoFKmRfvo1iYVQKA7-IkL0EIdg6ux6IeIxlUQ-2QsiBRR-ZO_uMJHxKDsJBV8lXTAMoTegoqhzzfwN9HHnW0Ao3idjMyJ82jAChXgh5LkTYHbQjqmxACWoFpMdmfBxCmE7cafwghuA/s1600/sanval2.PNG" /></a></div>
I riferimenti alla vicenda di Romeo e Giulietta sono evidenti (anche se i titoli di testa concedono i crediti ad un racconto di Victor Hugo) ma, nel caso de "Le scomunicate di San Valentino", i nostri eroi si trovano immersi in un universo di tutt'altro tipo, molto meno virginale dell'originale shakespeariano. Esteban e Lucita sono immersi in un puro universo "nunsploitation" nel quale gli ideali romantici lasciano spesso il posto all'erotismo, più o meno accentuato, delle attività saffiche che avvengono segretamente tra le mura del convento. Un erotismo, nel caso della pellicola di Grieco, che però si discosta da quello canonico, apparendo in più di un'occasione molto morbido e secondario rispetto alla trama principale. Non mancano tuttavia grandi scene di abusi e torture, tra le quali spicca una "istruttiva" punizione a suon di frustaste riservata a una sorella "indemoniata". Il virgolettato sulla parola "istruttiva" è d'obbligo perché non è dalla tecnica di tortura, tutt'altro che originale, che l'attenzione dello spettatore viene catturata, quanto dalla rivelazione del male (aspetto che oggi appare ovvio, ma che poteva non esserlo all'epoca).<br />
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Se state cercando un'ondata di depravazione sessuale tra suore non è quindi questo il film che fa per voi. "Le scomunicate di San Valentino" è gradevole, ben ritmato, e beneficia della presenza di una Jenny Tamburi, nel ruolo di Lucita, all'apice della sua bellezza.<br />
Viene spesso però a mancare la logica ne "Le scomunicate di San Valentino". La sceneggiatura e il montaggio fanno acqua da tutte le parti e questi sono gli aspetti che rendono il tutto, nel suo complesso, difficile da promuovere a pieni voti. Si passa, per esempio, dal giorno alla notte (e poi ancora al giorno) nel giro di poche inquadrature, vi sono ovunque ambienti inspiegabilmente illuminati a giorno (incluse le segrete) e si è testimoni del bizzarro fenomeno che vuole che suore murate vive, nel momento in cui vengono sopraffatte dalla sete, possano trovare sollievo nel lesbismo.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8VOwuR0F6lyklXlazxtxbUgktP5EfLPrMCmpOAZQIjiXZc4NqvrEwXUWdm895JMgWh2iX7lOK3r3mw8zAQXdrqkbuefrisFVJKzgeqb7v08HsQnlBw18qP3MGzd6AvMcBsRqSHwje2DD2/s1600/sanval1.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8VOwuR0F6lyklXlazxtxbUgktP5EfLPrMCmpOAZQIjiXZc4NqvrEwXUWdm895JMgWh2iX7lOK3r3mw8zAQXdrqkbuefrisFVJKzgeqb7v08HsQnlBw18qP3MGzd6AvMcBsRqSHwje2DD2/s1600/sanval1.PNG" /></a>La narrazione, lenta ma accurata nella prima ora, prende decisamente una brusca accelerazione nel finale, dove tutto sembra volersi risolvere il più velocemente possibile. Le già citate suore, una volta murate, vengono liberate nel giro di pochi minuti (il che rende ancora più inspiegabile il loro comportamento). Ma è soprattutto Esteban il personaggio che più di ogni altro dà da pensare: sebbene la sua figura nasca per rappresentare quella dell'eroe romantico perdutamente innamorato della sua principessa, egli non pare pensarci troppo sopra quando, a metà del film, decide di infilarsi tra le lenzuola di un'infoiata Doña Encarnacion. Si tratta di un clamoroso twist? Niente di tutto questo: Esteban, un istante dopo l'amplesso, torna ad essere un cavaliere senza macchia e senza paura, mettendo a rischio la propria vita per la salvezza della sua amata.<br />
Il finale è in cima alla classifica dei finali più patetici della storia del cinema ma, fortunatamente, a quel punto la maggior parte degli spettatori ne ha sicuramente già abbandonato la visione.</div>
Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com11tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-55240122620778180642015-01-30T00:01:00.000+01:002015-01-30T00:01:00.489+01:00Obsploitation for dummies #2<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZE4P5rOry9CJnAvyc_FdnpTQfGH5RREu_QgwyczHFfhuMtGjC8URGl6sSNiL15kidnAyiKX5-ytEg_KBKSH_PE0aGBkHAToIAdQl9a27UxB-s8k3qnffB6Pz2Dwt2qZxd4V_aWBn9uDPN/s1600/obs4dum2.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZE4P5rOry9CJnAvyc_FdnpTQfGH5RREu_QgwyczHFfhuMtGjC8URGl6sSNiL15kidnAyiKX5-ytEg_KBKSH_PE0aGBkHAToIAdQl9a27UxB-s8k3qnffB6Pz2Dwt2qZxd4V_aWBn9uDPN/s1600/obs4dum2.PNG" height="400" width="301" /></a></div>
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Ritorna oggi a grandissima richiesta la rubrica “<i><b>Obsploitation for dummies</b></i>”, con la quale mi svesto dei miei usuali panni di cinefilo per dedicarmi alle più insulse chiacchere da bar. L’occasione è la ricorrenza del 30 gennaio, data in cui, esattamente un anno fa, vide la luce questo microscopico blog di cinema. Oggi è quindi il giorno dei festeggiamenti! È il momento di spegnere la candelina sulla torta! Sembra incredibile. </div>
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Chi avrebbe mai detto che saremmo arrivati così avanti? Un anno non è molto in confronto a tanti altri blog che “infestano” la rete, ma è sicuramente tantissimo per <i>Obsploitation</i>, un timido granello di sabbia ideato e partorito in una fredda mattina di gennaio come side-project di “<a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/" target="_blank"><i><b>The Obsidian Mirror</b></i></a>”.
Non ero affatto certo di ciò che stavo facendo quando, esattamente un anno fa, mi misi a scrivere quel mio <a href="http://obsploitation.blogspot.it/2014/01/obsploitation-has-landed.html" target="_blank">primo post</a>. Più volte fui sul punto di lasciar perdere e abbandonare del tutto l’idea, conscio del fatto che il tempo da dedicare ad un secondo blog non lo avrei mai avuto. Ricordate le mie parole di allora? <i>"Penserete che sono un pazzo! E probabilmente avete ragione, soprattutto per via della circostanza che vede il nuovo blog sorgere in uno dei periodi più critici di The Obsidian Mirror, un periodo che sta a metà tra quella che sento essere una crisi creativa e la crescente mancanza di tempo che più volte, ultimamente, ha messo a rischio la consueta programmazione del blog. Ma in uno scenario del genere, dove una persona saggia inizierebbe ad elaborare pensieri di chiusura, temporanea o definitiva, dell’attività di blogger, il sottoscritto prende una direzione esattamente contraria: apre un secondo blog!".</i><br />
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Naturalmente misi da subito dei gran bei paletti. Dati i presupposti, grosse promesse non ne potevo fare. Non solo non potevo, ma nemmeno volevo. <i>Obsploitation </i>era un completo salto nel buio, un oggetto nuovo, disponibile “as it is” senza alcuna garanzia a supporto. Non potevo scommetterci grosse somme, anche perché dall’altra parte c’era <i>Obsidian Mirror</i>, un blog ben rodato che iniziava ormai a darmi le prime soddisfazioni e che, naturalmente, non potevo tradire.
Questa “visione” iniziale la misi nero su bianco proprio nel post inaugurale: "<i>Obsploitation, nei miei intenti, non toglierà alcuno spazio a "The Obsidian Mirror", al quale è riservato il compito fondamentale di parlare di me, dei miei progetti, della mia vita, delle mie passioni. Obsploitation è destinato a rimanere un blog di nicchia, subordinato a quello principale. Obsploitation non ruberà dello spazio all'altro blog, così come non gli ruberà del tempo. Obsploitation quindi, volente o nolente, non potrà che avere una frequenza di aggiornamento più lenta, in relazione alle necessità mie e a quelle del blog principale".</i></div>
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Non ricordo se da qualche parte l’avevo scritto, oppure se lo avevo solo pensato: l’obiettivo che mi ero preposto era quello di riuscire a pubblicare almeno un post al mese e di potermi ritrovare, a un anno di distanza, con dodici post in archivio. Se guardiamo la cosa da questo punto di vista, direi che l’obiettivo è stato ampiamente raggiunto: quello di oggi è infatti il <b>ventesimo post</b>, il che significa che <i>Obsploitation </i>ha viaggiato a una velocità di quasi <b>1.6 post/mese</b>. Il muro del suono è ancora lontano ma, come detto, non era quello ciò che mi auspicavo di sfondare. Tutto sommato, ciò in cui davvero speravo era di non essere costretto ad alzare bandiera bianca e a rimangiarmi la parola dopo solo un paio di mesi. </div>
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Diversa è la questione se spostiamo all’esterno il nostro punto di osservazione: dal lato visite e commenti, cioè parlando di visibilità in generale, l’elettrocardiogramma del blog è desolatamente piatto. Non potrebbe essere altrimenti, considerate le premesse. Si raccoglie ciò che si semina e <i>Obsploitation</i>, come agricoltore, non è mai stato un granché. </div>
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A questo punto, che vi piaccia a no, non mi resta che sciorinare qualche statistica, giusto per mettere ben a fuoco la situazione. Sarò breve, non vi preoccupate.
<i>Obsploitation </i>finora ha raccolto un totale di <b>7446 visite</b>, equivalenti a circa <b>600 visite al mese</b>, meno di <b>20 visite al giorno</b>. Praticamente è come se <i>Obsploitation </i>indossasse il mantello dell’invisibilità. Dal punto di vista dei followers questo blog deve praticamente tutto al suo fratello maggiore, dal quale provengono “sulla fiducia” tutti i suoi iscritti. Il contatore in alto a sinistra oggi dice che sono in <b>24</b>: un numero spropositatamente alto se confrontato con il numero di visite. I commenti, al netto delle mie risposte, sono anch’essi decisamente sovradimensionati: ne conto <b>128</b>, il che equivale ad una media di oltre <b>6,5 commenti per post</b>. Il fatto che due terzi dei commenti provengano da soli tre iscritti la dice però lunga sulle reali dimensioni di questo blog ad un anno dalla sua nascita. </div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggsId5zaPC3I9kVaZb-czrz03wJe5YcFVivmU4VTnsdes7vSCheHqL_bNh5wPxCHVIojbHFDxSq6k0vq0edzzqdkGE9zkIAVuqM3ug166btabbDiUp3yHV27ogOOedBuHHM5fxaoiXfn14/s1600/tda.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggsId5zaPC3I9kVaZb-czrz03wJe5YcFVivmU4VTnsdes7vSCheHqL_bNh5wPxCHVIojbHFDxSq6k0vq0edzzqdkGE9zkIAVuqM3ug166btabbDiUp3yHV27ogOOedBuHHM5fxaoiXfn14/s1600/tda.jpg" /></a></div>
La domanda a questo punto sorge spontanea. <b>Vale la pena continuare?</b> Non sarebbe molto più facile invitare quei tre assidui lettori in pizzeria e raccontare loro privatamente ciò che al momento scrivo qui sul blog? La risposta non è affatto scontata.
Se consideriamo in quali acque navigava l’altro mio blog all’epoca del suo primo compleanno, la situazione di <i>Obsploitation </i>non è affatto tragica come sembrerebbe. Il blog<i> Obsidian Mirror</i>, dopo un anno di vita e <b>64 post</b> pubblicati, viaggiava anch’esso alla media di <b>500 visite al mese</b>, ma aveva solo <b>4 lettori</b> e un totale di <b>2 commenti</b> (alla roboante media di <b>0.03 commenti per post</b>). Si tratta quindi solo di aver pazienza? </div>
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Anche no, visto che non sarebbe corretto, come ho appena fatto, “paragonare pere e mele”. A differenza infatti del suo fratello maggiore, <i>Obsploitation </i>non beneficia dello stesso impegno da parte di chi vi scrive e non credo che le cose possano cambiare nel corso del 2015. <i>Obsidian Mirror</i> ha sempre potuto vantare, oggi come allora, tutta la potenza di fuoco disponibile, mentre <i>Obsploitation </i>al massimo ha sparato qualche cartuccia a salve. Che fare quindi? </div>
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Le alternative possibili sono cinque: 1) vado avanti così e me ne frego delle statistiche; 2) chiudo <i>Obsploitation </i>e dedico tutte le mie risorse a <i>Obsidian Mirror</i>; 3) prelevo risorse da <i>Obsidian Mirror</i> e rinforzo la mia presenza qui; 4) trovo il modo di comunicare in maniera più efficace, magari spammando a raffica <i>Obsploitation </i>attraverso i social; 5) trasformo <i>Obsploitation </i>in una rubrica fissa all'interno di <i>Obsidian Mirror</i>. </div>
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Quest’ultima soluzione potrebbe apparire la più ovvia se non finisse per snaturare il concetto stesso di <i>Obsploitation</i>. Ricordate cosa scrissi un anno fa sui motivi che mi avevano spinto ad aprire un secondo blog? "<i>Ci sono cose, di cui mi piacerebbe parlare, che non riescono a trovare spazio in questo blog. The Obsidian Mirror, qualcuno forse lo avrà notato, è tutto sommato un blog “per famiglie”. Sebbene molti in passato lo abbiano definito tetro, macabro o inquietante, tutto ciò è vero solo in apparenza (anzi, credo che spesso sia semplicemente lo sfondo nero che trae in inganno). Nel blog The Obsidian Mirror non c’è traccia né di sesso, non c’è traccia di violenza, non scorre sangue a fiumi e ho sempre tenuto lontano qualsiasi tentazione e proporre immagini crude e disturbanti. Ebbene da oggi, per coloro che hanno fame di sangue, sesso e violenza, c’è Obsploitation, il lato borderline di Obsidian Mirror". </i></div>
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Un’ulteriore soluzione potrebbe essere quella di variare i contenuti al fine di poter raggiungere una platea più vasta. Su un totale di 16 film recensiti fino ad oggi, ben 14 sono infatti film italiani anni Settanta o giù di lì. Forse potrei iniziare seriamente a guardare oltre confine, magari a oriente dove di sangue, sesso e violenza ne hanno da vendere. Un cambiamento di rotta che, tra l’altro, non sarebbe nemmeno in conflitto con ciò che scrissi all’inizio: <i>“Ed è proprio dai ricordi</i> [di quei vecchi film italiani anni Settanta, ndr] <i>che nasce Obsploitation. Questo è il punto di partenza. Dopodiché vedremo: la strada da percorrere è ancora tutta da stabilire.</i>" </div>
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Tante domande, zero risposte. Nessuno oggi può sapere cosa mai potrà accadere su <i>Obsploitation </i>nel 2015. Probabilmente di tutto. Probabilmente nulla. Vedremo. Oggi però non è prioritario guardare al futuro: oggi è il primo compleanno del blog e, almeno per oggi, è più importante voltarsi indietro e crogiolarsi in ciò che è stato fatto che, spero siate d’accordo, è andato oltre ogni più rosea previsione.
Brindiamo quindi! <b>Buon compleanno <i>Obsploitation</i>! </b>Evviva!
