mercoledì 26 marzo 2014

Sei donne per l'assassino

Sono stato a lungo combattuto sull’opportunità di far uscire questo articolo su Obsidian Mirror oppure qui su Obsploitation. Una scelta per nulla facile, visto che “Sei donne per l’assassino”, il film che Mario Bava girò nel ormai lontano 1964, ben si adatta ad entrambi i miei blog, per taluni versi più al primo, per taluni altri più al secondo. Perché? Beh, perché “Sei donne per l’assassino” si può ben definire il miglior esempio di “giallo gotico” che abbiamo o, se visto dalla parte opposta, di “gotico giallo”. Chi mi segue su Obsidian Mirror si ricorderà forse dell’impostazione “gotica” che avevo dato al blog delle origini. Il blog un tempo aveva pure un sottotitolo che diceva pressappoco così: “Piccola antologia del gotico nell’arte, nel cinema e nella letteratura". Nel corso degli anni le cose hanno poi preso binari diversi e Obsidian Mirror si è evoluto in qualcos’altro, ma rimane il fatto che il gotico, e in particolare il gotico visto con gli occhi di Mario Bava, è parte indissolubile del suo DNA. Piccola pubblicità blogghereccia: a chi se li fosse persi suggerisco un click sui post che scrissi a suo tempo su “La maschera del demonio” (1960) e su “La frusta e il corpo” (1963). Chiudo l’inciso. Chi invece ha iniziato a seguire Obploitation dai suoi primi vagiti sa che il lavoro qui sopra vorrebbe tentare di seguire un certo filo logico e, se con “Banditi a Milano” ho inaugurato, a ragione, il filone poliziottesco, quale migliore punto di partenza di “Sei donne per l’assassino", unanimemente riconosciuto come il primo giallo all’italiana della storia.
Secondo una diversa scuola di pensiero Mario Bava avrebbe in realtà inaugurato il filone già due anni prima con il classicissimo “La ragazza che sapeva troppo” (1962), film di indubbio valore che però inserirei più propriamente in una categoria di stampo più, ehm, diciamo “hitchcockiana”, sia per il chiaro riferimento a “L’uomo che sapeva troppo” (1934 e 1956), sia per il tema della follia (come movente, ma non solo), sia per l’utilizzo del bianco e nero che rievoca le atmosfere dei migliori lavori del regista inglese (“Psycho” usciva tra l’altro proprio in quegli anni).

Questo “Sei donne per l’assassino” è innegabilmente diverso. Si direbbe siano passati vent’anni da “La ragazza che sapeva troppo”. Le atmosfere sono completamente diverse. Qui c’è innanzitutto il colore, che diamine! Mario Bava ha mostrato al mondo come girare le scene di suspense in Technicolor! E quel  colore non è assolutamente lo stesso colore dei film “hitchcockiani” a lui contemporanei (“Gli uccelli”, 1963 e “Marnie”, 1964). La fotografia di “Sei donne per l’assassino” è satura di rosso, il rosso del sangue, e di giallo, quel giallo che solo pochi anni dopo un certo Dario Argento avrebbe trasformato in un fenomeno di massa.

Ed è molto facile per chi conosce a memoria ogni singola scena girata da Dario Argento, da “L’uccello dalle piume di cristallo” (1970) a “Opera” (1987), ritrovare in questo Bava tutti gli ingredienti che codificheranno il giallo all’italiana e ne faranno un genere che tutto il mondo ci avrebbe invidiato e che, con risultati spesso discutibili, ci avrebbe copiato. Troviamo per la prima volta in questo Bava la figura dell’assassino psicopatico che si aggira nell’ombra indossando un impermeabile nero e guanti dello stesso colore, lo stesso del già citato “L’uccello dalle piume di cristallo” e di “Profondo Rosso” (1975). Troviamo per la prima volta in Bava una macchina da presa che riprende le scene degli omicidi utilizzando l’allora rivoluzionaria soggettiva dell’assassino, il tutto condito da litri di sangue, efferata ed insistita violenza negli omicidi e, naturalmente splendide e seducenti ragazze. Ma le analogie non si fermano qui: come non riconoscere nella suggestiva scena iniziale, girata all’esterno di una villa nel corso di un temporale, la scena iniziale di "Suspiria” (1977)? Come non riconoscere nell’atelier della contessa Cristiana Cuomo, fulcro pulsante di questo “Sei donne per l’assassino”, la prestigiosa accademia di danza di Friburgo, che Argento avrebbe scelto come dimora per una delle sue “tre madri”? E come non riconoscere la scena dell’annegamento di una ragazza nella vasca da bagno la stessa identica scena che Dario Argento utilizzerà in “Profondo Rosso”? Dario Argento, è vero, aggiungerà poi un tocco sadico tipico dei suoi film, scegliendo di utilizzare l’acqua bollente, ma quasi certamente lo farà mutuando un altro omicidio presente nel capostipite baviano.

