domenica 5 ottobre 2014

San Babila ore 20: un delitto inutile

Ci sono film che per una ragione o per l’altra rimangono legati all’esistenza di una persona. Alcuni film rimangono impressi nella memoria perché la loro visione ha trasmesso, più o meno inconsciamente, delle emozioni, positive o negative poco importa. Ci sono invece film che invece lavorano ad un livello ancora più profondo, scavano nel subconscio e lì lasciano un segno. È quello che in certo senso ha fatto con me questo “San Babila ore 20”, pellicola cult che Carlo Lizzani girò nell’ormai remoto 1976. 
Un film che mi ha fatto scattare qualcosa dentro sin dalla prima volta che lo sentii nominare. Un “qualcosa” di molto simile ad una tarma che per anni non ha fatto altro che rosicchiare in un angolo introvabile del mio cervello, senza lasciarmi mai in pace. Il paradosso è che “San Babila ore 20” io l’ho visto per la prima volta solo in tempi recenti, oltre trent’anni dopo che quella tarma iniziò il suo dannato lavoro in una lontana sera di inizio anni Ottanta. Sembra incredibile, assurdamente incredibile, ma le cose sono andate esattamente così.
Ricordo che all’epoca dei miei quindici anni trascorrevo le serate estive con il solito gruppo di amici, con i quali condividevo alcuni vaghi interessi ma soprattutto con cui mi divertivo a giocare a pallone, a mangiare gelati, a fare quelle cose innocue che di solito si fanno in un’età in cui le preoccupazioni tendono allo zero. In quelle serate non si faceva granché, per lo più si rimaneva seduti da qualche parte sotto casa, a parlare del più e del meno e a sfotterci a vicenda senza tregua come solo i ragazzini sanno fare. Ecco, i miei ricordi di “San Babila ore 20” partono da qui. C’era un ragazzo, un anno più grande di me, che ne parlava in termini entusiasti. Lo aveva visto pare anche più di una volta, la sera tardi, su una di quelle televisioni private che oggi non esistono più. Lo aveva visto e ce lo raccontava. Ci raccontava di come fosse a suo parere uno dei film più violenti della storia, un film proibitissimo che lui, chissà come, non aveva avuto alcun problema a rimanere alzato a vedere nonostante la presenza dei genitori nella stanza accanto.

Ci raccontava di questa storia di giovani sanbabilini impegnati in scorribande di una violenza assurda ed esasperata. Ci raccontava di scene che facevo fatica ad immaginare e, mentre ce le raccontava, appariva trasfigurato dall’eccitazione, quasi fosse stato lui stesso protagonista di quel film. Fu proprio quel suo modo di raccontare che fece salire dentro di me il desiderio insano di guardare quel film, per potermi rendere conto con i miei stessi occhi di quanto ci fosse di vero in quei suoi racconti. Il problema è che quel film lo trasmettevano solo di tanto in tanto, sempre su canali assurdi (che magari io non vedevo) e invariabilmente in orari in cui per me la televisione accesa era un tabù. Forse era proprio il fatto che fosse un tabù il motivo che aveva fatto scattare in me il desiderio di quel film. Forse erano anche i luoghi a cui si faceva riferimento nel titolo del film che aggiungevano fascino alla questione. 

A quindici anni io in piazza San Babila non ci avevo mai messo piede. Non ero mai nemmeno andato a Milano. Me ne stavo chiuso nel mio piccolo quartiere di periferia potendo solo immaginare il mondo che stava al di fuori dei confini invisibili del mio mondo. Quello che sapevo è che San Babila era un posto poco raccomandabile, una piazza in cui era sconsigliatissimo passare senza cacciarsi nei guai. Nessuno me ne aveva spiegato il motivo. Solo vaghi accenni ai cosiddetti “sanbabilini” che, mi dicevano, erano i padroni assoluti e incontrastati di quel quartiere a due passi da piazza del Duomo. Solo anni dopo riuscii per la prima volta a mettere piede in San Babila, ma ormai era troppo tardi per poter vedere con i miei stessi occhi quelle cose terribili che solo avevo potuto immaginare: quando lo feci, la piazza era ormai invasa da paninari, tutti in bella mostra davanti al Burghy con i loro bei piumini colorati. Forse è stato meglio così, dopotutto.