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Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com15tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-44775539094156390532015-01-02T21:30:00.000+01:002015-01-02T21:30:47.479+01:00Morte sospetta di una minorenne<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgB8He0Kor4yrS5BNzk4cO5_D1KXwFy2S_0xxefFmd8eUQ7qKcw0OrLlfXNYcccjCX7kUhL8rNoX2hBmXo2CPj89gL13f0rEvN8rWUjFENgeUEpNJdUwy4I2fkRQQ2U9fJPvfjer0_N076s/s1600/msd1m-poster.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgB8He0Kor4yrS5BNzk4cO5_D1KXwFy2S_0xxefFmd8eUQ7qKcw0OrLlfXNYcccjCX7kUhL8rNoX2hBmXo2CPj89gL13f0rEvN8rWUjFENgeUEpNJdUwy4I2fkRQQ2U9fJPvfjer0_N076s/s1600/msd1m-poster.jpg" height="400" width="276" /></a></div>
In questi giorni a cavallo tra una festività e l'altra, mentre il blog di riferimento <a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/" target="_blank">The Obsidian Mirror</a> si gode qualche giorno di meritato riposo, Obsploitation va avanti per la sua strada, imperturbabile alla tentazione di panettoni e spumanti. La logica di questo "piccolo blog di provincia" si discosta nettamente da quella tradizionale che caratterizza il blog principale e, con esso migliaia di altri blog sparsi un po' ovunque. Obsploitation si concede solo un piccolo provvisorio cambiamento nel banner che durerà giusto lo spazio di questo breve post, il primo del 2015. Un giorno chissà le cose cambieranno anche da queste parti, ma per il momento, finché si (soprav)vive di pochi post e di pochi lettori, non c'è ragione per soffermarsi troppo sul Natale e su faccende legate al calendario.</div>
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Oggi andiamo alla riscoperta di un vecchio e dimenticato film di <b>Sergio Martino</b>, un film che di sicuro non si può presentare come uno tra i suoi più riusciti, ma che, nel bene o nel male, non può mancare nella collezione di chiunque abbia, anche solo parzialmente, amato il cinema del regista romano.<br />
Datato 1975, "<i>Morte sospetta di una minorenne</i>" vede la luce in uno dei periodi più floridi, nel bene e nel male, per il cinema di genere: il 1975 è stato infatti l'anno in cui <b>Dario Argento</b> presentava il suo "<i>Profondo Rosso</i>", l'anno in cui <b>Pasolini </b>presentava il suo "<i>Salò o le 120 giornate di Sodoma</i>", ma anche l'anno di grandi boiate come "<i>La sanguisuga conduce la danza</i>", recensito (e fatto a pezzi) <a href="http://obsploitation.blogspot.it/2014/08/la-sanguisuga-conduce-la-danza.html" target="_blank"><b>qui</b></a> su Obsploitation la scorsa estate.<br />
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Come si inserisce questo "<i>Morte sospetta di una minorenne</i>" in questo scenario? Diciamo che è un film che sta più o meno nel mezzo e, mentre lo scrivo, sospetto che il mio giudizio sia forse troppo generosamente virato verso il positivo dall'ammirazione per ciò che <b>Sergio Martino </b>aveva girato sino ad allora. Un giallo? Un thriller? Un poliziesco? Un film di denuncia sociale? Una commedia? Un film comico? Un film demenziale? Niente di tutto questo... anzi no... "<i>Morte sospetta di una minorenne</i>" è paradossalmente un po' di tutto questo. Un enorme minestrone di generi che, presi uno per uno, hanno il loro senso ma che, buttai e mescolati nella stessa pentola perdono completamente di efficacia. Tutti contenti? Direi piuttosto tutti scontenti. Scontento è l'appassionato di gialli, che vede solo vagamente l'ombra di un brivido. Scontento l'appassionato di polizieschi, che vede il suo eroe ridotto a macchietta, scontento l'appassionato dei film comici che solo a sprazzi riesce ad abbozzare un sorriso.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEiMJCfbx7IZcUi9QnNmJs1ZPPKZpxEs8wnbxQ16GLyJuJzIH43kwtLjE7ngFnfSLb_qLJw6tw2Q__0p88RmKf7jlGRZI6hfdZXQGY6jNAXmYha-XEFEOp0c44Xnfuh-0ST4OWjRjdj6cr/s1600/msd1m-2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEiMJCfbx7IZcUi9QnNmJs1ZPPKZpxEs8wnbxQ16GLyJuJzIH43kwtLjE7ngFnfSLb_qLJw6tw2Q__0p88RmKf7jlGRZI6hfdZXQGY6jNAXmYha-XEFEOp0c44Xnfuh-0ST4OWjRjdj6cr/s1600/msd1m-2.jpg" /></a></div>
Siamo in una Milano grigia e cementificata dagli anni del boom economico, e dove la malativa muove nell'ombra i fili della droga e della prostituzione, una giovane ragazza (Marisa, interpretata da <b>Patrizia Castaldi</b>) viene assassinata da un misterioso, quanto trashissimo, individuo con gli occhiali a specchio. Verrà ben presto alla luce un intricato sistema di reclutamento di minorenni da avviare alla professione più antica del mondo, attraverso quello che ufficialmente è un ufficio di collocamento per collaboratrici domestiche. Il commissario Paolo Germi (<b>Claudio Cassinelli</b>) che già era sulle tracce dei malviventi, si ritrova con un cadavere scomodo del quale, in parte, sente la responsabilità. Inizia un'indagine tutt’altro che semplice, che finirà per coinvolgere grossi nomi della finanza milanese. Dovendo agire in borghese, per non mettere in imbarazzo il suo ufficio con i suoi metodi poco ortodossi, il commissario Germi troverà un alleato in Giannino uno sgarruppato scippatore interpretato da <b>Adolfo Caruso.</b><br />
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Come era ampiamente uso in quegli anni il termine "minorenne" nel titolo del titolo del film funzionò da calamita, trascinando al cinema migliaia di appassionati di nudità virginali (oggi li chiameremmo in altro modo). In realtà nessuna delle attrici era effettivamente minorenne, se non la più giovane, <b>Barbara Magnolfi</b> (volto che rivedremo due anni più tardi in "<i>Suspiria</i>") che nel 1975 aveva vent'anni e che, sebbene tecnicamente fosse ancora minorenne ai tempi delle riprese, non lo era già più nel momento dell'uscita in sala del film (proprio in quei mesi infatti entrò in vigore in Italia la legge che abbassava la soglia della maggiore età da 21 a 18 anni, trasformando di fatto la minorenne del titolo in una ex-minorenne). Una beffa per chi, regista, sceneggiatore o produttore che fosse, aveva pensato di poter in qualche modo cavalcare l'onda dei precedenti "<i>La minorenne</i>" (di <b>Silvio Amadio</b>), "<i>La nipote</i>" (di <b>Nello Rossati</b>) e "<i>La cugina</i>" (di <b>Aldo Lado</b>), tutti del 1974 e tutti a loro volta eredi di quel "<i>Malizia</i>" di <b>Salvatore Samperi</b>, datato 1973, che ad oggi rimane unico e ineguagliabile nel suo genere.<br />
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Unico e ineguagliabile invece proprio non è, nemmeno lontanamente, questo "<i>Morte sospetta di una minorenne</i>". Mentre lo si guarda non si fa altro che rimpiangere il Sergio Martino giallo de "<i>Lo strano vizio della signora Wardh</i>" (1971), de "<i>Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave"</i> (1972)" e de "<i>I corpi presentano tracce di violenza carnale</i>" (1973). Ma si rimpiange anche il Sergio Martino poliziottesco di "<i>Milano trema: la polizia vuole giustizia</i>" (1973). E allora a cosa serve "<i>Morte sospetta di una minorenne</i>"? Probabilmente a nulla. Probabilmente è solo un esperimento riuscito male, danneggiato da un'autoironia per certi versi eccessiva (la malavita organizzata, il commissario che agisce da solo, sono solo le caricature di se stesse).<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhzuulYnQRQbiUPpJBS9O9XaMkrqgVp9rENreAY8KNWVvdXuPM60njSmdJGlL-FsfmQXcae0CHb2e6evAMrOfcLZWnafqxBeHXvTUMAT6KETA95KUkAS3ravTp8NxhXwAKY8_SlSzlSr8GX/s1600/msd1m-3.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhzuulYnQRQbiUPpJBS9O9XaMkrqgVp9rENreAY8KNWVvdXuPM60njSmdJGlL-FsfmQXcae0CHb2e6evAMrOfcLZWnafqxBeHXvTUMAT6KETA95KUkAS3ravTp8NxhXwAKY8_SlSzlSr8GX/s1600/msd1m-3.jpg" /></a>Rimane un vago sottotesto sociale, che qualcuno ha interpretato come una denuncia al preoccupante diffondersi della prostituzione minorile (piaga di cui già si parlava all'epoca) o al solito cliché della polizia corrotta, controllata dalle banche e dalla politica.<br />
Personalmente, non me ne voglia l'interessato e non me ne vogliano i sui fans (che sono davvero tanti), ritengo che dei sottotesti sociali, a Sergio Martino, non gliene sia mai potuto fregare di meno. Sergio Martino è un grande regista che si è sempre adattato ai tempi, che ha sempre seguito attentamente la direzione della corrente. Altro che film di denuncia. Basta dare una rapida occhiata alla sua filmografia per rendersene conto: un inizio stratosferico, negli anni Settanta all'insegna del giallo e del poliziottesco, con i titoli citati poche righe fa; quindi un decennio intero trascorso a realizzare, ancora con grandi risultati, una serie incredibile di commedie esilaranti; una terza fase, iniziata sul finire degli anni Ottanta e che continua ancora oggi, dedicata infine alla produzioni televisive, sulle quali stenderei, se me lo permettete, un velo pietoso.<br />
Che altro dire? Da appassionato del genere giallo anno Settanta storco il naso quando qualcuno me lo maltratta ma, datemi retta, quando è il regista del film cult "<i>L'allenatore nel pallone</i>" a farlo, allora mi sta anche bene. </div>
Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com12tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-56902427117613603962014-12-09T00:05:00.000+01:002014-12-11T21:21:19.800+01:00Faster, Pussycat! Kill! Kill!<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipWecAU07bRKRFgRJaKJfkre1I4rIFkPl1-cdg6wB_r8PBYacJIul7PohiufvunbyLwBACIyNEjc6DGtQvuF3RhtZel3-7pRe1olsLNY2dYT8DtV4Mr-achbWJWXC8UwyWFeUjMLDLQBA3/s1600/Faster+Pussycat+Kill+Kill+Poster.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipWecAU07bRKRFgRJaKJfkre1I4rIFkPl1-cdg6wB_r8PBYacJIul7PohiufvunbyLwBACIyNEjc6DGtQvuF3RhtZel3-7pRe1olsLNY2dYT8DtV4Mr-achbWJWXC8UwyWFeUjMLDLQBA3/s1600/Faster+Pussycat+Kill+Kill+Poster.JPG" height="400" width="291" /></a></div>
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Qualcuno di sicuro penserà che sono pazzo. Solo pochi giorni dopo il <a href="http://obsploitation.blogspot.it/2014/11/avere-ventanni.html" target="_blank">post</a> dedicato alle donne che subiscono violenza, eccomi a presentare un post sulle donne che la violenza la fanno, un post sulle cosiddette <i>Bad Girls</i>, ovverossia le ragazze cattive del cinema. Dite che sono incoerente? Tutt’altro, perché se il fenomeno della violenza sulle donne, benché più volte rappresentato nella finzione cinematografica, ha un suo enorme e triste risconto nella realtà di tutti i giorni, il fenomeno delle <i>ragazze cattive</i> nel cinema rimane più che altro legato a quell’immaginario maschile nel quale le ragazze assumono comportamenti prevalentemente “da uomini”, vale a dire ubriacarsi, azzuffarsi e gareggiare in velocità, pur conservando immutata la loro sensualità o, meglio ancora, elevandola al massimo con l’ausilio di vestiti attillati e provocanti, in particolare camicette che strizzano seni enormi e lunghe gambe in equilibrio su tacchi vertiginosi.<br />
Un genere di film che altro non è che un ritratto del potere che la sessualità femminile ha sugli uomini, le cui caratteristiche differiscono dai soliti stereotipi: in questi film i maschi sono le vittime, e le donne i carnefici che applicano le loro "armi", senza porsi alcuno scrupolo, per raggiungere i loro obiettivi. Si tratta di un fenomeno esclusivamente americano? Non proprio, ma è logico che questo tipo di immaginario abbia trovato il terreno più fertile in una società profondamente individualista come quella americana, dove all’iniziativa personale (nel bene e nel male) viene sempre dato molto valore, anche quando poi, in base a logiche morali e "conservatoristiche", viene condannata; dove, pur biasimandola, si strizza persino l’occhio alla giustizia fai-da-te. Per questo il cinema americano, accanto agli eroi buoni, ha un’ancor più lunga parata di reietti, giustizieri e criminali.<br />
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Possiamo tentare di interpretare in tanti modi questa “anomalia”, ma rimane il fatto che il pubblico a cui queste pellicole sono rivolte è incontestabilmente maschile e, credo sia anche superfluo dirlo, non sono altro che l’ennesimo modo di soddisfare una sorta di fantasia masturbatoria, o meglio una, probabilmente innocua, perversione sessuale. Sì, ho detto proprio perversione. Non mi viene in mente altra parola. Attenzione perché non sto parlando di coloro, probabilmente tanti, che in un rapporto di coppia preferiscono essere dominati anziché dominare. In questi film le ragazze sono fisicamente più forti e più furbe dei ragazzi, ma alla fine chi ne uscirà vincitore sarà lo spettatore che, dopo aver visto annientare tutti i concorrenti, potrà avere in premio, in qualità di unica superstite, la cattivona di turno. In genere, comunque, alla fine del film succederà qualcosa che, nella logica hollywoodiana, ripristinerà lo status quo e la morale.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiM5hLHyBM-A1tgqWMUPVjf8RRbLzqU62WQSQeK9-ebFDPI37kRtxiILJIaaKkWlb-W1P14yC8pKHaicUQTOoytMN0d964X62-H3xCUYsyecDDjWOjLUtcgClFiXkSR8v0LSGeGHiPdvPzf/s1600/faster-pussycat-2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiM5hLHyBM-A1tgqWMUPVjf8RRbLzqU62WQSQeK9-ebFDPI37kRtxiILJIaaKkWlb-W1P14yC8pKHaicUQTOoytMN0d964X62-H3xCUYsyecDDjWOjLUtcgClFiXkSR8v0LSGeGHiPdvPzf/s1600/faster-pussycat-2.jpg" /></a></div>
Quando, qualche giorno fa, decisi di unirmi al solito gruppo di blogger cinefili e alla loro iniziativa dedicata alle <i>Bad Girls</i>, la mia scelta non poteva che ricadere su ”<i>Faster, Pussycat! Kill Kill!</i>”, il film che a mio parere, più di qualunque altro, può rappresentare l’argomento. Un film che dice tutto già nel titolo: ci sono un sacco di macchine veloci (<i>faster</i>), ci sono tante fanciulle disinibite (<i>pussycat</i>) e c’è tanta, ma proprio tanta, violenza (<i>kill kill</i>). Violenza insensata. Non necessariamente le <i>Bad Girls</i> sono delle vere criminali, ma in questo caso è proprio così: il loro unico scopo sembra essere quello di dominare, imbrogliare, rubare e uccidere.<br />
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Questo film è la risposta femminile a “<i>Gioventù bruciata</i>” di <b>Nicholas Ray</b>, di una decina d’anni precedente, con la differenza che qui non ci sono eventi o drammi personali scatenanti come per <i>Jim Stark</i>, il personaggio interpretato da <b>James Dean</b>, né il minimo tentativo di approfondimento psicologico o sociale, al contrario i personaggi sono abbozzati e monodimensionali. Credo sia superfluo dire che la trama di questo film è quasi inesistente, più che altro la scusa per mettere in scena un’escalation di violenza che per l’epoca doveva essere notevole, destabilizzante. La recitazione quasi sempre non è un punto di forza, i dialoghi sono forzati e ridicoli, e il copione non dà occasione al cast di caratterizzare molto i personaggi. Ma non importa: quello che ”<i>Faster, Pussycat! Kill Kill!</i>” deve fare lo fa. È puro intrattenimento, ma contiene un elemento sovversivo che con gli anni lo ha trasformato in un cult. Il che non equivale a dire che è un capolavoro, ma semplicemente che è un film tipicamente <i>meyerano </i>che, a modo suo, ha segnato un’epoca.<br />
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È la storia di tre sexy go-go dancers, Varla (<b>Tura Satana</b>), Rosie (<b>Haji</b>) e Billie (<b>Lori Williams</b>), che amano trascorrere il loro tempo libero gareggiando in velocità nel deserto californiano. Delle tre è Varla la più cattiva, la vera dominatrice, la più competitiva, che al bisogno non esista a rivoltarsi contro le sue stesse compagne. Varla, dunque, è il capo, Rosie la sua fedele gregaria e Billie la svampita, la più allegra delle tre e anche l’unica a dimostrare un barlume di coscienza. Quando una gara con il malcapitato Tommy (<b>Ray Barlow</b>) finisce in tragedia, gli eventi precipitano. Tommy muore e le tre ragazze, che non hanno nulla da perdere, decidono di rapire la sua ragazza Linda (<b>Susan Bernard</b>) nell’attesa di decidere della sua sorte. Finiranno per raggiungere un ranch di proprietà di un vecchio invalido (<b>Stuart Lancaster</b>) e dei suoi due figli: il primo, Kirk (<b>Paul Trinka</b>), dall’animo decisamente più sensibile di quello del tirannico genitore, e l'altro, un gigantesco ritardato che conosciamo semplicemente con il nome di "Boy" (<b>Dennis Busch</b>). Varla e le sue aiutanti, sospettando che nel ranch si nasconda un’immensa fortuna in denaro, cercheranno di usare il loro notevole sex appeal per sedurre i due giovani…<br />
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Se volete un B-movie adrenalinico, con generose quantità di seni straripanti e tanto umorismo involontario, allora questo film ha tutti gli ingredienti per soddisfarvi: come abbiamo già detto, qui troverete auto veloci, combattimenti, morti ammazzati, dialoghi vivaci e un trio di bellezze esagerate nei ruoli principali. Ma diciamocelo chiaramente: il valore di ”<i>Faster, Pussycat! Kill! Kill!</i>” è più grande di quello della somma delle sue parti, perché è chiaro che se dovessimo considerare solo l’aspetto tecnico o la sceneggiatura verrebbe la tentazione di definirlo poco più che un mirabile esempio di cinema spazzatura.<br />
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Girato in un nitido bianco e nero a metà degli anni Sessanta, ”<i>Faster, Pussycat! Kill! Kill!</i>” può oggi invece essere considerato l’archetipo del cinema virato all’eroico femminile al quale oggi siamo ormai abituati. Avete presente, per esempio, quei due condensati di estrogeni che sono state la Sarah Connor (<b>Linda Hamilton</b>) di “Terminator” o la Ellen Ripley (<b>Sigourney Weaver</b>) di “Alien”? Nessuna delle due avrebbe mai potuto esistere senza l’esempio di <b>Tura Satana</b> e compagne. E poco importa se l’eroina muscolare moderna è generalmente un personaggio positivo… il concetto di fondo è lo stesso; la donna non è più necessariamente l’angelo del focolare, ma può (e talvolta deve) sapersi difendere e aggredire.<br />
Film amatissimo da <b>Quentin Tarantino</b> (e ti pareva), ”<i>Faster, Pussycat! Kill! Kill!</i>” ha dato il via anche ad una delle più grandi ondate sexy-fumettistiche che invasero l’Italia alla fine degli anni Sessanta, di cui cito giusto “<b>Satanik</b>” e “<b>Barbarella</b>”, ma sono sicuro che se mi impegnassi un attimo me ne verrebbero in mente molti altri.<br />
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Ma soprattutto, ”<i>Faster, Pussycat! Kill! Kill!</i>” è un film di <b>Russ Meyer</b>, maestro indiscusso del cinema pop statunitense e grande inventore di tendenze, colui che seppe rileggere le correnti europee a lui contemporanee (la Nouvelle Vague francese, ma anche il nostro neorealismo) in chiave sexy. Detta così potrebbe sembrare un’eresia, ma è un dato di fatto che siano stati in molti in quegli anni a cercare di emularlo: basti pensare a gente come <b>Al Adamson</b> (Psycho a Go-Go, Satan's Sadists) o a <b>Herschell Gordon Lewis</b> (2000 Maniacs, Blast-Off Girls).<br />