Se siete arrivati a leggere fin qui sperando di trovare uno straccio di trama o un riassunto in poche righe di ciò che succede in “Sei donne per l’assassino”, beh, mi dispiace di avervi deluso. Nei limiti del possibile cerco sempre, in generale, di evitare di dilungarmi con parole che si possono facilmente trovare altrove. Preferisco accennare alle sensazioni che un film mi ha trasmesso. E questo film in particolare regala diverse sensazioni contrastanti: la paura e l’angoscia, naturalmente, ma anche il fascino della sua maestosa fotografia, del sapiente mix di luci e ombre, dei suoi contrasti tra il giorno e la notte. L’ambiente principale è quello di un atelier di alta moda, di giorno popolato da favolose modelle, vocianti ragazze che rendono l’atmosfera ariosa, allegra e positiva. Nello stesso luogo di notte non rimangono che nudi manichini, che lo trasformano in un luogo da incubo, nell’anticamera di un inferno dove, ad ogni passo può celarsi il più terribile dei pericoli. Lo stesso contrasto lo troviamo anche negli esterni, o nella “bottega” antiquaria dove qualcuno andrà incontro al proprio destino. E cosa c’è di più inquietante di un ambiente notturno pieno di manichini, se non un ambiente notturno pieno di oggetti di antiquariato? All’inizio parlavo, tutt’altro che impropriamente, di “gotico”: tecnicamente manca solo il castello e un paio di fantasmi per fare di “Sei donne per l’assassino” un gotico puro ma, se provate a dare uno sguardo alla magnificenza di Villa Sciarra a Roma, che nel film ha prestato le sue stanze al suddetto atelier, capirete da soli che ai canoni del gotico ci andiamo davvero molto vicino.

Ricordo che la prima volta che vidi “Sei donne per l’assassino”, molto tempo fa, non feci molta attenzione a ciò che avevo davanti agli occhi. Non avevo capito. Lo scambiai per un filmetto come tanti altri, quelli di cui non vale la pena conservare nemmeno il più flebile ricordo. Così feci, infatti, e me ne dimenticai al punto che qualche giorno fa, nel corso di una seconda visione (quella che in realtà credevo essere la prima), ne ricavai, prima solo una sensazione, poi lentamente con il passare dei minuti, una ferma certezza di deja-vu. Come avevo potuto, proprio io, rimuoverlo dalla memoria in quella maniera? La realtà è che, sebbene “Sei donne per l’assassino” abbia segnato un importante solco, la sua trama e, più in generale, il suo ritmo risultano nel loro insieme un po’ claudicanti e, agli occhi dello spettatore disattento, la visione potrebbe risultarne in un certo qual modo deludente. Tutto ciò non toglie però un grammo dal suo valore complessivo e, seppure altri film di Mario Bava risultino essere invecchiati meglio, vale la pena dedicare un paio d’ore della propria vita per recuperare un pezzo di storia del cinema, un cinema che oggi non siamo ahimè più in grado di fare.

6 commenti:

  1. Grandissima opera, senza ombra di dubbio.
    Ed è assolutamente gotica. Forse un gotico diverso da classico (baviano e non solo) con castelli e camere delle torture, ma è un gotico tangibile specie nella fotografia e nei colori. Tremendamente anni '60, plasticoso, sinuoso.

    Moz-

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    1. Molto anni '60... ma con vasti sprazzi di cultura pop che forse lo rendono quasi di più un tipico film anni '70, Grazie per il commento.

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  2. L'ho visto, come era anche il tuo caso, troppi anni fa per averne un ricordo preciso. Dovrei rivederlo anch'io e sarebbe facile perché ce l'ho qui a portata di mano. Ma ho altri film più urgenti che attendono di essere visti, quindi mi sa che ancora per un pò mi toccherà accontentarmi di vaghe reminiscenze...

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    1. Film più urgenti? Mi piacerebbe approfondire il concetto di "urgenza" associato ai film da vedere. E' un po come il bollino rosso al pronto soccorso?

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    2. Non dirmi che non hai presente quei film che muori dalla curiosità di vedere per scoprire come sono fatti?! Io ne ho decine o centinaia in lista...

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