martedì 9 settembre 2014

Una lucertola con la pelle di donna

Lucio Fulci lo si può amare o lo si può odiare, lo si può ammirare, lo si può criticare oppure lo si può semplicemente ignorare. Sono sicuro che in molti là fuori potrebbero spendere delle intere ore a disquisire su uno dei registi italiani più controversi del secolo scorso. Ciò che non si può però ignorare è la sua immensa filmografia, una delle più eterogenee in assoluto, in grado di spaziare dallo spaghetti western (Le colt cantarono la morte e fu... tempo di massacro, 1966) al noir (Luca il contrabbandiere, 1980), dalle commedie (Come inguaiammo l'esercito, 1965) al drammone medievale (Beatrice Cenci, 1969), dal giallo all’italiana (Non si sevizia un paperino, 1972) fino al gore più truculento (Zombi 2, 1979).
C’è da dire che, guardando i suoi lavori, anch’io ho avuto momenti di grande ammirazione contrapposti a momenti di grandi perplessità. Perplessità dovute più che altro alla sua produzione posteriore al 1982 dove, a mio parere, c’è davvero poco o nulla che valga la pena di ricordare. Ma non siamo qui per parlare del cosiddetto “horror all’amatriciana” che ha contraddistinto gli ultimi anni della carriera del “Godfather of Gore” che, ricordiamo, oltre ad essere stati realizzati partendo da un budget irrisorio, erano film che probabilmente avevano risentito della lunga assenza per malattia del suo autore, malattia che lo colpì nel 1984 e dalla quale non si sarebbe più completamente ripreso. Siamo qui oggi per parlare della sua fase più creativa, in parte forse la più fortunata, ma indubbiamente la più rappresentativa del repertorio del massimo artigiano che il nostro cinema abbia mai avuto.