Paradossalmente ”<i>Faster, Pussycat! Kill! Kill!</i>”, alla sua uscita nelle sale, si rivelò un completo insuccesso, molto peggio del precedente lavoro meyerano “<i>Motorpsycho!</i>” (sostanzialmente identico ma con protagonisti maschili), ma sarà giustamente riscoperto anni più tardi quando diverrà addirittura un manifesto femminista a causa delle sottili implicazioni “lesbo” che Varla, Rosie e Billie avrebbero tra di loro (interpretando con malizia quel gioco di sguardi che, specialmente tra Varla e Rosie, durerebbero un po’ troppo a lungo per non essere significativi).<br />
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Quanto a Tura Luna Pascual Yamaguchi, classe 1938, l’attrice mezza giapponese e mezza cheyenne meglio conosciuta come <b>Tura Satana</b>, si tratta di una figura che certamente non ha bisogno di presentazioni. Poche righe fa ho scritto che ”<i>Faster, Pussycat! Kill! Kill!</i>” è soprattutto un film di <b>Russ Meyer</b>, ma sbagliavo: più ancora, questo è il film di <b>Tura Satana</b> che, sexy, esotica, stronza, adorabile, è assolutamente perfetta nella parte della perfida Varla, un ruolo che sembra cucito su di lei e dal quale, non a caso, il mondo del cinema non le permise mai di staccarsi completamente. Perché per molti versi <b>Tura Satana</b> è Varla, la Bad Girl per eccellenza. Vale la pena ricordare che, a differenza del suo personaggio, di cui poco o nulla viene detto, di lei si sa che ebbe un’infanzia difficile, segnata dalla segregazione in un campo di concentramento e da uno stupro subito a nove anni, che conosceva le arti marziali e che militò in una gang femminile prima di cominciare a lavorare come ballerina di burlesque; una vita difficile e avventurosa, la sua, che <b>Meyer </b>non dovette far altro che prendere a prestito per costruirvi sopra un personaggio affascinante e indimenticabile. Ora che <b>Tura Satana</b> non c’è più, a noi resta almeno la sua controparte di celluloide. E, per me, non è poco.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9mEV_gUOGvAbQDsHcrsDNXzLEZzdntXd656Ati-nqX-wAwS7GvbsIUO3GtgwjrqnZJNPzRQ0o2MOwV2U8ykCfE2gKmKWGaR9ptQ4RD46QnjaU1rjbCAuQ5OsyYUvLAbAqELrgAl2gfJGA/s1600/BadGirls02.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9mEV_gUOGvAbQDsHcrsDNXzLEZzdntXd656Ati-nqX-wAwS7GvbsIUO3GtgwjrqnZJNPzRQ0o2MOwV2U8ykCfE2gKmKWGaR9ptQ4RD46QnjaU1rjbCAuQ5OsyYUvLAbAqELrgAl2gfJGA/s1600/BadGirls02.jpg" /></a></div>
Come accennato all'inizio, l'articolo che avete appena letto rientra nel progetto "Bad Girls" in corso in questi giorni su tredici blog diversi. Qui di seguito l'elenco completo dei blog partecipanti e i link ai relativi post: <a href="http://delicatamenteperfido.blogspot.com/2014/12/bad-girls-hole-2001-nick-hamm.html" target="_blank">Delicatamente Perfido</a>, <a href="http://directorcult.blogspot.com/2014/12/bad-girls-la-signora-ammazzatutti.html" target="_blank">Director's Cult</a>, <a href="http://bollalmanacco.blogspot.com/2014/12/bad-girls-amiche-cattive-1999.html" target="_blank">Il Bollalmanacco di Cinema</a>, <a href="http://incentralperk.blogspot.com/2014/12/bad-girls-thirteen.html" target="_blank">In Central Perk</a>, <a href="http://www.prevalentementeanimemanga.net/2014/12/kill-la-kill-abiti-bad-girls.html" target="_blank">Prevalentemente Anime e Manga</a>, <a href="http://lafabricadeisogni.blogspot.com/2014/12/bad-girls-bound-torbido-inganno.html" target="_blank">La Fabbrica dei Sogni</a>, <a href="http://nonceparagonecinema.blogspot.com/2014/12/bad-girls-la-coniglietta-di-casa.html" target="_blank">Non c'è paragone</a>, <a href="http://obsploitation.blogspot.com/2014/12/faster-pussycat-kill-kill.html" target="_blank">Obsploitation</a>, <a href="http://www.pensiericannibali.com/2014/12/i-cult-di-pensieri-cannibali-mean-girls.html" target="_blank">Pensieri Cannibali</a>, <a href="http://recensioniribelli.blogspot.it/2014/12/bad-girls-machine-girl.html" target="_blank">Recensioni Ribelli</a>, <a href="http://scrivenny-dennyb.blogspot.it/2014/12/bad-girls-spring-breakers-una-vacanza.html" target="_blank">Scrivenny</a>, <a href="http://solaris-film.blogspot.com/2014/12/foxfire-ragazze-cattive-bad-girls.html" target="_blank">Solaris</a>, <a href="http://whiterussiancinema.blogspot.com/2014/12/orange-is-new-black-stagione-1.html" target="_blank">White Russian</a>.</div>
Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com14tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-469946770468196652014-11-29T00:05:00.000+01:002014-11-29T18:19:13.808+01:00Avere vent'anni<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWrRK1gYIwW_22NfQ_f0kxxSwLOpflDC_ZRrcPjxbniCVA_WZ4bMY0sqPkq1DyCar5WRexRBaF1YSvEoUxoRF74jBq1bAMEoEDMQ9IVOAY_PuDhyySv6YpVLzE6-UY_Blqmuk7v_j_mQhF/s1600/Avere_ventanni.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWrRK1gYIwW_22NfQ_f0kxxSwLOpflDC_ZRrcPjxbniCVA_WZ4bMY0sqPkq1DyCar5WRexRBaF1YSvEoUxoRF74jBq1bAMEoEDMQ9IVOAY_PuDhyySv6YpVLzE6-UY_Blqmuk7v_j_mQhF/s1600/Avere_ventanni.jpg" height="400" width="277" /></a></div>
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<i>«Avevo vent'anni... Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita.» (Paul Nizan)</i><br />
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Quasi due mesi dall’ultimo post apparso qui su Obsploitation potrebbero aver lanciato il messaggio che quei miei vecchi propositi di gestire un secondo blog, parallelo ad <a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/" target="_blank">Obsidian Mirror</a>, fossero naufragati. La risposta è in questa uscita tardo novembrina che, nonostante quasi sorprenda anche il sottoscritto, va considerata come una dichiarazione d’intenti. Obspoitation vive e, sebbene a volte arranchi o si senta schiacciato dal predominio del blog principale, continua lento ma imperterrito per la sua strada.<br />
Molte cose sono successe dall’ultima volta che mi sono trovato davanti al biancore abbacinante di queste pagine, ma tra le tante ce n’è una che Obspolitation non poteva ignorare: la prematura scomparsa di una delle regine della commedia sexy all’italiana anni Settanta. Sto parlando naturalmente di <b>Lilli Carati</b>, all’anagrafe Ileana Caravati, giovane interprete di B-movies oggi elevati allo stato di cult e, in questi ultimi anni forse ancora più di allora, icona exploitation fra le più desiderate.<br />
A coloro che si aspettano un post-necrologio che, in quattro e quattr’otto, si trasformi nella solita divagazione perbenista sugli anni più travagliati della vita di Lilli Carati, rispondo che no, non è questo il posto giusto da cui mettersi sparare sentenze. Lilli Carati non è più tra di noi e tutto quello che è stato detto e fatto non ha più importanza. Adesso è giunto il momento del silenzio. È giunto il momento di ricordare Lilli Carati nella versione splendida che seppe offrire alla macchina di presa di <b>Fernando Di Leo </b>nell’ormai lontano 1978.<br />
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Considerato uno dei film più controversi del regista pugliese, “<i>Avere vent’anni</i>”, visto oggi con gli occhi di un adulto che ne ha passate di ogni, può apparire una boiata stratosferica. Nulla da eccepire e, se devo proprio ammetterlo, rivedendolo qualche giorno fa prima di scrivere questo post, sono arrivato a perdermi, per sopravvenuto sonno, anche la famosa scena di letto fra la Carati e <b>Gloria Guida.</b><br />
Non è così strano, ve lo assicuro. Abituato ormai da anni a considerare Fernando di Leo come l’Autore ispirato di pellicole quali “<i>Brucia ragazzo brucia</i>” o “<i>I ragazzi del massacro</i>”, sembra quasi incredibile che questo “<i>Avere vent’anni</i>” possa portare la sua firma. Almeno per i primi nove decimi del film. Almeno fino a quella allucinante scena finale, che si sgancia prepotentemente dalla insulsaggine che permeava il film fino a quel momento, per trasformare improvvisamente “<i>Avere vent’anni</i>” da dimenticabile a indimenticabile.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6Qjel8ZQ3Qao6lcTGV69xebYdD4iqe1RgnttZ8ULVG44EtmgpwR5nBWo5KRM9NivDb6PkpSkWtD-RUhYtzzITffInxQJ6vufZovzC8oPE9CSeQH6D9q2ZeQ6SNcAC4mFgSYUBFx81coVT/s1600/tobe20+(2).jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6Qjel8ZQ3Qao6lcTGV69xebYdD4iqe1RgnttZ8ULVG44EtmgpwR5nBWo5KRM9NivDb6PkpSkWtD-RUhYtzzITffInxQJ6vufZovzC8oPE9CSeQH6D9q2ZeQ6SNcAC4mFgSYUBFx81coVT/s1600/tobe20+(2).jpg" /></a></div>
E pensare che quel violentissimo finale, dove le due ragazze venivano violentate a morte e in cui la nostra Lilli Carati finiva sventrata con un ramo piantato nella vagina, fu tagliato dalla censura e proiettato nelle sale cinematografiche in una versione edulcorata che ne sovvertiva completamente il significato. Privato di quel finale, di “<i>Avere vent’anni</i>” rimangono solo le allegre imprese di due belle ragazze alla ventura, tra un espediente e l’altro e tra un letto e l’altro. Una sequenza di situazioni boccaccesche che si possono riassumere nella battuta che le sue protagoniste non fanno che ripeterci per novanta minuti: “<i>Sono giovane, bella e incazzata</i>”.<br />
Alla luce di quel finale, recuperato con un quarto di secolo di ritardo solo nella versione integrale datata 2004, quel “<i>Sono giovane, bella e incazzata</i>” acquista un significato più sinistro. Essere belle, giovani e incazzate negli anni Settanta non pagava, ci stava dicendo Fernando Di Leo. Va bene la liberalizzazione sessuale, va bene l’emancipazione, va bene la contestazione, ma… se eri una donna, allora era diverso, perché quegli furono sì anni formidabili, ma lo furono solo per gli uomini. Un messaggio forte e controcorrente sebbene, vale la pena precisarlo, “<i>Avere vent’anni</i>” venne realizzato con un decennio di ritardo rispetto agli evocati anni della contestazione. Tutto ad un tratto quel film, guardato distrattamente mentre si è intenti a fare altro, smette di essere quello che sembra e ti pianta un calcio improvviso negli attributi, lasciandoti indifeso come una sardina in un convegno di gatti.<br />
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È proprio qui che scopriva le sue carte quel regista che temevi essersi perso per strada, risucchiato dalle tentazioni erotiche degli anni del riflusso. Fino a quel momento eri pronto a bocciare implacabilmente quella direzione troppo poco convinta e quella sceneggiatura maldestra… e invece… invece…<br />
A livello interpretativo, per inciso, il livello rimane uno schifo: delle performance delle due attrici rimane, anche con tutta la buona volontà, ben poco da salvare. Mi dispiace. Avrei davvero voluto spendere ben altre parole per questo post di commiato da Lilli Carati ma, in tutta onestà, non mi sento di mentire. Posso solo dire che Lilli Carati riusciva, in “<i>Avere vent’anni</i>”, ad imporre la propria personalità in maniera abbastanza convincente, prevalendo nettamente sulla sua insipida collega bionda e su tutti i personaggi di contorno, inclusi quel <b>Vincenzo Crocitti</b> o quel <b>Ray Lovelock</b> le cui lunghe carriere artistiche potevano lasciar sperare in ben altro. Ci tengo a precisare, per il rispetto che ho dell’arte, che è escluso dalla lista dei bocciati il compianto <b>Vittorio Caprioli</b>, uno dei maggiori talenti che il nostro cinema abbia mai avuto (qui nel macchiettistico ruolo di Michele Palumbo, detto "il Nazariota").</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEieiMuV4BSYUQ0O4S6A6UQ9naRKy23EhVKlBet8sznqJ27tVmz238uc378Ca5cF3sLkS0qBznnDIucsGNN-7wSIYAz2MqYvBz4xewxYHfr5aPjZoMri8HTY-FBgjRAzWU67jCAVev278TE/s1600/NME_SMALL.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEieiMuV4BSYUQ0O4S6A6UQ9naRKy23EhVKlBet8sznqJ27tVmz238uc378Ca5cF3sLkS0qBznnDIucsGNN-7wSIYAz2MqYvBz4xewxYHfr5aPjZoMri8HTY-FBgjRAzWU67jCAVev278TE/s1600/NME_SMALL.JPG" /></a></div>
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L'articolo che avete appena letto rientra nel progetto "No more excuses" in corso in questi giorni su diciotto blog diversi. Si tratta di un'iniziativa nata con lo scopo di diffondere sensibilità attorno ad un argomento spinoso al quale, ahimé, non si dedica mai abbastanza attenzione. L'occasione è la ricorrenza del 25 novembre, giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. I blogger coinvolti, tre al giorno, si impegnano a pubblicare un articolo sull'argomento a partire appunto dal 25 novembre e fino alla fine del mese. Qui di seguito l'elenco completo dei partecipanti e i link ai relativi post: <a href="http://lafabricadeisogni.blogspot.com/2014/11/no-more-excuses-day-via-dallincubo.html" target="_blank">La fabbrica dei sogni</a>, <a href="http://solaris-film.blogspot.com/2014/11/no-more-excuses-week-without-violence.html" target="_blank">Solaris</a>, <a href="http://www.pensiericannibali.com/2014/11/basta-con-la-violenza-sulle-donne.html" target="_blank">Pensieri Cannibali</a>, <a href="http://bollalmanacco.blogspot.com/2014/11/no-more-excuses-week-without-violence.html" target="_blank">Il Bollalmanacco di cinema</a>, <a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2014/11/il-castello-della-purezza.html" target="_blank">The Obsidian Mirror</a>, <a href="http://directorcult.blogspot.com/2014/11/no-more-excuse-week-without-violence.html" target="_blank">Director's Cult</a>, <a href="http://nonceparagonecinema.blogspot.com/2014/11/no-more-excuses-week-without-violence.html" target="_blank">Non c'è paragone</a>, <a href="http://scrivenny-dennyb.blogspot.com/2014/11/no-more-excuses-week-without-violence.html" target="_blank">Scrivenny</a>, <a href="http://recensioniribelli.blogspot.com/2014/11/no-more-excuses-week-without-violence.html" target="_blank">Recensioni Ribelli</a>, <a href="http://combinazionecasuale.blogspot.it/2014/11/no-more-excueses-week-without-violence.html" target="_blank">Combinazione casuale</a>, <a href="http://whiterussiancinema.blogspot.com/2014/12/miss-violence.html" target="_blank">White Russian</a>, <a href="http://www.cookingmovies.it/2014/11/no-alla-violenza-sulle-donne-recensione-the-help.html" target="_blank">Cooking Movies</a>, <a href="http://delicatamenteperfido.blogspot.com/2014/11/monster-2003-patty-jenkins.html" target="_blank">Delicatamente perfido</a>, <a href="http://incentralperk.blogspot.it/2014/11/4-mesi-3-settimane-2-giorni.html" target="_blank">In central perk</a>, <a href="http://obsploitation.blogspot.com/2014/11/avere-ventanni.html" target="_blank">Obsploitation</a>, <a href="http://marisredroom.blogspot.com/2014/11/no-more-excuses-week-outrage.html" target="_blank">Mari's Red Room</a>, <a href="http://www.50e50thriller.com/2014/11/la-ragazza-della-porta-accanto.html" target="_blank">50/50 Thriller</a>, <a href="http://cinquecentofilmisieme.blogspot.com/2014/11/no-more-excuses-week-without-violence.html" target="_blank">500 film insieme</a>.</div>
Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com20tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-65429498789992612322014-10-05T17:54:00.000+02:002014-10-05T17:54:07.253+02:00San Babila ore 20: un delitto inutile<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLwI4-is1CHQWlzmF_WDFJXRN3-QJePUKGubSICeUNygn_zLXMOJYl3KxamBx91q73REkdSN74oZQWkIWb6LP1Ejb1Q-w7NQS3PQFnFyyDvpOhMvkjAj05KI8YCLNeq2JUgCg_6RdPfcA1/s1600/san_babila_ore_20_postre.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLwI4-is1CHQWlzmF_WDFJXRN3-QJePUKGubSICeUNygn_zLXMOJYl3KxamBx91q73REkdSN74oZQWkIWb6LP1Ejb1Q-w7NQS3PQFnFyyDvpOhMvkjAj05KI8YCLNeq2JUgCg_6RdPfcA1/s1600/san_babila_ore_20_postre.jpg" height="400" width="253" /></a></div>
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Ci sono film che per una ragione o per l’altra rimangono legati all’esistenza di una persona. Alcuni film rimangono impressi nella memoria perché la loro visione ha trasmesso, più o meno inconsciamente, delle emozioni, positive o negative poco importa. Ci sono invece film che invece lavorano ad un livello ancora più profondo, scavano nel subconscio e lì lasciano un segno. È quello che in certo senso ha fatto con me questo “<i>San Babila ore 20</i>”, pellicola cult che <b>Carlo Lizzani</b> girò nell’ormai remoto 1976. </div>
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Un film che mi ha fatto scattare qualcosa dentro sin dalla prima volta che lo sentii nominare. Un “qualcosa” di molto simile ad una tarma che per anni non ha fatto altro che rosicchiare in un angolo introvabile del mio cervello, senza lasciarmi mai in pace. Il paradosso è che “<i>San Babila ore 20</i>” io l’ho visto per la prima volta solo in tempi recenti, oltre trent’anni dopo che quella tarma iniziò il suo dannato lavoro in una lontana sera di inizio anni Ottanta. Sembra incredibile, assurdamente incredibile, ma le cose sono andate esattamente così.</div>
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Ricordo che all’epoca dei miei quindici anni trascorrevo le serate estive con il solito gruppo di amici, con i quali condividevo alcuni vaghi interessi ma soprattutto con cui mi divertivo a giocare a pallone, a mangiare gelati, a fare quelle cose innocue che di solito si fanno in un’età in cui le preoccupazioni tendono allo zero. In quelle serate non si faceva granché, per lo più si rimaneva seduti da qualche parte sotto casa, a parlare del più e del meno e a sfotterci a vicenda senza tregua come solo i ragazzini sanno fare. Ecco, i miei ricordi di “<i>San Babila ore 20</i>” partono da qui. C’era un ragazzo, un anno più grande di me, che ne parlava in termini entusiasti. Lo aveva visto pare anche più di una volta, la sera tardi, su una di quelle televisioni private che oggi non esistono più. Lo aveva visto e ce lo raccontava. Ci raccontava di come fosse a suo parere uno dei film più violenti della storia, un film proibitissimo che lui, chissà come, non aveva avuto alcun problema a rimanere alzato a vedere nonostante la presenza dei genitori nella stanza accanto.</div>
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Ci raccontava di questa storia di giovani sanbabilini impegnati in scorribande di una violenza assurda ed esasperata. Ci raccontava di scene che facevo fatica ad immaginare e, mentre ce le raccontava, appariva trasfigurato dall’eccitazione, quasi fosse stato lui stesso protagonista di quel film. Fu proprio quel suo modo di raccontare che fece salire dentro di me il desiderio insano di guardare quel film, per potermi rendere conto con i miei stessi occhi di quanto ci fosse di vero in quei suoi racconti. Il problema è che quel film lo trasmettevano solo di tanto in tanto, sempre su canali assurdi (che magari io non vedevo) e invariabilmente in orari in cui per me la televisione accesa era un tabù. Forse era proprio il fatto che fosse un tabù il motivo che aveva fatto scattare in me il desiderio di quel film. Forse erano anche i luoghi a cui si faceva riferimento nel titolo del film che aggiungevano fascino alla questione. </div>