Gli anni passarono veloci, ma la curiosità verso quel film non accennava a diminuire. Purtroppo ormai pareva che non ci fosse più modo di recuperarlo: le televisioni smisero di trasmetterlo e io, col tempo, mi rassegnai. Quel che rimase in me però era la curiosità verso quegli avvenimenti che, a causa della mia età, avevo perso per un soffio. Presi ad appassionarmi, anche grazie ad un insegnante che aveva voglia di trasmettere le sue esperienze, alla politica italiana dei decenni precedenti, acquistai e lessi libri quali “Una vita operaia”, "Indagine su un brigatista rosso" e “Una famiglia italiana”, tutti di Giorgio Manzini, e “Il sovversivo” di Corrado Stajano, sui fatti legati alla morte dell'anarchico pisano Franco Serantini: storie eroiche di una sinistra che allora, al contrario di oggi, aveva ancora qualche valore da trasmettere. Furono momenti di grandi scoperte. Divenni consapevole di quanto sporco era il mondo che mi circondava e fui orgoglioso dei 42 anni di fabbrica in cui mio padre si era sacrificato per la sua famiglia. Mi rendevo conto di quanto era malriposta l’eccitazione di quel mio vecchio ed ingenuo amico ma, nonostante tutto, avevo ancora una voglia insoddisfatta di conoscere il contenuto di quel film ormai storico e introvabile. 

Ma il tempo spazzò via tutto: mi diplomai, iniziai a lavorare e i miei interessi ben presto si spostarono su altre cose. Quei vecchi libri avevano ormai perso il loro significato originale e, ancora oggi, rimangono a prendere polvere nella seconda fila di uno scaffale. Di quel vecchio film di Carlo Lizzani quasi mi dimenticai, fino al momento in cui ci andai a sbattere contro, come dicevo, solo pochi anni fa. 

Spesso accade che qualcosa per troppo tempo mitizzato si riveli essere, alla resa dei conti, una grossa delusione. Non posso dire la stessa cosa per questo “San Babila ore 20: un delitto inutile” che, signore e signori, è davvero un gran bel film, una testimonianza cruda e senza censure dell’atmosfera che si respirava a Milano nella metà degli anni Settanta del secolo scorso.
Carlo Lizzani, d’altra parte, non è assolutamente un novellino nel difficile campo del cinema verità. Ne ho già speso parole entusiasmanti pochi mesi fa, proprio nei primi giorni di vita di questo blog, quando provai a recensire “Banditi a Milano”, ispirato alle gesta sanguinarie della banda Cavallero. Questo “San Babila ore 20” mantiene davvero tutto ciò che promette e tutto ciò che per abbondanti trent’anni avevo immaginato contenesse. È una storia ispirata ad un fatto di cronaca avvenuto il 25 maggio 1975: quel tragico giorno, come riporta wikipedia, “cinque estremisti di destra, Antonio Bega, Pietro Croce, Giorgio Nicolosi, Enrico Caruso e Giovanni Sciabicco, uscendo da un bar di Corso Vittorio Emanuele, angolo Piazza San Babila notarono un giovane, Alberto Brasili, intento a staccare da una colonna un adesivo elettorale del MSI. Brasili era stato notato in quanto indossava un eskimo, abbigliamento che in quegli anni solitamente denotava uno simpatizzante di sinistra. […] I cinque seguirono Brasili e la sua fidanzata: l'agguato scattò di fronte alla sede provinciale dell'ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani). […] Raggiunto da cinque fendenti a organi vitali, Brasili spirò poco dopo il suo arrivo all'ospedale Fatebenefratelli con il cuore spaccato da una coltellata. La fidanzata, colpita due volte all'emitorace sinistro, sfuggì alla morte solo perché la lama aveva mancato il suo cuore di pochi centimetri.”