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A quindici anni io in piazza San Babila non ci avevo mai messo piede. Non ero mai nemmeno andato a Milano. Me ne stavo chiuso nel mio piccolo quartiere di periferia potendo solo immaginare il mondo che stava al di fuori dei confini invisibili del mio mondo. Quello che sapevo è che San Babila era un posto poco raccomandabile, una piazza in cui era sconsigliatissimo passare senza cacciarsi nei guai. Nessuno me ne aveva spiegato il motivo. Solo vaghi accenni ai cosiddetti “sanbabilini” che, mi dicevano, erano i padroni assoluti e incontrastati di quel quartiere a due passi da piazza del Duomo. Solo anni dopo riuscii per la prima volta a mettere piede in San Babila, ma ormai era troppo tardi per poter vedere con i miei stessi occhi quelle cose terribili che solo avevo potuto immaginare: quando lo feci, la piazza era ormai invasa da paninari, tutti in bella mostra davanti al Burghy con i loro bei piumini colorati. Forse è stato meglio così, dopotutto.</div>
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Gli anni passarono veloci, ma la curiosità verso quel film non accennava a diminuire. Purtroppo ormai pareva che non ci fosse più modo di recuperarlo: le televisioni smisero di trasmetterlo e io, col tempo, mi rassegnai. Quel che rimase in me però era la curiosità verso quegli avvenimenti che, a causa della mia età, avevo perso per un soffio. Presi ad appassionarmi, anche grazie ad un insegnante che aveva voglia di trasmettere le sue esperienze, alla politica italiana dei decenni precedenti, acquistai e lessi libri quali “<i>Una vita operaia</i>”, "<i>Indagine su un brigatista rosso</i>" e “<i>Una famiglia italiana</i>”, tutti di <b>Giorgio Manzini,</b> e “<i>Il sovversivo</i>” di <b>Corrado Stajano</b>, sui fatti legati alla morte dell'anarchico pisano Franco Serantini: storie eroiche di una sinistra che allora, al contrario di oggi, aveva ancora qualche valore da trasmettere. Furono momenti di grandi scoperte. Divenni consapevole di quanto sporco era il mondo che mi circondava e fui orgoglioso dei 42 anni di fabbrica in cui mio padre si era sacrificato per la sua famiglia. Mi rendevo conto di quanto era malriposta l’eccitazione di quel mio vecchio ed ingenuo amico ma, nonostante tutto, avevo ancora una voglia insoddisfatta di conoscere il contenuto di quel film ormai storico e introvabile. </div>
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Ma il tempo spazzò via tutto: mi diplomai, iniziai a lavorare e i miei interessi ben presto si spostarono su altre cose. Quei vecchi libri avevano ormai perso il loro significato originale e, ancora oggi, rimangono a prendere polvere nella seconda fila di uno scaffale. Di quel vecchio film di Carlo Lizzani quasi mi dimenticai, fino al momento in cui ci andai a sbattere contro, come dicevo, solo pochi anni fa. </div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGYT5EsPSm78POU1eSyS42jorwKARha7OV95sM_wmA0rK0AeLYKl0BaiJt7kTomskyrnwtmAOsmB0d2sISAZoGBmCzn2G3oebFc1KoO6_PiccgO2XL0oRQmd6Db7Xxpnmtd7kBkOjFVuT0/s1600/SBH20+(1).PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGYT5EsPSm78POU1eSyS42jorwKARha7OV95sM_wmA0rK0AeLYKl0BaiJt7kTomskyrnwtmAOsmB0d2sISAZoGBmCzn2G3oebFc1KoO6_PiccgO2XL0oRQmd6Db7Xxpnmtd7kBkOjFVuT0/s1600/SBH20+(1).PNG" /></a>Spesso accade che qualcosa per troppo tempo mitizzato si riveli essere, alla resa dei conti, una grossa delusione. Non posso dire la stessa cosa per questo “<i>San Babila ore 20: un delitto inutile</i>” che, signore e signori, è davvero un gran bel film, una testimonianza cruda e senza censure dell’atmosfera che si respirava a Milano nella metà degli anni Settanta del secolo scorso.</div>
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Carlo Lizzani, d’altra parte, non è assolutamente un novellino nel difficile campo del cinema verità. Ne ho già speso parole entusiasmanti <a href="http://obsploitation.blogspot.it/2014/02/banditi-milano.html" target="_blank">pochi mesi fa</a>, proprio nei primi giorni di vita di questo blog, quando provai a recensire “<i>Banditi a Milano</i>”, ispirato alle gesta sanguinarie della banda Cavallero. Questo “<i>San Babila ore 20</i>” mantiene davvero tutto ciò che promette e tutto ciò che per abbondanti trent’anni avevo immaginato contenesse. È una storia ispirata ad un fatto di cronaca avvenuto il 25 maggio 1975: quel tragico giorno, come riporta wikipedia, <i>“cinque estremisti di destra, Antonio Bega, Pietro Croce, Giorgio Nicolosi, Enrico Caruso e Giovanni Sciabicco, uscendo da un bar di Corso Vittorio Emanuele, angolo Piazza San Babila notarono un giovane, Alberto Brasili, intento a staccare da una colonna un adesivo elettorale del MSI. Brasili era stato notato in quanto indossava un eskimo, abbigliamento che in quegli anni solitamente denotava uno simpatizzante di sinistra. […] I cinque seguirono Brasili e la sua fidanzata: l'agguato scattò di fronte alla sede provinciale dell'ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani). […] Raggiunto da cinque fendenti a organi vitali, Brasili spirò poco dopo il suo arrivo all'ospedale Fatebenefratelli con il cuore spaccato da una coltellata. La fidanzata, colpita due volte all'emitorace sinistro, sfuggì alla morte solo perché la lama aveva mancato il suo cuore di pochi centimetri.”</i></div>
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La pellicola di Lizzani ci introduce sin dall’inizio nella vita degli estremisti che si resero colpevoli di quell’infame delitto. La prima scena ce li mostra alle esequie di un vecchio gerarca fascista, tutti intenti a rimarcare l’eccessiva mollezza delle nuove leve fasciste. Li seguiremo ad uno ad uno questi ragazzi, chi in rotta coi genitori, chi in rotta col datore di lavoro. Tutti imbruttiti e insoddisfatti delle loro vite, peraltro agiate rispetto a quelle della maggioranza dei loro coetanei. Li seguiremo nelle loro bravate, nelle risse e nei pestaggi. Li vedremo intenti a disegnare svastiche con lo spray sulle vetrine e a lanciare con la fionda biglie di ferro ai passanti, li vedremo stuprare una malcapitata, li osserveremo organizzare un maldestro attentato ad una sede del PCI di Sesto San Giovanni, e infine li vedremo compiere il delitto che li perderà definitivamente. Lizzani ci mostra un gruppo di ragazzi completamente privi di ideali, ragazzi che nascondevano il loro vero io dietro le dure maschere di fanatici neofascisti. L’immagine che ne deriva è quello del nulla più totale dietro quelle maschere. Solo dei giovani persi e perdenti, manipolati da poteri molto più grandi di loro. Un film forte, un film che è un vero pugno nello stomaco. Un film che consiglio a chiunque senta il bisogno di capire qualcosa di più sulla nostra storia italiana, quella parte di storia che forse tendiamo a dimenticare (o vogliamo dimenticare) ma che rappresenta una cicatrice indelebile nel nostro passato. Guardare oggi quelle strade di Milano e di Sesto San Giovanni, così come le ha immortalate la macchina di presa di Lizzani, lo ammetto, ha un suo fascino particolare per me che in quei luoghi ci sono cresciuto. A posteriori non rimpiango di esserci stato con anni di ritardo e, se devo dirla tutta, non rimpiango nemmeno di essermi perso questo film allora, quando quel mio amico me ne parlava. </div>
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Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com11tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-45607937224276320342014-09-09T21:00:00.000+02:002014-09-09T21:00:00.892+02:00Una lucertola con la pelle di donna<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<b>Lucio Fulci</b> lo si può amare o lo si può odiare, lo si può ammirare, lo si può criticare oppure lo si può semplicemente ignorare. Sono sicuro che in molti là fuori potrebbero spendere delle intere ore a disquisire su uno dei registi italiani più controversi del secolo scorso. Ciò che non si può però ignorare è la sua immensa filmografia, una delle più eterogenee in assoluto, in grado di spaziare dallo spaghetti western (<i>Le colt cantarono la morte e fu... tempo di massacro</i>, 1966) al noir (<i>Luca il contrabbandiere</i>, 1980), dalle commedie (<i>Come inguaiammo l'esercito</i>, 1965) al drammone medievale (<b><i><a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/2013/01/beatrice-cenci.html" target="_blank">Beatrice Cenci</a></i></b>, 1969), dal giallo all’italiana (<i>Non si sevizia un paperino</i>, 1972) fino al gore più truculento (<i>Zombi 2</i>, 1979).<br />
C’è da dire che, guardando i suoi lavori, anch’io ho avuto momenti di grande ammirazione contrapposti a momenti di grandi perplessità. Perplessità dovute più che altro alla sua produzione posteriore al 1982 dove, a mio parere, c’è davvero poco o nulla che valga la pena di ricordare. Ma non siamo qui per parlare del cosiddetto “horror all’amatriciana” che ha contraddistinto gli ultimi anni della carriera del “<i>Godfather of Gore</i>” che, ricordiamo, oltre ad essere stati realizzati partendo da un budget irrisorio, erano film che probabilmente avevano risentito della lunga assenza per malattia del suo autore, malattia che lo colpì nel 1984 e dalla quale non si sarebbe più completamente ripreso. Siamo qui oggi per parlare della sua fase più creativa, in parte forse la più fortunata, ma indubbiamente la più rappresentativa del repertorio del massimo artigiano che il nostro cinema abbia mai avuto.<br />
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<i>Una lucertola con la pelle di donna</i> vede la luce nel febbraio del 1971 e deve il suo nome semplicemente al desiderio di cavalcare il successo che stava realizzando <b>Dario Argento</b> con la sua “trilogia degli animali”, vale a dire <i>L'uccello dalle piume di cristallo</i> (uscito nel 1970), <i>Il gatto a nove code</i> (uscito nelle sale solo il weekend precedente al film di Fulci) e <i>Quattro mosche di velluto grigio</i> (che uscirà nel dicembre dello stesso anno). Un escamotage a mio parere del tutto superfluo visto che <i>Una lucertola con la pelle di donna</i> non aveva davvero nulla da invidiare ai ben più celebri gialli argentiani.<br />
Fulci naturalmente non era d’accordo, almeno inizialmente, ma il 1971 fu davvero un anno d’oro per la “zoofilia cinematografica” e non è difficile capire come le esigenze del botteghino potessero anteporsi a quelle artistiche. Per la cronaca, nel 1971 uscirono nelle sale anche <i>La tarantola dal ventre nero</i> di <b>Paolo Cavara</b>, <i>La coda dello scorpione</i> di <b>Sergio Martino</b>, <i>L'iguana dalla lingua di fuoco</i> di <b>Riccardo Freda </b>e <i>Una farfalla con le ali insanguinate</i> di <b>Duccio Tessari</b>.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWkvCi0fO_RXgu0BH2xliUWSdCo02cc1DPa-UerRlJCWKBj29h6ndRAYPERwkUoDiCoTfvGxVdZaX98rUYTxichWWRPwuregfDvCmv6fa5o88pd8tI8Ptt-O-DKxB97pmrwu1OoWqJPS89/s1600/lizard1.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWkvCi0fO_RXgu0BH2xliUWSdCo02cc1DPa-UerRlJCWKBj29h6ndRAYPERwkUoDiCoTfvGxVdZaX98rUYTxichWWRPwuregfDvCmv6fa5o88pd8tI8Ptt-O-DKxB97pmrwu1OoWqJPS89/s1600/lizard1.PNG" /></a></div>
Carol Hammond (<b>Florinda Bolkan</b>) vive in una zona ricca di Londra con il marito Frank (<b>Jean Sorel</b>) e la figliastra Joan (<b>Ely Galleani</b>). Le notti di Carol sono tormentate da strani sogni nei quali è coinvolta in situazioni di sesso lesbico con la sua vicina di casa Julia Durer (<b>Anita Strindberg</b>), una vicina a dir poco bizzarra, presso la cui abitazione si svolgono, praticamente tutte le sere, festini psichedelici a base di alcool, sesso e droga. Carol è in cura presso uno psicologo, tale Dottor Kerr (<b>Georges Rigaud</b>) per cercare di sviscerare il significato dei suoi sogni e porre rimedio all’angoscia che da essi deriva. Durante una di queste sedute Carol racconta che, in uno dei suoi sogni, giunge ad uccidere Julia con un tagliacarte. Il giorno dopo Carol apprende che la Durer è stata assassinata esattamente nello stesso modo. Non solo: il tagliacarte e una pelliccia ritrovata sul letto della vittima si riveleranno appartenere proprio alla sempre più sconvolta Carol che, come è logico, finirà direttamente in cima alla lista dei sospettati. Ma, da qual momento, ecco uno dopo l’altro arrivarci tra capo e collo un colpo di scena dopo l’altro, a sgretolare le nostre iniziali certezze come castelli di sabbia. Tradimenti, ricatti, odi e rancori vengono a poco a poco alla luce, e con essi la nostra natura di “<i>giallisti</i>” viene messa a dura prova: nel giro di mezz’ora i nostri sospetti si spostano una decina di volte da un personaggio all’altro. Quando poi crediamo di aver capito tutto, ecco che il riflettore si sposta improvvisamente su qualcun altro. Tutti i personaggi presenti, dal più importante al più insignificante, finiscono anche solo per un attimo in cima alla lista dei presunti colpevoli ma solo alla fine, praticamente sui titoli di coda, tutto diverrà finalmente chiaro.<br />
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A differenza di altre produzioni anni Settanta, che lasciavano lo spettatore interdetto di fronte a situazioni ridicole e finali impossibili, <i>Una lucertola con la pelle di donna</i> si pregia di una sceneggiatura tra le più solide che la scena italiana abbia mai realizzato. La matassa, per oltre un’ora sempre più ingarbugliata, si dipana ordinatamente nelle scene conclusive, regalando allo spettatore stupore e ammirazione. Un capolavoro. Nient’altro che un capolavoro, anche se qualcuno starà di sicuro pensando che capolavoro è una parola forse ormai un po’ troppo abusata. Eppure non c’è un altro modo per definire ciò che senza ombra di dubbio è il punto più alto della sconfinata produzione fulciana. Basti solo osservare che, a differenza dei contemporanei gialli argentiani, la “lucertola” si regge su un singolo omicidio, evitando di appoggiarsi su quei facili (ma a volte prevedibili) elementi slasher che tanta fortuna avevano portato al suo più celebre collega. E pensare che <b>Lucio Fulci</b> viene oggi ricordato come colui che ha fatto del gore il suo marchio di fabbrica…<br />
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Semplicemente grandiosa la prima sequenza, vale a dire il sogno psichedelico di Carol: lei che cerca di farsi largo, in slow motion, nello stretto e affollato corridoio di un treno, con uno sguardo angosciato sul suo viso. Corridoio che improvvisamente si popola di persone nude, lei che cade nel vuoto, lei che viene avvolta dall’oscurità e che precipita su un letto king-size di velluto rosso, lei con la splendida Anita Strindberg completamente nuda, lei che le affonda un tagliacarte nel petto. Il tutto accompagnato dalla meravigliosa, inquietante colonna sonora di <b>Ennio Morricone</b>. È emozionante, è eccitante, è spaventoso, è angosciante, è folle, è malato, è decadente, è geniale.</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhndJgEy4KvBRMcPBIfQZswmJt4LL7SKTvLmcAV2cWgbb_D4SEOuKS6HxidMxmMNzxaHzYasUN-OL2dws-F7uWKyeXqRJ28iy7kHabn4RijF0g5ssWd188dWllNnktxCbIV120ffjdJhx4/s1600/NOTTEHORROR.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhndJgEy4KvBRMcPBIfQZswmJt4LL7SKTvLmcAV2cWgbb_D4SEOuKS6HxidMxmMNzxaHzYasUN-OL2dws-F7uWKyeXqRJ28iy7kHabn4RijF0g5ssWd188dWllNnktxCbIV120ffjdJhx4/s1600/NOTTEHORROR.PNG" height="246" width="320" /></a></div>
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Questo articolo su “<i>Una lucertola con la pelle di donna</i>” di Lucio Fulci è anche il mio personale contributo (il secondo) all’iniziativa “<b><a href="http://obsploitation.blogspot.it/2014/06/unestate-di-terrore.html">Notte Horror Blog Edition</a></b>” che è iniziata il primo luglio scorso e si conclude oggi, nove settembre, coinvolgendo una ventina di bloggers appassionati di cinema. Già apparsi sotto questa etichetta i seguenti titoli: <a href="http://ilgiornodeglizombi.wordpress.com/2014/07/01/filmacci-dovevi-essere-morta/" target="_blank">Dovevi essere morta</a>, <a href="http://nonceparagonecinema.blogspot.it/2014/07/notte-horror-2014-special-blog-edition.html" target="_blank">Mimic</a>, <a href="http://solaris-film.blogspot.it/2014/07/notte-horror-2014-brivido.html" target="_blank">Brivido</a>, <a href="http://castellodiif.blogspot.it/2014/07/notte-horror-vamp.html" target="_blank">Vamp</a>, <a href="http://incentralperk.blogspot.it/2014/07/notte-horror-saw.html" target="_blank">Saw</a>, <a href="http://bollalmanacco.blogspot.it/2014/07/notte-horror-2014-mangler-la-macchina.html" target="_blank">The Mangler</a>, <a href="http://pensiericannibali.blogspot.it/2014/07/notte-horror-linsaziabile-e-le-origini.html" target="_blank">L’insaziabile</a>, <a href="http://recensioniribelli.blogspot.it/2014/07/notte-horror-la-casa-di-cristina.html" target="_blank">La casa di Cristina</a>, <a href="http://obsploitation.blogspot.it/2014/07/sette-note-in-nero.html" target="_blank">Sette note in nero</a>, <a href="http://frank-manila.blogspot.it/2014/07/notte-horror-amityville-possession.html" target="_blank">Amytiville Possession</a>, <a href="http://whiterussiancinema.blogspot.it/2014/08/notte-horror-lululato.html" target="_blank">L'ululato</a>, <a href="http://bradipofilms.blogspot.it/2014/08/notte-horror-la-meta-oscura-1993.html" target="_blank">La metà oscura</a>, <a href="http://cinquecentofilmisieme.blogspot.it/2014/08/notte-horror-summer-2014-creepshow-2.html" target="_blank">Creepshow 2</a>, <a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/2014/08/il-signore-del-male.html">Il signore del male</a>, <a href="http://directorcult.blogspot.it/2014/08/notte-horror-profondo-rosso.html" target="_blank">Profondo rosso</a>, <a href="http://marisredroom.blogspot.it/2014/08/notte-horror-dellamorte-dellamore.html" target="_blank">Dellamorte dellamore</a>, <a href="http://affarinostriinformand.blogspot.it/2014/08/cose-preziose-notte-horror.html" target="_blank">Cose preziose</a>, <a href="http://delicatamenteperfido.blogspot.it/2014/08/notte-horror-2014-silent-hill-2006.html" target="_blank">Silent Hill</a>, <a href="http://lafabricadeisogni.blogspot.it/2014/09/notte-horror-lo-squartatore-di-new-york.html" target="_blank">Lo squartatore di New York</a> e <a href="http://bollalmanacco.blogspot.it/2014/09/notte-horror-2014-il-cavaliere-del-male.html" target="_blank">Il cavaliere del male</a>. Il prossimo appuntamento (l'ultimo) è previsto questa stessa sera sul blog "<a href="http://castellodiif.blogspot.it/" target="_blank">Montecristo</a>" con un altro Fulci d'annata: "L'aldilà" aka "...e tu vivrai nel terrore". Il programma completo di “Notte Horror Blog Edition” è consultabile nella colonna qui a destra oppure, visto che quel banner non rimarrà lì per sempre, nel <a href="http://obsploitation.blogspot.it/2014/06/unestate-di-terrore.html">post introduttivo</a>.
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Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-45687957105073889262014-08-25T21:18:00.000+02:002014-08-25T21:18:15.923+02:00A cena col vampiro<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgB-R-RJIcrFP1WK7uOTeTfSAKlM0sMA6DUvJUUJcsQb574jpWRi-TWk2b1lhUCMiHCsAXTfnE5pqz3Fz8ri1Pjx808GTmjH6uPxVP8mOhBNLDyIbWAFL4AOgP5nxw-FO4PDp9w5KWvhTYW/s1600/acenacolvampirocover.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgB-R-RJIcrFP1WK7uOTeTfSAKlM0sMA6DUvJUUJcsQb574jpWRi-TWk2b1lhUCMiHCsAXTfnE5pqz3Fz8ri1Pjx808GTmjH6uPxVP8mOhBNLDyIbWAFL4AOgP5nxw-FO4PDp9w5KWvhTYW/s1600/acenacolvampirocover.jpg" height="400" width="275" /></a></div>
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Grande evento oggi su Obsploitation! Chi ha avuto modo di leggere i commenti in coda al post precedente avrà di sicuro già intuito di cosa si tratta. Ebbene il blogger itinerante <b><a href="https://plus.google.com/u/0/102810293123229452162/posts">Marco Lazzara</a></b>, conosciuto anche come il ronin della blogosfera, si unisce a questo carrozzone per offrirci la sua personale visione di uno tra i film forse meno noti di Lamberto Bava.</div>
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Docente di Chimica e scrittore di racconti, il nostro Marco Lazzara è autore della raccolta "<b>Incubi e Meraviglie</b>" che colgo l'occasione di citare (e di <a href="http://www.inmondadori.it/Incubi-e-meraviglie-Marco-Lazzara/eai978886782182/"><b>linkare</b></a>) per ringraziarlo, sebbene in proporzione non abbastanza, per aver dedicato qualche ora del suo prezioso tempo a (ri)guardarsi questo filmaccio e a scriverci pure qualcosa in proposito. Grazie infinite, Marco!</div>
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Ammetto che ci vuole fegato per intraprendere la visione di "A cena col vampiro" sapendo esattamente di che morte si finirà per morire. Personalmente conoscevo questo film per averlo visto secoli addietro e, se devo dirla tutta, sono anche un invidiato possessore del DVD originale, particolare questo per cui, a partire da stasera, sarò irriso da tutti i visitatori del blog. Anzi, se proprio devo dirla tutta, possiedo l'intero cofanetto "<i>Brivido giallo</i>", citato da Marco nel suo articolo, contenente il peggio del peggio di Lamberto Bava. Se avevo delle vaghe speranze di venderlo in blocco a cinque euro su ebay... beh... da stasera tali speranze sfumeranno definitivamente ed io dovrò in un modo o nell'altro farmene una ragione. Ma basta ciarlare. Lascio la parola al buon Marco Lazzara che vi prenderà per mano e vi porterà.... a cena col vampiro!</div>
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<i><i>“Sta resuscitando, è terribile.”</i></i></div>
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Alla fine degli anni ‘80 <b>Lamberto Bava</b> dirige una serie di quattro discutibili film horror per la televisione chiamata <b>Brivido Giallo</b>, tra cui spicca “<i>A Cena col Vampiro</i>” (1988), una delle peggiori produzioni mai realizzate dal cinema italiano (almeno prima di “<i>Troppo Belli</i>” e “<i>Alex l’Ariete</i>”).</div>
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Il film inizia con una spedizione archeologica che scopre un antico sepolcro, dove è conservata una creatura mummificata, che si rivelerà essere un vampiro. Com’è prevedibile, inavvertitamente lo risvegliano dal suo sonno e verranno uccisi tutti. Siamo solo all’inizio del film, e già la recitazione è pessima. Ma la cosa peggiore è che questa scena non si collega in alcun modo col resto del film!</div>
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Dopo la recitazione carente, il difetto principale di questo film è infatti una sceneggiatura disattenta e mal scritta. I dialoghi sono spesso e volentieri imbarazzanti, e non solo per come sono recitati. La regia di Bava, gli effetti speciali realizzati da <b>Sergio Stivaletti</b>, le scenografie di <b>Antonello Geleng</b> e le musiche di <b>Boswell </b>e <b>Tagliaferri </b>sono le poche cose che in parte si salvano di questo obbrobrio. </div>
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A questo punto si cambia ambientazione. Un produttore sta facendo dei provini per conto del famoso regista di film horror Jurek (<b>George Hilton</b>). Una scena lungamente noiosa e anche molesta. Quattro ragazzi, Gianni (<b>Riccardo Rossi</b>), Rita (<b>Patrizia Pellegrino</b>), Monica (<b>Yvonne Sciò</b>) e Sasha (<b>Valeria Milillo</b>) vengono selezionati per girare un film con lui e condotti al suo castello per incontrarlo.</div>
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La recitazione dei quattro è tremenda. La Sciò è forse quella meno inamidata, ma la Milillo e la Pellegrino ci regalano un’interpretazione scialba, inespressiva; la Pellegrino oltretutto è doppiata e anche male. Ma la recitazione di Riccardo Rossi è davvero pessima, peggiorata anche dal fatto che il suo personaggio è poco credibile e continua a fare il simpatico e a dire battute forzatissime, che se in teoria avrebbero lo scopo di fare ironia e stemperare la tensione del film (che peraltro non esiste) hanno invece l’effetto di riuscire solo fastidiose. </div>
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Giunti alla dimora di Jurek è la festa del luogo comune. Il castello è un luogo cupo e sinistro, ad accoglierli c’è l’immancabile servo gobbo un po’ equivoco e compare anche un personaggio assurdo, una ragazza (<b>Isabel Russinova</b>) vestita con un costume del ‘700 che li avverte, com’è prevedibile, che lì c’è qualcosa di malvagio e li invita ad andarsene.</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiras69SD7MG2vYTT1L9BiTdQjFz0DV7Avq1gui7CY8-RKQ_1QYLa-rn20Z_sUXW4dQKqaawmoh5dee_pMpReGHHGL5O7o7JXuoxbvO3h6nIr-xH-a35ZHz6GhBY3E63ek8U1xwoHS2uYtY/s1600/acena3.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiras69SD7MG2vYTT1L9BiTdQjFz0DV7Avq1gui7CY8-RKQ_1QYLa-rn20Z_sUXW4dQKqaawmoh5dee_pMpReGHHGL5O7o7JXuoxbvO3h6nIr-xH-a35ZHz6GhBY3E63ek8U1xwoHS2uYtY/s1600/acena3.PNG" /></a></div>
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<b>Scena Cult.</b> A mezzanotte arriva Jurek e cena con loro: una scena che più grottesca e ridicola non si potrebbe avere, grazie a dialoghi assurdi e mal recitati. Qui si rivela come vampiro, raccontando di essere originario della Mesopotamia (non commento) e di avere 4000 anni, ma di essere ormai stanco della sua vita immortale, a cui da solo non può porre fine. (La scena iniziale non ha dunque alcun legame col resto del film, e non viene giustificata in alcun modo.) Jurek li ha infatti invitati lì perché lo uccidano; se non ci riusciranno entro l’alba li trasformerà in morti viventi, come quelli che vivono nelle cripte del suo castello. Notare che i quattro sono stati accuratamente selezionati: il produttore ha infatti svolto provini in tutto il mondo e ha scelto loro per quel compito. Il motivo non è molto chiaro, come molte delle cose di questo film. Jurek aggiunge loro di ricordarsi di Dorian Gray (cosa che fa intuire come andrà a finire questa boiata) e conclude con: “<i>Non posso aiutarvi. La mia deontologia professionale mi impedisce di aggiungere altro.</i>” Devo dirlo, qui ho avuto un mancamento.</div>
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A quel punto Jurek sparisce e i quattro si armano alla meglio per affrontarlo. Qui è un continuo rifugiarsi di stanza in stanza, il vampiro che appare, loro che provano a ferirlo. Altra scena penosa dove il povero Hilton (cosa si è abbassato a fare, poveraccio!) sembra un deficiente mentecatto. Aglio, croci, coltelli, paletti di legno, sono inutili contro il vampiro. In compenso, un calcio nelle parti basse sferratogli da Gianni si dimostra efficace. Gli elementi ridicoli in questo film abbondano. </div>
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“Ragazzi io credo che abbiamo veramente a che fare con un vampiro“ conclude Gianni dopo oltre un’imbarazzante ora di film.</div>
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Ricompare quindi la ragazza strana. Questo personaggio è del tutto incoerente: sembrava la compagna di Jurek, era stata vampirizzata e si comportava da pazza; ora invece sembra del tutto normale, non è vampirizzata e si veste in maniera moderna, cosa sottolineata dalle altre ragazze che le dicono come ammiravano il suo precedente vestiario. Ovviamente farlo mentre si è inseguiti da un vampiro è cosa perfettamente logica per gli sceneggiatori. </div>
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Nel pilotatissimo finale, Gianni distrugge il film di Jurek, e come nel Dorian Gray il vampiro invecchia sempre più (se a qualcuno è venuto in mente “<i>Il Fantasma del Palcoscenico</i>”... è un puro caso) fino a liquefarsi in una schifezza mal realizzata. </div>
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Il mio giudizio: un film imbarazzante, dalla sceneggiatura approssimativa e con attori dalla recitazione pessima, non apprezzabile nemmeno dagli amanti dei B-movie. Statene alla larga.</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEieKtlHI1ESvwHG6SbhGm2tSWApLmxxCfaeghIzhFgptQ0PZV6eOLKTObH9Gok7uyfoHTTSHotSyDajkj3bppXv5ZXLmKYCdpnH1UKjlY1KDKD_wUuMVBGLXSWQChL7iLAKLrBcaeuz3ztS/s1600/acena1.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEieKtlHI1ESvwHG6SbhGm2tSWApLmxxCfaeghIzhFgptQ0PZV6eOLKTObH9Gok7uyfoHTTSHotSyDajkj3bppXv5ZXLmKYCdpnH1UKjlY1KDKD_wUuMVBGLXSWQChL7iLAKLrBcaeuz3ztS/s1600/acena1.png" /></a></div>
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Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com20tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-28322073722541265232014-08-18T21:41:00.000+02:002014-08-18T21:41:26.150+02:00La sanguisuga conduce la danza<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyWsJN3g5vRDyVofXbA0Pr4BoJUwPJUysrziMy6cA_FOIP26IXWEQaTMpcGPgwPfz_gJEPi7XeKiUMFY02XmsJwuChMlbapOLhIlVMZW41gDhX85tBmdQMfHQlrquV4GTruwHQtjoYJX1A/s1600/sanguisugaposter.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyWsJN3g5vRDyVofXbA0Pr4BoJUwPJUysrziMy6cA_FOIP26IXWEQaTMpcGPgwPfz_gJEPi7XeKiUMFY02XmsJwuChMlbapOLhIlVMZW41gDhX85tBmdQMfHQlrquV4GTruwHQtjoYJX1A/s1600/sanguisugaposter.jpg" height="400" width="275" /></a></div>
Avete presente quei vecchi horror gotici italiani, molto popolari negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta? Quei vecchi film talmente affascinanti che sembrano non invecchiare mai e che ebbero tra i suoi massimi interpreti cineasti del calibro di <b>Riccardo Freda</b> (<i>I vampiri</i>, 195), <b>Renato Polselli</b> (<i>L’amante del vampiro</i>, 1960), <b>Mario Bava</b> (<i><a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/2011/05/la-maschera-del-demonio.html">La maschera del demonio</a></i>, 1960) e <b>Antonio Margheriti</b> (<i><a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/2012/08/danza-macabra.html">Danza Macabra</a></i>, 1964)? Era un tipo di film le cui trame si svolgevano accarezzando, chi più chi meno, tutta una serie di stereotipi che ne permettevano rapida l’identificazione nel genere (e in questo caso il mio uso del termine stereotipi è tutt’altro che negativo).<br />
Solitamente c’era un eroe/nobiluomo di mezza età, possibilmente di bell’aspetto ma non troppo. C’era naturalmente un castello arroccato in cima ad un luogo inaccessibile, come per esempio una scogliera. C’era il ricordo di una storia familiare tragica, spesso caratterizzata da morti violente o suicide. C’era una dama misteriosa che si aggirava per le stanze del castello, spesso più di una, il cui fascino finiva inevitabilmente per stregare il nobiluomo di cui sopra o un suo occasionale ospite. Sporadicamente c’era un ritratto sopra il camino raffigurante una nobildonna, morta secoli prima, dall’impressionante somiglianza con la dama già citata. Facevano da contorno tutta una serie di vari personaggi opzionali, dal maggiordomo tenebroso al giardiniere misterioso, dalla governante goffa alla giovane ancella di cui non si capiva mai bene la funzione reale nell’economia del film.<br />
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Nel film “<b>La sanguisuga conduce la danza</b>” (<i>The Bloodsucker leads the dance</i>, 1975) c’è tutto questo e anche di più. Abbiamo l’eroe/nobiluomo, interpretato da <b>Giacomo Rossi-Stuart</b>, nella cui storia familiare ci sono ovviamente omicidi e tradimenti. Abbiamo l’eroina bionda e innocente, interpretata da <b>Patrizia De Rossi</b>, la cui somiglianza con la precedente signora del castello, scomparsa anni prima, è inequivocabile. Abbiamo un maggiordomo (<b>Mario De Rosa</b>), una governante (<b>Femi Benussi</b>) e abbiamo anche un giardiniere tuttofare (l’onnipresente <b>Luciano Pigozzi</b>). Inutile dire che le vicende si svolgono tra le mura di un castello inaccessibile, all’interno del quale è ben visibile un ritratto (in questo caso solo una fotografia) della tizia già citata.<br />
Se quindi è vero che le premesse sono quelle giuste, se è vero che i pezzi sulla scacchiera sono inizialmente tutti al loro posto, cosa possiamo aspettarci nella successiva ora e mezza di film? Comunque sia, già a questo punto è chiaro che non ci saranno vie di mezzo: o ci ritroveremo ad ammirare un capolavoro, oppure dovremo fare i conti con una boiata di proporzioni ciclopiche. Quale delle due? Lo scopriremo presto.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhw2jpiykWEmnXDPqvkO2Jrn5LJ3ge-CoDePr4yylXC84LUXyqVjGFt0w6Gk8Y4iT4teDp5w1pvSkahh-wfTwEgnbS4uLaW41_9XMPAdA-GFcVuik21b2xCZB_xjJ2YnobYeqC3lcAA0Euj/s1600/sanguisuga2.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhw2jpiykWEmnXDPqvkO2Jrn5LJ3ge-CoDePr4yylXC84LUXyqVjGFt0w6Gk8Y4iT4teDp5w1pvSkahh-wfTwEgnbS4uLaW41_9XMPAdA-GFcVuik21b2xCZB_xjJ2YnobYeqC3lcAA0Euj/s1600/sanguisuga2.PNG" /></a></div>
Irlanda, 1902. Il conte Richard Marnak fa il suo ingresso in un teatro dove si è appena conclusa l’ultima rappresentazione di una scalcagnata compagnia di attori in via di scioglimento. Il conte è naturalmente abbigliato come il più tipico dei vampiri: un ampio mantello nero, la tuba in testa e in mano un bastone da passeggio. Facciamo subito la conoscenza di Evelyn, apparentemente la più pudica tra le attrici presenti, che il conte cercherà di convincere a seguirlo al castello. Stiamo forse per assistere alla storia di un vampiro che cerca di attirare una vergine bionda nella propria rete? Ahimè no. Gli scambi di battute tra i presenti, in questa prima scena, ricordano quelle vecchie commedie di <b>Eduardo De Filippo</b>: adulti con comportamenti fanciulleschi, umorismo saturo di doppi sensi e personaggi al limite del surreale. Un brivido freddo a questo punto sta già percorrendo la schiena dello spettatore, che comincia a temere per la sua incolumità. Il conte Marnak, lo si scoprirà immediatamente, non è affatto un vampiro e la giovane Evelyn, come non tarderemo a scoprire, non è affatto una vergine innocente. E intanto se ne sono già andati i primi dieci minuti di pellicola e con loro buona parte delle nostre speranze.<br />
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Sarà forse stato il titolo ad averci tratto in inganno? È vero che in quegli anni i titoli della maggior parte delle produzioni del cinema italiano erano alquanto coloriti e spesso vivevano di citazionismo (con solo dei vaghi rimandi alla trama), ma “<i>La sanguisuga conduce la danza</i>” è quanto di più lontano dal contenuto della pellicola si potesse pensare. La sanguisuga (o il suo corrispettivo inglese “bloodsucker” che potrebbe far balenare in mente l’idea di un vampiro) c’entra qualcosa con il film? Certo che no! In questo film non ci sono sanguisughe per chilometri, non ci sono vampiri né qualsiasi altra forma di ematofagi, nessuno “conduce” nessuno da nessuna parte e, per coerenza con il resto, non c’è traccia nemmeno di una danza, intesa né come ballo, né in maniera figurata. Nulla di nulla. C’è solo questo conte che, grazie al suo fascino maliardo, riesce a convincere una imprudente ragazza a seguirlo al castello. Un tipo di fascino maliardo anni Settanta che, per affascinare ed ammaliare, necessita di un aiutino. E così, per aiutare la giovane nella sua decisione, estende l’invito a tutta l’allegra brigata (prevalentemente composta da fanciulle molto poco verginali).<br />
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Da questo momento in avanti, infatti, il film si rivela per quello che è veramente: uno squallido pretesto per mostrare una generosa quanto immotivata dose di tette e culi. Sorvolerei tranquillamente sulla successiva ora di proiezione, nel corso della quale non accade praticamente nulla, se non interminabili e mal girate sequenze di gente impegnata in scene di sesso, spesso anche ben oltre la soglia dell’hard. Fortunatamente hanno inventato il tasto <b>Fast Forward</b> e, senza alcun rimpianto, non esito a farne buon uso. Mando avanti, mando avanti, mando avanti…. e nulla sembra cambiare fino ad un quarto d’ora dalla fine, quando mi accorgo che qualcosa inizia a succedere: finalmente comincia a morire qualcuno. Le scene di omicidio in realtà non si vedono. Solo ogni tanto salta fuori qualche cadavere e una dopo l’altra le allegre fanciulle iniziano a cadere vittime di un qualche fantomatico assassino. Quando dico “<i>salta fuori qualche cadavere</i>” intendo esattamente quello che ho detto: non vi sono scene di omicidio, tutto avviene dietro le quinte e ciò che viene mostrato è solo qualche testa mozzata di cartapesta e nulla più. Questa se vogliamo è la parte de “La sanguisuga conduce la danza” che mi sentirei di salvare: non tanto per meriti artistici, ma perché la recitazione e i dialoghi diventano quanto di più divertente si possa sperare. Non saprei nemmeno dire se tutto ciò sia involontario o meno. Viene quasi da pensare che sia tutto voluto, talmente idioti vengono dipinti i personaggi.<br />
Ma siamo ormai a pochi minuti dalla fine. Non c’è tempo per godersi un po’ di sana demenzialità: occorre arrivare a scoprire il nome dell’assassino. Incredibilmente non c’è alcun indizio, nessuno ha avanzato ipotesi, né tantomeno è stata coinvolta la polizia. Poi improvvisamente il primo piano di un poliziotto, mai visto prima, che a pochi secondi dalla fine ci rivela il nome dell’assassino. E lo fa mettendo in piedi anche una spiegazione complessa (che avrebbe anche meritato di più, se non fosse che tutta la parte di indagine è stata saltata a piè pari).<br />