La pellicola di Lizzani ci introduce sin dall’inizio nella vita degli estremisti che si resero colpevoli di quell’infame delitto. La prima scena ce li mostra alle esequie di un vecchio gerarca fascista, tutti intenti a rimarcare l’eccessiva mollezza delle nuove leve fasciste. Li seguiremo ad uno ad uno questi ragazzi, chi in rotta coi genitori, chi in rotta col datore di lavoro. Tutti imbruttiti e insoddisfatti delle loro vite, peraltro agiate rispetto a quelle della maggioranza dei loro coetanei. Li seguiremo nelle loro bravate, nelle risse e nei pestaggi. Li vedremo intenti a disegnare svastiche con lo spray sulle vetrine e a lanciare con la fionda biglie di ferro ai passanti, li vedremo stuprare una malcapitata, li osserveremo organizzare un maldestro attentato ad una sede del PCI di Sesto San Giovanni, e infine li vedremo compiere il delitto che li perderà definitivamente. Lizzani ci mostra un gruppo di ragazzi completamente privi di ideali, ragazzi che nascondevano il loro vero io dietro le dure maschere di fanatici neofascisti. L’immagine che ne deriva è quello del nulla più totale dietro quelle maschere. Solo dei giovani persi e perdenti, manipolati da poteri molto più grandi di loro. Un film forte, un film che è un vero pugno nello stomaco. Un film che consiglio a chiunque senta il bisogno di capire qualcosa di più sulla nostra storia italiana, quella parte di storia che forse tendiamo a dimenticare (o vogliamo dimenticare) ma che rappresenta una cicatrice indelebile nel nostro passato. Guardare oggi quelle strade di Milano e di Sesto San Giovanni, così come le ha immortalate la macchina di presa di Lizzani, lo ammetto, ha un suo fascino particolare per me che in quei luoghi ci sono cresciuto. A posteriori non rimpiango di esserci stato con anni di ritardo e, se devo dirla tutta, non rimpiango nemmeno di essermi perso questo film allora, quando quel mio amico me ne parlava.  


11 commenti:

  1. Non ho mai visto il film ma ricordo bene l'episodio di cronaca dell'aggressione. Me lo appunto come uno dei prossimi possibili guardabili.
    Buffa coincidenza che sia tu che io quest'oggi abbiamo utilizzato nei nostri post la sigla PCI :)

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    1. Io invece quell'episodio lo ignoravo. Mi ricordo di molti altri, Varalli, Zibecchi, e naturalmente di Fausto e Iaio, ma di Brasili proprio no. Vuoto completo.
      Davvero singolare la coincidenza che citi. Abbastanza casuale visto che alla fine non ricordo esattamente se nel film si parlasse di una sezione del PCI oppure della FGCI o di che altro.

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    2. Sono abbastanza sicuro di ricordarmi che fosse FGCI. Abbastanza.

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  2. Uno dei film citati nella mia tesi sul genere.
    Lizzani è imprescindibile. Vedo che a te ha fatto lo stesso effetto che L'Esorcista fa al resto dei ragazzi^^

    Moz-

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    1. Mi piacerebbe un giorno poter leggere quella tesi. Sebbene eterno dodicenne mi pare che tu ne sappia parecchio sull'argomento.

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    2. Beh, posso passartela :)

      Moz-

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    3. Dimmi come e dove, baby! :D

      Moz-

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    4. La mia mail è là in cima, all'interno della sezione "about" ^_^

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  3. Certo che aver desiderato di vedere un film da adolescente e vederlo per la prima volta in età adulta penso faccia effetto... non conosco Lizzani né il film in questione ma comprendo che valga la pena vederlo per "rispolverare" un pezzo triste della nostra storia...

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    1. Probabilmente non è nemmeno l'unico film che ho recuperato solo decenni più tardi. Decine di film credevo fossero andati dispersi,o addirittura che fossero esistiti solo nella mia immaginazione....

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