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Non posso che concludere facendo entrare di diritto, senza possibilità di appello, questo “La sanguisuga conduce la danza” nella top ten dei film più brutti di sempre. Tutto è orrendo. Anche le scene di sesso viste con il Fast Forward sono pietose, seppure concedendo il beneficio del dubbio al regista <b>Alfredo Rizzo</b> in merito alla possibilità che il girato hard presente nella mia copia non facesse parte del montaggio originale (tanto più che le controfigure utilizzate non assomigliavano nemmeno lontanamente agli attori che avrebbero dovuto impersonificare). Da addebitare invece all’originale rimangono però di sicuro alcune soluzioni low-budget veramente imbarazzanti, come quegli assurdi inserti in bianco e nero (evidente riciclo di qualche vecchio film o documentario) per rappresentare il mare in tempesta. In sostanza un film da evitare come la peste a meno che non abbiate intenzione di autopunirvi.<br />
Post scriptum: da segnalare la scena lesbo tra la ragazza bianca e la ragazza nera (con il guardone appostato fuori dalla finestra), chiara citazione del capolavoro di <b>Sergio Martino</b> “<i>I corpi presentano tracce di violenza carnale</i>” (1973) in cui troviamo la stessa scena praticamente identica. Chi di voi ha detto “plagio”?</div>
Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com18tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-64441463113146156932014-07-31T09:00:00.000+02:002014-07-31T19:00:26.150+02:00La frusta e il corpo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<a href="http://3.bp.blogspot.com/-dW2Fhmmy1_w/UtPMnpBeqDI/AAAAAAAAEuE/Zfk_Nv1lxf0/s1600/frusta+corpo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/-dW2Fhmmy1_w/UtPMnpBeqDI/AAAAAAAAEuE/Zfk_Nv1lxf0/s400/frusta+corpo.jpg" height="400" width="276" /></a></div>
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<i>Domanda: "Che cosa desidera per il futuro?"</i></div>
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<i>Mario Bava: "Desidero una bara ricolma di sangue nella quale io possa riposare in pace, potendo però uscire la notte per addentare sul collo i film che ho fatto."</i></div>
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<i>Domanda: "Come si spiega che gli americani e i francesi hanno apprezzato i suoi film più degli italiani?"</i></div>
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<i>Mario Bava: "Perché sono più fessi di noi."</i></div>
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Esattamente un secolo fa, il 31 luglio 1914, nasceva <b>Mario Bava</b>, uno dei pochi indiscutibili caposaldi del cinema italiano di genere. Autore di pellicole consacrate allo stato di cult quali “<i><a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/2011/05/la-maschera-del-demonio.html" target="_blank"><b>La maschera del demonio</b></a></i>” (196o) o “<i><a href="http://obsploitation.blogspot.it/2014/03/sei-donne-per-lassassino.html" target="_blank"><b>Sei donne per l’assassino</b></a></i>” (1964), solo per citare un paio di titoli già recensiti dalle mie parti, Mario Bava ha segnato un solco che sarebbe stato ripercorso innumerevoli altre volte dai nostri registi, a partire da <b>Lamberto</b>, figlio d’arte e biologico, passando da tutta la generazione di registi anni Settanta e transitando dai signori del giallo, non ultimo quel <b>Dario Argento</b> che ha sottratto a Bava tutti gli inconfondibili stilemi del giallo che lo avrebbe reso celebre, per terminare (ebbene sì) con la generazione degli <b>Zampaglione </b>et similia che, pur con altalenanti risultati, devono certamente gran parte del loro mestiere agli insegnamenti del grande maestro. Inventore riconosciuto del film gotico, del giallo all’italiana, ma anche di catogorie “meno nobili” come lo slasher, Mario Bava riuscì ad esportare il suo ingegno anche all’estero, raggiungendo e ispirando nomi del calibro di <b>David Lynch</b>, <b>Martin Scorsese</b>, <b>Tim Burton</b> e, naturalmente, il “solito” <b>Quentin Tarantino</b>.<br />
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Ed è proprio oggi, in occasione della secolare ricorrenza, che la solita combriccola di appassionati blogger cinefili decide di dedicare una serie di articoli alla figura del compianto maestro.</div>
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Tradito dalla fretta e dagli impegni di lavoro, il vostro <b>Obsidian </b>si è unito al carrozzone blogghereccio solo negli ultimi giorni e, anche se avrebbe voluto scrivere qualcosa di davvero originale, è stato infine costretto ad uno spudorato ripiego. L’intenzione sarebbe stata quella di recuperare uno dei (pochi) film di Bava ancora mancanti alla mia collezione ma, ahimè, il progetto non era fattibile e, pur di partecipare a questa iniziativa, ho deciso di mettere per un attimo da parte l’orgoglio e di riciclare (che orrenda parola) una recensione che avevo già scritto <a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/2011/05/la-frusta-e-il-corpo.html" target="_blank"><b>tre anni fa</b></a> sul mio blog gemello. Poco male, ho pensato, dopotutto tre anni fa <b>The Obsidian Mirror</b> ancora stava attaccato al biberon e quel vecchio post, ingenuo e raffazzonato, non ricevette che poche visite e inevitabilmente zero commenti. Quello che leggerete da qui in avanti è quindi un’operazione di puro revival. Lo fanno i più grandi, perché non posso farlo io? E quindi eccomi qui a presentare “<i>La frusta e il corpo</i>” (1963), uno dei miei Bava preferiti. </div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMwtYDdhLtEwDrdnEr6tJTSF-ekmPSQC0KY0lXa6jsyxmjApKJwajNaONFuXHp4j6ewgEO4DM5Y31OZk64tX1K4jiuXmK_orzap9zbCLulc7LYFNIy0woVpp0A2xdC8rjwf8u924xhmxtO/s1600/frusta1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMwtYDdhLtEwDrdnEr6tJTSF-ekmPSQC0KY0lXa6jsyxmjApKJwajNaONFuXHp4j6ewgEO4DM5Y31OZk64tX1K4jiuXmK_orzap9zbCLulc7LYFNIy0woVpp0A2xdC8rjwf8u924xhmxtO/s1600/frusta1.jpg" /></a></div>
Quando penso a questo film la prima cosa che mi viene in mente è il senso di “oppressione uditiva” che ho provato quando l’ho visto per la prima volta. Eh già, perché il suono ammantava tutto il resto, soprattutto l’onnipresente rumore del vento che come un lupo ululante si udiva ovunque, anche all’interno di stanze chiuse. Magari i dettagli li ho scordati, ma questo è impossibile dimenticarlo, così come i colori accesi e i meravigliosi paesaggi in contrasto con la severità e la cupezza del castello.</div>
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La storia è molto semplice, ma efficace: il conte Kurt Menliff (<b>Christopher Lee</b>) fa ritorno al castello di famiglia, da dove era stato cacciato per il coinvolgimento nel suicidio della figlia della governante, per accampare diritti sull’eredità. Infatti, suo padre è malato e ha intenzione di nominare suo unico erede il secondogenito Christian, che tra l’altro ha sposato Nevenka (<b>Daliah Lavi</b>), la donna con la quale Kurt in precedenza aveva avuto una relazione. Il ritorno di Kurt è accolto male da tutti, inclusa Nevenka: ma nonostante la donna professi di odiarlo, in realtà è legata a lui da un torbido rapporto di amore-odio e la loro relazione (esplicitamente sadomasochistica) ben presto riprende.</div>
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Dopo la morte del capofamiglia prende il via una catena di delitti accompagnati da eventi soprannaturali, e inizialmente non è chiaro se il colpevole sia uno spirito vendicativo o una persona in carne e ossa. Alla fine naturalmente il mistero viene svelato e il colpevole punito, ma sebbene si configuri in definitiva una storia di colpa e punizione, personalmente nel classico finale non ho colto alcuna particolare lezione morale. Magari mi sbaglio, ma vedo questo film, oltre che come racconto soprannaturale, più che altro come una storia d’amore e tradimento, anche se non so dire quanto questa idea sia mia e quanto mi sia stata inculcata dalla mia fidanzata, che continuava a parlarmi di canovaccio da feuilleton, per quanto anomalo ;)</div>
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I personaggi si muovono in un contesto stranissimo: al di fuori del castello il paesaggio è un sogno color pastello, mentre il castello di per sé è un luogo da incubo dove i personaggi sembrano girare in tondo in modo inconcludente in balia dei propri sentimenti (vedesi il servo che si aggira di notte con aria losca scatenando su di sé i sospetti; il fratello di Kurt che confessa i propri sentimenti alla cugina; la stessa Nevenka…).</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqr_AXV5ivzlji-owFt8HTibcvzHwNghH3t3DWwMQl72FjULL09fbCcuWqfbARYAv5bZoISv2Z_iVPx8cckA4F8EI6m1cVPXnFKon3FwoYpu6bmno5AwYhgohR1iSxxZqbOJ42b7JOSO-n/s1600/frusta2.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqr_AXV5ivzlji-owFt8HTibcvzHwNghH3t3DWwMQl72FjULL09fbCcuWqfbARYAv5bZoISv2Z_iVPx8cckA4F8EI6m1cVPXnFKon3FwoYpu6bmno5AwYhgohR1iSxxZqbOJ42b7JOSO-n/s1600/frusta2.PNG" /></a></div>
A dispetto della pressoché totale assenza di scene davvero paurose, nel film c’è una notevole suspense. La relazione tra Kurt e Nevenka è sviscerata molto bene, per merito dei due attori bruni, intensi, e della morbosità che riescono a trasmettere con lo sguardo e con i gesti: e per fortuna la recitazione convince, perché tutto il film si regge su questi due personaggi… <b>Christopher Lee </b>conserva per tutto il film uno sguardo glaciale e incombente, mentre <b>Daliah Lavi</b> è, letteralmente, brace sotto la cenere, perché da subito si intuisce che dietro la sua aria da gran dama c’è ben altro, e difatti alla fine per perversione lei risulta di gran lunga superiore al suo amante, la cui immagine la tormenta anche negli incubi. Come si suol dire, quando l’allievo supera il maestro. Ho avuto l’impressione che nell’intimo lei avrebbe voluto essere una brava moglie con una vita regolare, e non solo per convenzione sociale, ma la sua vera natura glielo impedisse e questo conflitto interiore alla fine fosse divenuto per lei devastante.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4pw2xximBCRY5rHqAhzhf6morPcmAJEjKouLt_czUhwBh2zN-INhRFrbJH2JcUMvC_YpWVylhtuQzGMmJNqWag9P7xLYmQr2mHDNI9qPzyrPnhB8LhQWDEghb_A0RxhFwcQrBrvdLHlg/s1600/bavabanner2.PNG" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4pw2xximBCRY5rHqAhzhf6morPcmAJEjKouLt_czUhwBh2zN-INhRFrbJH2JcUMvC_YpWVylhtuQzGMmJNqWag9P7xLYmQr2mHDNI9qPzyrPnhB8LhQWDEghb_A0RxhFwcQrBrvdLHlg/s1600/bavabanner2.PNG" height="232" width="320" /></a>Bava fu all’avanguardia nel trattare un tema così avverso alla morale comune in maniera tanto esplicita: quanto accade tra Kurt e Nevenka non è suggerito, al contrario è mostrato in maniera insistita e, se posso dirlo, anche seducente. Certo è difficile che al giorno d’oggi ci si possa scandalizzare per quanto viene messo in scena nel film, ma è sorprendente se lo si rapporta al periodo nel quale il film fu girato (era il 1963). Anche in questo sta l’interesse per un film per altri versi molto convenzionale.<br />
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Qui di seguito l'elenco completo dei partecipanti al <b>Mario Bava Celebration Day</b>:<br />
<b><a href="http://http//whiterussiancinema.blogspot.com/2014/07/la-maschera-del-demonio.html" target="_blank">La maschera del demonio</a> </b>(1960) su<b> <i>White Russian</i></b><br />
<b><a href="http://directorcult.blogspot.it/2014/07/mario-bava-day-i-tre-volti-della-paura_31.html" target="_blank">I tre volti della paura</a> </b>(1963) su<b> <i>Director's cult</i></b><br />
<b><a href="http://http//obsploitation.blogspot.com/2014/07/la-frusta-e-il-corpo.html" target="_blank">La frusta e il corpo</a></b> (1963) su<b> <i>Obsploitation</i></b><br />
<b><a href="http://scrivenny-dennyb.blogspot.com/2014/07/mario-bava-day-la-ragazza-che-sapeva.html" target="_blank">La ragazza che sapeva troppo</a> </b>(1963) su<b> <i>Scrivenny 2.0</i></b><br />
<b><a href="http://bollalmanacco.blogspot.com/2014/07/mario-bava-day-sei-donne-per-lassassino.html" target="_blank">Sei donne per l’assassino</a> </b>(1964) su<b> <i>Il bollalmanacco di cinema</i></b><br />
<b><a href="http://nonceparagonecinema.blogspot.com/2014/07/mario-bava-day-reazione-catena.html" target="_blank">Reazione a catena</a> </b>(1971) su<b> <i>Non c'è paragone</i></b><br />
<b><a href="http://recensioniribelli.blogspot.com/2014/07/mario-bavas-day-gli-orrori-del-castello.html" target="_blank">Gli orrori del castello di Norimberga</a> </b>(1972) su<b> <i>Recensioni ribelli</i></b><br />
<b><a href="http://http//castellodiif.blogspot.com/2014/07/quentin-chi.html" target="_blank">Cani arrabbiati</a> </b>(1974) su<b> <i>Montecristo</i></b><br />
<b><a href="http://lafabricadeisogni.blogspot.com/2014/07/mario-bava-day-shock.html" target="_blank">Schock</a> </b>(1977) su<b> <i>La fabbrica dei sogni</i></b></div>
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Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com12tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-54847924759276016702014-07-29T21:00:00.000+02:002014-09-02T20:15:09.904+02:00Sette note in nero<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgLpAhI3MkkrSztKBmwBFl5jPPykSRblx4SA4-rceuPVbE2EJmyJX7Y4DBMsSE5D_JIJB4Jv2_daORThfgX_yOxyDao7TowMeiCv83L0EheZRv-YLBiyVqT10rMcU1TuciH4P4c8Jnh7EX/s1600/7noteinnero.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgLpAhI3MkkrSztKBmwBFl5jPPykSRblx4SA4-rceuPVbE2EJmyJX7Y4DBMsSE5D_JIJB4Jv2_daORThfgX_yOxyDao7TowMeiCv83L0EheZRv-YLBiyVqT10rMcU1TuciH4P4c8Jnh7EX/s1600/7noteinnero.PNG" height="400" width="331" /></a></div>
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<i>Mi sposai giovane, e fui felice di trovare in mia moglie una indole congeniale alla mia. Osservando la mia predilezione per gli animali domestici, non perdeva occasione di procurarmi quelli delle specie più piacevoli. Avevamo uccelli, pesci dorati, un bellissimo cane, conigli, una scimmietta e un gatto.</i></div>
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Tutto iniziò nel 1843, quando un ispirato scrittore americano diede alla luce un racconto che, seppur nella sua brevità e nella semplicità del suo intreccio, sarebbe stato destinato a diventare uno dei capisaldi assoluti della letteratura horror di tutti i tempi. L’idea di base era molto semplice: sfruttare quell’antichissima leggenda che vede i gatti neri portatori di sventura, una leggenda che, tramandata di epoca in epoca, non poteva non essere giunta alle orecchie del nostro scrittore. Sulle origini del misterioso potere attribuito ai gatti neri si potrebbero spendere pagine e pagine ma, in questa sede, basti sapere che tutto è da ricondursi alla civiltà dell’antico Egitto, la più remota testimone della convivenza tra uomini e gatti (agli antichi egizi si devono le prime immagini funerarie di gatti nonché le prime iscrizioni a loro dedicate nelle piramidi). Legati alla dea Iside, regina della notte, i gatti neri vennero quindi associati al concetto di oscurità, il che li portò, con un breve passo, a divenire, come quest’ultima, sinonimo di paura.
I secoli non fecero altro che amplificare questa associazione, fino a toccare l’apice durante gli anni bui dell’Inquisizione, quando migliaia di gatti neri vennero perseguitati e messi al rogo per le loro supposte connotazioni maligne. </div>
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<a name='more'></a>Ma mi rendo conto che, parlando di gatti, sto seriamente rischiando di andare fuori tema. Il nostro scrittore, stavo dicendo, non era certo un ragazzo alle prime armi: tra la sua immensa produzione letteraria (all’epoca era quasi quarantenne) c’erano già stati diversi lavori che, soprattutto dopo la sua morte, che avverrà sei anni più tardi in circostanze mai chiarite, consegnarono il suo nome alla leggenda. Tra questi uno in particolare è oggi universalmente identificato come il capostipite del romanzo poliziesco. Precedendo di quasi 80 anni l’esordio della “regina del giallo”, Agatha Christie, il racconto “ <i>The murders in the rue Morgue</i> (1841)” non fu tuttavia in grado di portare immediata gloria al suo autore. Il successo venne però due anni più tardi, proprio con il racconto nato sulla leggenda del gatto nero portatore di sventura. <b>Edgar Allan Poe</b>, scrittore, poeta, giornalista, editore ma soprattutto pioniere della letteratura horror, aveva colto nel segno e aveva consegnato ai posteri un racconto il cui tema, tra l’altro, sarebbe stato anche uno dei più sfruttati a livello cinematografico.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiy2_qYx4PW-Um0SMKovegqUmk_P3t4oYuAhuhcptmedmBrAgQKlzvXcMQ_olAnsTSM06PvfJvfLC6GaH0r33y9GS-S3zkJq5WxncBf3rYhUNlz_R6reQjpMvLRtJu5jnNx6SZPy4ijEFqG/s1600/7note1.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiy2_qYx4PW-Um0SMKovegqUmk_P3t4oYuAhuhcptmedmBrAgQKlzvXcMQ_olAnsTSM06PvfJvfLC6GaH0r33y9GS-S3zkJq5WxncBf3rYhUNlz_R6reQjpMvLRtJu5jnNx6SZPy4ijEFqG/s1600/7note1.PNG" /></a></div>
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<i>Per parte mia, ben presto sentii nascere dentro di me una viva antipatia nei suoi confronti. Era proprio il contrario di quel che avevo previsto; ma ‐ non so come e perché avvenisse ‐ il suo evidente affetto per me non faceva che disturbarmi e irritarmi. A poco a poco questi sentimenti, disgusto e fastidio, crebbero fino a mutarsi nell'asprezza e nell'odio. </i></div>
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Il primo cineasta ad intuire il potenziale del racconto di Edgar Allan Poe fu un pioniere del cinema muto, il francese <b>Charles Krauss</b>. Il suo “<i>Le chat noir</i>” (datato 1920, e ovviamente, omonimo del racconto di Poe), che risulta essere oggi di difficile (ma non impossibile) reperibilità, durava all’incirca 45 minuti e ricalcava solo in parte la fonte originale: nella versione di Krauss la storia ruotava attorno ad una serie di omicidi (assenti nel racconto di Poe) testimone dei quali era, sistematicamente, lo stesso sinistro gatto nero.
Dopo quel primo adattamento, molti altri ne seguirono e, ad oggi, i più celebri sono forse quelli che troviamo nel contesto di due film ad episodi girati a distanza di 30 anni l’uno dall’altro. Due film girati da due registi che, seppur diametralmente diversi tra loro, hanno segnato, ciascuno, un solco importante nel cinema horror della propria epoca. Il primo è <b>Roger Corman</b>, che inserì l’episodio “<i>Il gatto nero</i>” nel suo immortale “<i>I racconti del terrore</i>” (1962); il secondo fu <b>Dario Argento</b>, che si cimentò con “<i>Il gatto nero</i>” nel secondo spezzone del film “<i>Due occhi diabolici</i>” (1990). </div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXTObZt-YzH4aEfdv7d_F1SoEOBf5Zm8RtUka7jzVtryfOkeuEl1S9h12cZclyFB-Kr7RVdcCU9GnKUSBr0i6fGSy5J_H9kscxOkp8APs6vf-phQpIMpSd1ba4y7KqnVlP50FTa7rOnlkd/s1600/7note4.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXTObZt-YzH4aEfdv7d_F1SoEOBf5Zm8RtUka7jzVtryfOkeuEl1S9h12cZclyFB-Kr7RVdcCU9GnKUSBr0i6fGSy5J_H9kscxOkp8APs6vf-phQpIMpSd1ba4y7KqnVlP50FTa7rOnlkd/s1600/7note4.PNG" /></a></div>
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<i>Brandendo un'ascia, e dimenticando nella mia furia il puerile timore che fino a quel momento aveva frenato la mia mano, vibrai all'animale un colpo che, se fosse calato come volevo, gli sarebbe certo riuscito fatale. Ma il colpo fu arrestato dalla mano di mia moglie. Questo suo intervento scatenò in me una rabbia più che demoniaca: liberai il braccio dalla sua presa e le affondai l'ascia nel cervello. Cadde morta all'istante, senza un gemito. </i></div>
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Ma è stato indiscutibilmente il nostro <b>Lucio Fulci</b> colui che riuscì a realizzare il migliore tra i tanti tentativi di trasferire sul grande schermo “Il gatto nero” di Poe. Il mitico “<i>re dell’horror all’amatriciana</i>”, uno dei nostri più prolifici autori, talmente versatile da non indietreggiare di fronte ad alcun genere gli venisse proposto, realizzò addirittura due diversi adattamenti del racconto di Poe.
Il primo di questi è appunto “<i>Sette note in nero</i>” (1977), oggetto del post di oggi, con <b>Jennifer O'Neill</b>, <b>Gianni Garko</b> e <b>Gabriele Ferzetti</b>; il secondo arriverà pochi anni più tardi e verrà intitolato, in maniera molto più esplicita, proprio “<i>Il gatto nero</i>” (1981).
Seppure non sia tecnicamente esatto affermare che sia proprio il celebre racconto di Poe a cui “<i>Sette note in nero</i>” strizza l’occhio, le similitudini sono evidenti. Ma per spiegarmi meglio occorre qui una piccola digressione letteraria e ritornare al 1843, nello studio del nostro scrittore: negli stessi giorni in cui <b>Edgar Allan Poe</b> stava lavorando al suo “gatto nero”, tra i suoi innumerevoli appunti figurava una versione leggermente diversa della storia. L’ossessione del protagonista, in quella versione, non era un gatto nero, bensì l’occhio vitreo di un vecchio che lo fissava costantemente. In preda alla follia egli finì per uccidere l’oggetto dei suoi incubi, lo smembrò e ne occultò il cadavere sotto le tavole del pavimento. Ma tutto ciò non bastò a risvegliarsi dall’incubo e sarà proprio la sua follia infine a condannarlo. </div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8WnW1CKqQ5-IR77hSe5LFr-bcH6WVWxkx5eNnB6k_EdNMdQRxiyCNRkQURWg4rCkOKCElCsi84SBGJIimXcdtslrJJj5WOqnBDSThmdMxfZwJaK3hzn9ENKqSBeVbrlUT3o2FJfpihBqB/s1600/7note3.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8WnW1CKqQ5-IR77hSe5LFr-bcH6WVWxkx5eNnB6k_EdNMdQRxiyCNRkQURWg4rCkOKCElCsi84SBGJIimXcdtslrJJj5WOqnBDSThmdMxfZwJaK3hzn9ENKqSBeVbrlUT3o2FJfpihBqB/s1600/7note3.PNG" /></a><i>A tale scopo la cantina era quanto mai adatta. I muri erano poco compatti, e di recente erano stati ricoperti per intero di un ruvido intonaco che a causa dell'umidità dell'atmosfera non aveva potuto indurirsi. Inoltre, in uno dei muri c'era una sporgenza, dovuta a un falso camino o focolare, che era stata riempita così da non presentare differenze rispetto al resto della cantina. Non avevo dubbi di potere agevolmente rimuovere i mattoni in quel punto per poi introdurvi il cadavere e murare tutto come prima così che nessun occhio scoprisse alcunché di sospetto. </i></div>
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Anche il racconto “<i>Il cuore rivelatore</i>”, variante sul tema del gatto nero, vide la luce nel 1843. <b>Lucio Fulci </b>conosceva evidentemente entrambi i racconti di Poe e, quando diresse il suo “<i>Sette note in nero</i>”, probabilmente decise di prelevare il meglio dai due racconti e di miscelarlo assieme.
Ciò che ne venne fuori fu la storia di una signora inglese dell’alta borghesia, dotata fin da bambina di capacità precognitive (il film si apre con lei bambina che “vede” il suicidio della madre). Virginia Ducci, ormai adulta, è tormentata dalla visione di uno scheletro di una donna murata viva. Un episodio avvenuto chissà quando e chissà dove, a cui lei assiste con dovizia di particolari fino al tragico epilogo. Sarà quando Virginia metterà piede per la prima volta nella villa di campagna del marito che il vero incubo avrà inizio: quel luogo, le stanze, l’arredamento, è tale e quale a quello della sua visione. Presa dal panico Virginia chiederà l’intervento della polizia che troverà effettivamente un cadavere dietro la parete da lei indicata. A seguito dell’autopsia, quei macabri resti si riveleranno appartenere ad una giovane donna scomparsa anni prima, forse l’amante del marito di Virginia. Ma la storia non sarà così semplice. Virginia capirà di aver sbagliato tutto, di aver interpretato male la sua visione, che a poco a poco si fa sempre più nitida.
Non sarà però un gatto nero il <i>deux ex machina</i> della vicenda, bensì il carillon di un orologio (molto più simile come concetto al battito del “<i>Cuore rivelatore</i>”). </div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzoAD5bO0Ush2bbXx31DMaNtGjtLWLJDzg4dQQkoYcQAW7S8urLtyGtgStMkJdwG9okoRTPh0w301_DsPEWCYm6cfnd9GWkraQxTmyc9DMHQBhLc8y1y1ThQ-uBC19oaJEVtpahzJVzvxm/s1600/7note2.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzoAD5bO0Ush2bbXx31DMaNtGjtLWLJDzg4dQQkoYcQAW7S8urLtyGtgStMkJdwG9okoRTPh0w301_DsPEWCYm6cfnd9GWkraQxTmyc9DMHQBhLc8y1y1ThQ-uBC19oaJEVtpahzJVzvxm/s1600/7note2.PNG" /></a></div>
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<i>Il quarto giorno dopo l’assassinio, del tutto inaspettatamente, si presentarono in casa mia alcuni agenti di polizia e procedettero a un nuovo, minuzioso esame dell’edificio. Ma, sicuro com’ero dell’irreperibilità del mio nascondiglio, non provai il minimo imbarazzo. Gli agenti mi ordinarono di accompagnarli nella perquisizione. Non lasciarono inesplorato nessun angolo, nessun recesso. Alla fine, per la terza o quarta volta, scesero in cantina. Non mi tremava un muscolo. Il cuore mi batteva calmo come quello di chi dorma un sonno innocente. Percorsi la cantina da un capo all’altro. Camminai avanti e indietro con fare disinvolto, le braccia conserte. Quelli della polizia erano pienamente soddisfatti e si disponevano ad andarsene. L’esultanza del mio cuore era troppo forte perché potessi frenarla. Smaniavo dalla voglia di dire una parola, una sola, in segno di trionfo, e rendere doppiamente certa la loro certezza della mia innocenza. </i></div>
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Ciò che distingue “<i>Sette note in nero</i>” da tutti gli altri adattamenti cinematografici è proprio l’impronta di <b>Lucio Fulci</b>, che qui troviamo ispirato come non mai, assieme alla sbalorditiva fotografia di <b>Sergio Salvati</b>.
C’è uno stretto legame che lega <b>Lucio Fulci</b> ad <b>Edgar Allan Poe </b>e ai protagonisti dei suoi racconti. La visionarietà, innanzitutto, e forse quel briciolo di follia che, criticato in vita, ne rappresenta lo stimolo per la consacrazione in morte. Un talento visionario che non ha mai portato nulla di buono a nessuno, né allo scrittore, né al regista, né tantomeno alla Virginia Ducci di “<i>Sette note in nero</i>”, a cui solo il puro caso è corso in aiuto. «Un film che trascende i limiti del giallo» - spiega Lucio Fulci nell’intervista pubblicata sullo speciale di “Nocturno” a lui dedicato - «Uno dei miei film migliori, che in Italia non ha fatto neanche i soldi per pagare le pile delle maschere in sala. Ho legato il tema della parapsicologia al giallo e ho raccontato il mio personale rapporto con il tempo passato e quello futuro. È la storia che vede nel presente il suo futuro e pensa in realtà sia un fatto avvenuto nel passato. Affascinante.». </div>
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Nel caso siate appena sbarcati da Marte e non conosciate il finale de “<i>Il gatto nero</i>” di Poe, vi consiglio di saltare a piè pari il prossimo corsivo, che lo riporta integralmente. Viceversa continuare pure a leggere. </div>
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<i>Mi sentii mancare, barcollai verso il muro opposto. Per un istante, gli uomini sulle scale restarono immobili: attoniti, atterriti. Un istante dopo, una dozzina di solide braccia lavoravano al muro. Cadde di schianto. Il cadavere, già putrefatto in gran parte e imbrattato di grumi di sangue, apparve, ritto in piedi, agli occhi degli spettatori. Sulla sua testa, la bocca rossa spalancata e l'unico occhio di fiamma, stava appollaiata la bestia orrenda, le cui arti mi avevano sedotto all'assassinio, e la cui voce accusatrice mi consegnava al boia. </i></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhndJgEy4KvBRMcPBIfQZswmJt4LL7SKTvLmcAV2cWgbb_D4SEOuKS6HxidMxmMNzxaHzYasUN-OL2dws-F7uWKyeXqRJ28iy7kHabn4RijF0g5ssWd188dWllNnktxCbIV120ffjdJhx4/s1600/NOTTEHORROR.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhndJgEy4KvBRMcPBIfQZswmJt4LL7SKTvLmcAV2cWgbb_D4SEOuKS6HxidMxmMNzxaHzYasUN-OL2dws-F7uWKyeXqRJ28iy7kHabn4RijF0g5ssWd188dWllNnktxCbIV120ffjdJhx4/s1600/NOTTEHORROR.PNG" height="247" width="320" /></a></div>
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Questo articolo su “<i>Sette note in nero</i>” di Fulci è il mio personale contributo all’iniziativa “<b><a href="http://obsploitation.blogspot.it/2014/06/unestate-di-terrore.html" target="_blank">Notte Horror Blog Edition</a></b>” che è iniziata il primo luglio scorso e si concluderà il nove settembre, coinvolgendo una ventina di bloggers appassionati di cinema. Già apparsi sotto questa etichetta i seguenti titoli: <a href="http://ilgiornodeglizombi.wordpress.com/2014/07/01/filmacci-dovevi-essere-morta/" target="_blank">Dovevi essere morta</a>, <a href="http://nonceparagonecinema.blogspot.it/2014/07/notte-horror-2014-special-blog-edition.html" target="_blank">Mimic</a>, <a href="http://solaris-film.blogspot.it/2014/07/notte-horror-2014-brivido.html" target="_blank">Brivido</a>, <a href="http://castellodiif.blogspot.it/2014/07/notte-horror-vamp.html" target="_blank">Vamp</a>, <a href="http://incentralperk.blogspot.it/2014/07/notte-horror-saw.html" target="_blank">Saw</a>, <a href="http://bollalmanacco.blogspot.it/2014/07/notte-horror-2014-mangler-la-macchina.html" target="_blank">The Mangler</a>, <a href="http://pensiericannibali.blogspot.it/2014/07/notte-horror-linsaziabile-e-le-origini.html" target="_blank">L’insaziabile</a> e <a href="http://recensioniribelli.blogspot.it/2014/07/notte-horror-la-casa-di-cristina.html" target="_blank">La casa di Cristina</a>. Il prossimo appuntamento è previsto su “Il cinema spiccio” di Frank Manila con la recensione di “<a href="http://frank-manila.blogspot.it/2014/07/notte-horror-amityville-possession.html" target="_blank">Amityville Possession</a>”. Il programma completo di “Notte Horror Blog Edition” è consultabile nella colonna qui a destra oppure, visto che quel banner non rimarrà lì per sempre, nel <a href="http://obsploitation.blogspot.it/2014/06/unestate-di-terrore.html" target="_blank">post introduttivo</a>.
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Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com22tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-45111651648800249472014-07-12T22:01:00.000+02:002014-07-12T22:01:24.053+02:00Il prato macchiato di rosso<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwqlp6zRXJ1eCgLoD_gkRjhcdYqNxyq7FNzruP-O_zsay731ypDY4sXTq6ZtGLvaFduAzBvL7MWH277mjJtLJKf6W5OrgwUipOSMjf0OkqaGF26eHnmrmDEo3nSUJbrQVqEBrYiw6vlJgF/s1600/pratomacchiatodirosso.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwqlp6zRXJ1eCgLoD_gkRjhcdYqNxyq7FNzruP-O_zsay731ypDY4sXTq6ZtGLvaFduAzBvL7MWH277mjJtLJKf6W5OrgwUipOSMjf0OkqaGF26eHnmrmDEo3nSUJbrQVqEBrYiw6vlJgF/s1600/pratomacchiatodirosso.jpg" height="400" width="287" /></a></div>
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Davvero singolare questo “<i>Il prato macchiato di rosso</i>”, film horror italiano diretto nel 1972 dal semisconosciuto regista piemontese <b>Riccardo Ghione</b> (su di lui non esiste nemmeno una pagina di wikipedia).<br />
Opportunamente realizzato sulla scia del capolavoro di <b>Riccardo Farina</b> “<i>Hanno cambiato faccia</i>” (1971), già recensito <a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/2011/05/hanno-cambiato-faccia.html" target="_blank">diverso tempo fa</a> sul mio blog gemello, “Il prato macchiato di rosso” tenta, come il suo predecessore, di inserire dei forti temi di critica sociale in un contesto giallo-horror, facendo leva sul fatto che la combinazione dei due elementi, a quell’epoca, non poteva che portare ad un prevedibile successo.<br />
Al contrario “Il prato macchiato di rosso”, deriso e sbeffeggiato al suo debutto, finirà impietosamente per allungare l’enorme lista dei tanti film invisibili di cui è pieno il mondo, regalando al suo regista, come ciliegina sulla torta, il non invidiabile titolo di “<i>Ed Wood italiano</i>”.<br />
Il film uscì in anteprima sul grande schermo nel 1973, presentato in un'unica sala in quel di Fiorenzuola d’Adda, la città piacentina che fu in gran parte teatro delle riprese. Dopo quella prima proiezione, il film scomparve misteriosamente. Per anni lo si ritenne addirittura definitivamente perduto fino a quando, solo pochi anni fa, la CineKult di Manlio Gomarasca non riuscì a disseppellirne una copia, a restaurarla in maniera certosina e a riconsegnarcela splendente come un tempo in un DVD ricco di extra.<br />
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È alquanto bizzarro constatare come un’unica proiezione sia potuta bastare per bocciare una pellicola che, al di là di tutti i suoi innegabili difetti, poteva tranquillamente trovare spazio accanto alle più fortunate (ma non per questo qualitativamente migliori) produzioni del nostro cinema anni Settanta. Un film talmente fallimentare che riuscì a segnare anche la fine della carriera di Ghione dietro la macchina da presa. E pensare che “Il prato macchiato di rosso” aveva a disposizione un cast da capogiro.<br />
Riccardo Ghione, regista classe 1922 di cui oggi si sono perse le tracce, era salito agli onori della cronaca già qualche anno prima con il film scandalo “<i>La rivoluzione sessuale</i>” (1967), tratto dal testo omonimo dello psichiatra austriaco <b>Wilhelm Reich</b>, allievo di Sigmund Freud, noto per la sua controversa teoria sulla cosiddetta “<i>energia orgonica</i>” (ovverossia quella derivata dall’orgasmo). Non certo un novellino quindi, il nostro Ghione, in materia di surrealismo… ma, detto tra noi, il surrealismo poco si sposa con il giallo all’italiana. E fu così che “<i>Il prato macchiato di rosso</i>”, visionario mix di opposti ingredienti, fu fatale al suo creatore.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi79kPZnVsULSOZnCpUX-nR1kc-4WMEtXCFv1A_AWzHt8JBfAUjr1Ui0mp3ku3eWBrK9KzJh07ZTYMrv7rQsrfy020HsGdmY5mHbxWPcXIfTWAACkzMVt4Gp_D1NThEAq_ADc5uCq8e1jTx/s1600/prato1.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi79kPZnVsULSOZnCpUX-nR1kc-4WMEtXCFv1A_AWzHt8JBfAUjr1Ui0mp3ku3eWBrK9KzJh07ZTYMrv7rQsrfy020HsGdmY5mHbxWPcXIfTWAACkzMVt4Gp_D1NThEAq_ADc5uCq8e1jTx/s1600/prato1.PNG" /></a></div>
Dicevamo del cast. Salta subito agli occhi la presenza di <b>Lucio Dalla</b> che, oltre a partecipare in veste di attore, realizzò anche le musiche per la sigla di testa e di coda. Dalla rese tutto sommato bene la parte che gli fu assegnata del clochard avvinazzato, una parte che forse si sarebbe potuto sfruttare meglio ma che, nel contesto generale, è corretto che sia rimasta sullo sfondo; la bellissima <b>Marina Malfatti</b>, all’epoca richiestissima interprete di genere (<i>La notte che Evelyn uscì dalla tomba</i>, 1971, <i>Tutti i colori del buio</i>, 1972, <i>Sette orchidee macchiate di rosso</i>, 1972, <i>La Dama Rossa uccide sette volte</i>, 1972), che qui si fa notare soprattutto per un’indimenticabile scollatura inguinale; il grande <b>Enzo Tarascio</b>, uno dei più eclettici attori teatrali (ma non solo) che abbiamo mai avuto, e che qui ci “delizia” con i suoi indescrivibili foulard multicolori; il mitico <b>Nino Castelnuovo</b>, attore con una carriera formidabile che sarebbe impossibile descrivere in poche righe, ma di cui mi piace ricordare il ruolo di <b>Renzo Tramaglino</b> nella riduzione televisiva de “<i>I promessi sposi</i>” (1967) e l’indimenticabile “<i>Ritratto di donna velata</i>”, che interpretò con <b>Daria Nicolodi</b> nel 1974. Il buon Nino Castelnuovo, bontà sua, lo ritroviamo qui nei panni di un agente dell’UNESCO (!!!) incaricato di portare avanti delle indagini su un’azienda vinicola, come vedremo, alquanto bizzarra.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBGVhqyz5-gV9uexH0Tmq7FYfNC5VRYBTS0FLJhNhJzOJJEh7zBslEHEO9qkI4FbRPb53_pCNnGNq-TmAC1CJZ3bvXsPmp0m6tY1_iQ5bPShgyqQyq9EnY4yE8w2wl38ME_LhpYu4eufoq/s1600/prato2.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBGVhqyz5-gV9uexH0Tmq7FYfNC5VRYBTS0FLJhNhJzOJJEh7zBslEHEO9qkI4FbRPb53_pCNnGNq-TmAC1CJZ3bvXsPmp0m6tY1_iQ5bPShgyqQyq9EnY4yE8w2wl38ME_LhpYu4eufoq/s1600/prato2.PNG" /></a>La storia, come accennavo più sopra, affronta una tematica sociale molto sentita in quegli anni, quella della lotta di classe, con tutti i soprusi perpetrati dalle classi più agiate nei confronti del popolo. Così come in “<i>Hanno cambiato faccia</i>” i potenti venivano rappresentati come vampiri moderni, anche in questo film l’aristocrazia non fa altro che succhiare letteralmente il sangue dei più deboli. E quando dico “letteralmente” intendo proprio dire che il sangue, tramite un “fantascientifico” macchinario, viene estratto dalle arterie dei malcapitati e trasferito direttamente dentro bottiglie di vino. Non si tratterebbe però, come si potrebbe di primo acchito essere propensi a credere, di sofisticazione alimentare: il sangue prelevato con l’inganno sarebbe destinato all’esportazione verso non meglio specificati paesi dove, a causa della guerra, la richiesta del prezioso elemento biologico è nettamente superiore all’offerta.<br />
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Non solo una banale accusa ai potenti, classisti e prevaricatori, ma anche un’aperta critica alle logiche del consumismo. Chi appartiene al gradino più basso della società e non può sostenere un adeguato livello di consumo deve essere “consumato”. Se a tutto questo aggiungiamo anche un pizzico di commercio di organi (in questo caso di sangue) ecco che ci troviamo davanti ad una serie di messaggi indiscutibilmente forti, che potenzialmente potrebbero generare interessanti argomenti di discussione. Peccato solo che le premesse crollino nel ridicolo di fronte al risultato finale, specialmente di fronte a quel sopra citato “fantascientifico” macchinario (il virgolettato non è affatto casuale) che sembra essere più uno scolapasta che altro.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-rjCBxa21282UIF-naH6onyfrzZeZnDzIpMiMAOOqxmlBf9RV6h_5__tiLWHEWFgkLX_3y0jrYXg44wYPqE3ueSBGR4qsr_KMaAtsuR0DyHLlkL7OQPKIK_QbDmkPi3gkDT4x2QEREyFM/s1600/prato3.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-rjCBxa21282UIF-naH6onyfrzZeZnDzIpMiMAOOqxmlBf9RV6h_5__tiLWHEWFgkLX_3y0jrYXg44wYPqE3ueSBGR4qsr_KMaAtsuR0DyHLlkL7OQPKIK_QbDmkPi3gkDT4x2QEREyFM/s1600/prato3.PNG" /></a></div>
Una coppia di coniugi (e il di lei fratello), proprietari di un’azienda vinicola, decide di utilizzare per scopi enologici tutta la feccia dell’umanità che riesce a raccogliere per strada: barboni, prostitute e figli dei fiori sono in questo frangente le vittime ideali, quelle che nessuno mai reclamerà indietro. Peccato che sulla loro strada si getti il già citato agente UNESCO (!!!) le cui indagini porteranno alla scoperta di quei loschi traffici. Ho detto “indagini”, ma in realtà la parte investigativa in questo film è ridotta ai minimi termini. Quella che prevale è la parte, diciamo così, “psichedelica”. Osserviamo tutta una serie di bizzarre scene in cui i malcapitati (ancora ignari del loro destino) vengono intrattenuti in attività “ludiche” quali danzare balli sfrenati e accoppiarsi come capita, il tutto naturalmente corroborato da generose dosi di alcolici e di marijuana.<br />
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Un mix davvero troppo eccentrico, anche per il pubblico più preparato che affollava i cinema in quegli anni. Gran parte del minutaggio de “<i>Il prato macchiato di rosso</i>” non è altro che questo: personaggi che si muovono da una stanza all’altra, interagendo gli uni con gli altri con dialoghi senza senso, mangiando e bevendo di continuo, fumando e copulando allegramente e, giusto per dare un minimo di senso alla trama, chiedendosi continuamente cosa diavolo stia succedendo nella casa in cui sono ospiti. Ma le domande che essi si pongono sembrano non richiedere davvero una risposta: si trovano catapultati in un posto senza capirne il motivo e tutto quello che fanno è comportarsi da idioti decerebrati. Anche quando si comincia a respirare aria di trappola, non c’è nessuno che davvero si comporti in maniera un minimo consapevole. Si spogliano e danzano tutti assieme in una stanza pieni di specchi deformanti, giusto per non farci mancare anche un piccolo tocco surreale. Noi malcapitati spettatori non possiamo far altro che attendere la fine della tortura, privati anche del piacere della suspense, visto che quello che succede in quella casa ci viene raccontato per filo e per segno sin dall’inizio.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkSfuQf3rgLe-7X_SW_r-m60R_7FShBxzmWB0-IeGlfuR5nSvgjxJyg74rvtbKEvGfQ-ADkHVRQ61Kx6q9PZbJEJaDacjDRQEFDLdOrbyK4-kn5p0YyxrnWrm0WRpED0wHiu_BM_FpXYx2/s1600/prato4.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkSfuQf3rgLe-7X_SW_r-m60R_7FShBxzmWB0-IeGlfuR5nSvgjxJyg74rvtbKEvGfQ-ADkHVRQ61Kx6q9PZbJEJaDacjDRQEFDLdOrbyK4-kn5p0YyxrnWrm0WRpED0wHiu_BM_FpXYx2/s1600/prato4.PNG" /></a></div>
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Se consiglio la visione di questo film? Sinceramente preferisco non prendermi una responsabilità così grande. Potrebbe tuttavia essere un curioso passatempo per gli appassionati del B-movie estremo, coloro che taluni definirebbero masochisti, coloro che non disdegnano investire un’ora e mezza del proprio tempo pur di conoscere a trecentosessanta gradi la cultura di quegli anni, oggi scomparsa, che oramai ci fa un po’ sorridere. </div>
Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com11tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-3065376923922992732014-06-30T10:14:00.000+02:002014-07-04T23:27:29.329+02:00Un'estate di terrore<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqhxfrPswkOoM_FXO6ht1bUpblp8k8W574k4i_NYzKNMXjOx6DwP0aT2OPvL6VbK4KFEC6zl97o1Hag4vszaiWGWjekw36CMc9QYshJ38Xv9vTMA37QFNiQA1-ZLtwAHQbpIJg7NSwqKKT/s1600/programma+NH.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqhxfrPswkOoM_FXO6ht1bUpblp8k8W574k4i_NYzKNMXjOx6DwP0aT2OPvL6VbK4KFEC6zl97o1Hag4vszaiWGWjekw36CMc9QYshJ38Xv9vTMA37QFNiQA1-ZLtwAHQbpIJg7NSwqKKT/s1600/programma+NH.png" height="640" width="198" /></a></div>
Stavo giustappunto ca##eggiando su e giu' per il centro di Pigadia, capoluogo di questa incredibile Karpathos, dove sto smaltendo le fatiche dell'inverno, quando la visione di quest'internet cafe' non ha saputo lasciarmi indifferente.</div>
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E cosi' eccomi qui, a tamburellare su una tastiera greca dove mancano le vocali accentate e i tasti sono posizionati in angoli che non avrei mai detto. Il bello e' che ci sono anche le lettere greche su questa tastiera greca. Incredibile, no? </div>
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Interrompo brevemente le mie vacanze per informarvi di un evento che sta per iniziare nella blogosfera, una piccola notizia che evidentemente non puo' attendere di essere diffusa, visto che stiamo parlando di domani.</div>
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Un gruppo di nostalgici blogger cinefili ha deciso di rilanciare un appuntamento che molti di voi forse ricorderanno, quello della "Notte Horror", quel mitico appuntamento televisivo che, negli anni Novanta (o giu' di li') tutti i martedi' sera su Italia1 costringeva noi appassionati a rimanere appiccicati allo schermo.</div>
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Quelle notti horror appartengono ormai al passato, ma nella calura di questa estate 2014 rivivranno, almeno in parte, su questo e altri blog.</div>
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Qui a lato potete consultare la locandina del programma che ci accompagnera' fino all'inizio di settembre. Il sottoscritto partecipa addirittura con tre film, due qui su "Obsploitation", due sul fratello maggiore "Obsidian Mirror".</div>
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Il primo appuntamento e' gia' per domani sera alle 21 sul blog "<a href="http://ilgiornodeglizombi.wordpress.com/2014/07/01/filmacci-dovevi-essere-morta/" target="_blank">Il giorno degli zombi</a>" e, a seguire, alle 23, sul blog "<a href="http://nonceparagonecinema.blogspot.it/2014/07/notte-horror-2014-special-blog-edition.html" target="_blank">Non c'e' paragone</a>". Vi rimando da loro per il momento. Ora vado a riprendere quello che stavo facendo, vale a dire spiaggiarmi.<br />
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A presto!</div>
Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-4142003697718895731.post-91268188830611550812014-06-22T16:30:00.000+02:002014-08-10T23:24:06.832+02:00Il medaglione insanguinato<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhuiSyQBplVnYKrpBndz0R3sdewQ0EyM-EqBNlI_YiL3cydNewcpwbyfX1g6Cqd8bKQ6YQGpPGjCtCcptPSUDrpGtxAeZPbtt16Qa66uvGV9GfSPRm-r9htAMD5qkDvaeX7Iz0uLKZCemX6/s1600/medaglione-insaguinato.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhuiSyQBplVnYKrpBndz0R3sdewQ0EyM-EqBNlI_YiL3cydNewcpwbyfX1g6Cqd8bKQ6YQGpPGjCtCcptPSUDrpGtxAeZPbtt16Qa66uvGV9GfSPRm-r9htAMD5qkDvaeX7Iz0uLKZCemX6/s1600/medaglione-insaguinato.jpg" height="400" width="260" /></a></div>
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<b>Spoletium, 241 a.C.: </b>sulle pendici del Monteluco, presso una curva del torrente Tessino, affluente del Maroggia, in posizione assai ridente per la chiostra di montagne verdeggianti che le fanno corona, un insediamento, le cui origini affondano nella preistoria, diviene colonia romana. <b>Spoletium, 571 d.C.:</b> strappata dai longobardi al dominio bizantino, la città diviene sede di un vasto e potente ducato. <b>Spoletium, 1155 d.C.:</b> la città, ancor florida e potente sebbene il ducato si avviasse alla decadenza, viene assalita e distrutta da Federico Barbarossa. <b>Spoletium, 1775 d.C.:</b> una bambina scompare in circostanze misteriose mentre, in quello stesso istante, un quadro appare improvvisamente su una delle pareti del soggiorno di una villa fuori città. Per entrambi gli avvenimenti, apparentemente slegati tra di loro, non viene trovata alcuna spiegazione. Resta indiscutibile la straordinaria somiglianza tra la bambina scomparsa e una figura al centro del dipinto. <b>Spoleto 1975 d.C.:</b> la città presenta un aspetto vetusto, con i suoi numerosi edifici medievali e del Rinascimento, le vie strette e tortuose, spesso a cordonata, e i numerosi cavalcavia. Il quadro è allo studio degli esperti. Una figura in bianco, apparentemente una bambina, cerca di sfuggire terrorizzata ad un gruppo di persone (contadini?) armate di falci e bastoni. Il suo sguardo è rivolto verso l’alto, in direzione di una seconda figura femminile, adulta, che precipita nel vuoto circondata dalle fiamme. Sovrasta l’intera scena una figura demoniaca, che si staglia, appena distinguibile se non fosse per il suo colore rosso fuoco, sulle nuvole sullo sfondo. <b>Spoleto 1975 d.C.: </b>il regista Massimo Dallamano presenta il suo ultimo film, “Il medaglione insanguinato”, la storia di un documentarista britannico, interprato da Richard Johnson, inviato nella città umbra dalla BBC per una ricerca sull’iconografia demoniaca. Egli si troverà a dover far luce sulla vicenda di un misterioso dipinto apparso misteriosamente in quei luoghi due secoli prima.<br />
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Ce n’è abbastanza per attirare la mia attenzione, non credete? Come potrebbe un blogger appassionato di leggende e misteri rimanere indifferente di fronte a simili presupposti? Se poi aggiungiamo il fatto che la figlia del protagonista (Emily) è la fotocopia sputata della bambina scomparsa nel 1700 (guarda caso, Emilia), allora abbiamo abbastanza elementi per iniziare a scrivere questo articolo.<br />
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In realtà avrei tanto voluto arrivare a scrivere, ad un certo punto, che la storia del quadro e della bambina scomparsa, raccontata da Dallamano, avesse qualche fondamento reale. Avrei voluto magari poter scrivere che il quadro esiste davvero e che è conservato e tuttora visibile presso qualche museo o, meglio ancora, appeso alla parete di un’antica chiesa spoletina. Purtroppo, ahimè, non è così. Nonostante le mie affannose e speranzose ricerche in rete non ho potuto che giungere alla conclusione che si tratta di pura finzione cinematografica. Lo stesso quadro, che ho sopra descritto e che vedete in un’immagine a corredo di questo articolo, non è altro che una tela dipinta apposta per l’occasione. Sono spiacente se qualcuno dei miei lettori sia rimasto deluso, ma è la triste realtà. Anzi, no. Ora che ci penso quel quadro, anche se farlocco, da qualche parte deve pur essere finito, magari in un magazzino dimenticato a Cinecittà. Una ricerca pertanto potrebbe anche essere possibile ma, evidentemente, l’impresa è quasi disperata e, detto tra noi, molto poco interessante.<br />
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Decisamente più interessante è invece la carriera di <b>Massimo Dallamano</b>, regista milanese prematuramente scomparso, autore di pellicole cult come “<i>Cosa avete fatto a Solange?</i>” (1972) e “<i>La polizia chiede aiuto</i>” (1975). Una carriera cinematografica che Dallamano iniziò, nelle vesti di direttore della fotografia, partecipando a due pietre miliari del western all’italiana, vale a dire “<i>Per un pugno di dollari</i>” (1964) e “<i>Per qualche dollaro in più</i>” (1965) del grande <b>Sergio Leone</b>. Mica pizza e fichi. Vale la pena aggiungere che, come il protagonista de “Il medaglione insanguinato”, anche il nostro regista vanta radici da documentarista: tra i suoi “successi” Dallamano può infatti annoverare le riprese che riuscì a fare a Mussolini e alla Petacci quel 29 aprile 1945 in Piazzale Loreto.<br />
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Scelta azzeccatissima quella di Dallamano: nonostante la giovane età, <b>Nicoletta Elmi</b> riesce a bucare letteralmente il video, rubando la scena ad affermate stelle internazionali del calibro di <b>Joanna Cassidy</b> (<i>Blade Runner, Fantasmi da Marte</i>), <b>Richard Johnson</b> (<i>Incubo sulla città, Operazione Crossbow</i>), <b>Lila Kedrova</b> (<i>Zorba il greco, L’inquilino del terzo piano</i>) e <b>Ida Galli</b> (<i>La dolce vita, Il gattopardo</i>). Riguardare oggi la piccola Nicoletta è un’esperienza incredibile. Abituati come siamo a vedere all’opera pseudo-attori incapaci di una minima espressione (e non sto parlando solo di bambini), ci fa rimpiangere un’epoca in cui potevamo, orgogliosamente, mostrare al mondo un simile talento. Un’incredibile capacità, la sua, di oscillare tra la figura della giovane vittima innocente e quella del demone infernale. In altre parole una presenza che mette davvero paura, dalla prima all’ultima scena. Decisamente più azzeccato quindi è il titolo internazionale (“<i>The Night Child”</i>) che perlomeno centra in pieno, anche se avrebbe potuto farlo meglio, il vero fulcro attorno a cui ruota la narrazione. Il titolo italiano e, peggio ancora il sottotitolo (“<i>Perché?</i>”), è assolutamente fuorviante e, personalmente, mi ha fatto storcere un po’ il naso.<br />
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Con questi presupposti “Il medaglione insanguinato” non può che essere un grande film, anche e soprattutto per la grande mano del regista e del direttore della fotografia, che sono stati capaci di dosare immagini e colori in maniera sorprendente e vivace. Eppure… eppure alla fine un po’ di amaro in bocca rimane. Sarà per via del finale telefonato, sarà per via di una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti, con dei dialoghi improbabili e delle situazioni a dir poco grottesche. “Il medaglione insanguinato” è un film che è partito in quarta, con grandi idee e grandi potenzialità, ma che alla fine, per qualche incomprensibile motivo, si è un po’ perso per strada. È un peccato perché le basi per diventare un film immortale come il già citato “<i>Profondo Rosso</i>” o come, giusto per fare un altro esempio, “<i>La casa dalle finestre che ridono</i>” (Pupi Avati, 1976) c’erano tutte. È un peccato anche perché Massimo Dallamano era arrivato a tanto così dal fare il botto e, di sicuro, se un incidente stradale non ce lo avesse portato via a soli 59 anni sarebbe riuscito a raggiungere l’Olimpo dei più grandi.<br />
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Un’ultima doverosa nota per commentare le illazioni relative al fatto che questo film celerebbe messaggi pedofili e incestuosi. Sono presenti, in effetti, alcuni momenti in cui l’attaccamento della piccola Emily al genitore rasenta il patologico. Il suo tentativo di escludere tutte le donne che si avvicinano al padre ha un qualcosa di troppo esageratamente immaturo per non essere notato. Emily, orfana di madre, amplifica al massimo il sentimento verso il genitore superstite e in lei, credo che questo sia perfettamente comprensibile, emerge prepotente il <b>complesso di Edipo</b>. Come è noto, tutti i bambini nella prima infanzia “amano” inconsciamente il genitore di sesso opposto e, in un certo senso, “odiano” l’altro, in cui vedono un rivale a e cui vorrebbero sostituirsi. Nessuno di noi solitamente ha memoria di quel periodo e di questi sentimenti ma, secondo <b>Freud</b>, essi possono ripresentarsi nei nostri sogni di adulti. Nel nostro caso Emily si trova a metà strada tra l’infanzia e l’età adulta, ha subito una grave perdita nel suo recente passato e, per non farsi mancare nulla, viene trapiantata in una Spoleto inquietante dove le viene ventilata la possibilità di essere la reincarnazione di una strega che lì visse e lì fu messa al rogo duecento anni prima.<br />
Niente messaggi incestuosi e pedofili, quindi. <b>Massimo Dallamano</b> è stato anzi bravissimo a plasmare correttamente la psicologia di una undicenne calata in una situazione complessa. Il fatto che qualcuno poi abbia colto significati diversi mi pare un po’ tirato per i capelli.</div>
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Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com8