sabato 12 luglio 2014

Il prato macchiato di rosso

Davvero singolare questo “Il prato macchiato di rosso”, film horror italiano diretto nel 1972 dal semisconosciuto regista piemontese Riccardo Ghione (su di lui non esiste nemmeno una pagina di wikipedia).
Opportunamente realizzato sulla scia del capolavoro di Riccardo FarinaHanno cambiato faccia” (1971), già recensito diverso tempo fa sul mio blog gemello, “Il prato macchiato di rosso” tenta, come il suo predecessore, di inserire dei forti temi di critica sociale in un contesto giallo-horror, facendo leva sul fatto che la combinazione dei due elementi, a quell’epoca, non poteva che portare ad un prevedibile successo.
Al contrario “Il prato macchiato di rosso”, deriso e sbeffeggiato al suo debutto, finirà impietosamente per allungare l’enorme  lista dei tanti film invisibili di cui è pieno il mondo, regalando al suo regista, come ciliegina sulla torta, il non invidiabile titolo di “Ed Wood italiano”.
Il film uscì in anteprima sul grande schermo nel 1973, presentato in un'unica sala in quel di Fiorenzuola d’Adda, la città piacentina che fu in gran parte teatro delle riprese. Dopo quella prima proiezione, il film scomparve misteriosamente. Per anni lo si ritenne addirittura definitivamente perduto fino a quando, solo pochi anni fa, la CineKult di Manlio Gomarasca non riuscì a disseppellirne una copia, a restaurarla in maniera certosina e a riconsegnarcela splendente come un tempo in un DVD ricco di extra.

È alquanto bizzarro constatare come un’unica proiezione sia potuta bastare per bocciare una pellicola che, al di là di tutti i suoi innegabili difetti, poteva tranquillamente trovare spazio accanto alle più fortunate (ma non per questo qualitativamente migliori) produzioni del nostro cinema anni Settanta. Un film talmente fallimentare che riuscì a segnare anche la fine della carriera di Ghione dietro la macchina da presa. E pensare che “Il prato macchiato di rosso” aveva a disposizione un cast da capogiro.
Riccardo Ghione, regista classe 1922 di cui oggi si sono perse le tracce, era salito agli onori della cronaca già qualche anno prima con il film scandalo “La rivoluzione sessuale” (1967), tratto dal testo omonimo dello psichiatra austriaco Wilhelm Reich, allievo di Sigmund Freud, noto per la sua controversa teoria sulla cosiddetta “energia orgonica” (ovverossia quella derivata dall’orgasmo). Non certo un novellino quindi, il nostro Ghione, in materia di surrealismo… ma, detto tra noi, il surrealismo poco si sposa con il giallo all’italiana. E fu così che “Il prato macchiato di rosso”, visionario mix di opposti ingredienti, fu fatale al suo creatore.

Dicevamo del cast. Salta subito agli occhi la presenza di Lucio Dalla che, oltre a partecipare in veste di attore, realizzò anche le musiche per la sigla di testa e di coda. Dalla rese tutto sommato bene la parte che gli fu assegnata del clochard avvinazzato, una parte che forse si sarebbe potuto sfruttare meglio ma che, nel contesto generale, è corretto che sia rimasta sullo sfondo; la bellissima Marina Malfatti, all’epoca richiestissima interprete di genere (La notte che Evelyn uscì dalla tomba, 1971, Tutti i colori del buio, 1972, Sette orchidee macchiate di rosso, 1972, La Dama Rossa uccide sette volte, 1972), che qui si fa notare soprattutto per un’indimenticabile scollatura inguinale; il grande Enzo Tarascio, uno dei più eclettici attori teatrali (ma non solo) che abbiamo mai avuto, e che qui ci “delizia” con i suoi indescrivibili foulard multicolori; il mitico Nino Castelnuovo, attore con una carriera formidabile che sarebbe impossibile descrivere in poche righe, ma di cui mi piace ricordare il ruolo di Renzo Tramaglino nella riduzione televisiva de “I promessi sposi” (1967) e l’indimenticabile “Ritratto di donna velata”, che interpretò con Daria Nicolodi nel 1974. Il buon Nino Castelnuovo, bontà sua, lo ritroviamo qui nei panni di un agente dell’UNESCO (!!!) incaricato di portare avanti delle indagini su un’azienda vinicola, come vedremo, alquanto bizzarra.

La storia, come accennavo più sopra, affronta una tematica sociale molto sentita in quegli anni, quella della lotta di classe, con tutti i soprusi perpetrati dalle classi più agiate nei confronti del popolo. Così come in “Hanno cambiato faccia” i potenti venivano rappresentati come vampiri moderni, anche in questo film l’aristocrazia non fa altro che succhiare letteralmente il sangue dei più deboli. E quando dico “letteralmente” intendo proprio dire che il sangue, tramite un “fantascientifico” macchinario, viene estratto dalle arterie dei malcapitati e trasferito direttamente dentro bottiglie di vino. Non si tratterebbe però, come si potrebbe di primo acchito essere propensi a credere, di sofisticazione alimentare: il sangue prelevato con l’inganno sarebbe destinato all’esportazione verso non meglio specificati paesi dove, a causa della guerra, la richiesta del prezioso elemento biologico è nettamente superiore all’offerta.

Non solo una banale accusa ai potenti, classisti e prevaricatori, ma anche un’aperta critica alle logiche del consumismo. Chi appartiene al gradino più basso della società e non può sostenere un adeguato livello di consumo deve essere “consumato”. Se a tutto questo aggiungiamo anche un pizzico di commercio di organi (in questo caso di sangue) ecco che ci troviamo davanti ad una serie di messaggi indiscutibilmente forti, che potenzialmente potrebbero generare interessanti argomenti di discussione. Peccato solo che le premesse crollino nel ridicolo di fronte al risultato finale, specialmente di fronte a quel sopra citato “fantascientifico” macchinario (il virgolettato non è affatto casuale) che sembra essere più uno scolapasta che altro.

Una coppia di coniugi (e il di lei fratello), proprietari di un’azienda vinicola, decide di utilizzare per scopi enologici tutta la feccia dell’umanità che riesce a raccogliere per strada:  barboni, prostitute e figli dei fiori sono in questo frangente le vittime ideali, quelle che nessuno mai reclamerà indietro. Peccato che sulla loro strada si getti il già citato agente UNESCO (!!!) le cui indagini porteranno alla scoperta di quei loschi traffici. Ho detto “indagini”, ma in realtà la parte investigativa in questo film è ridotta ai minimi termini. Quella che prevale è la parte, diciamo così, “psichedelica”. Osserviamo tutta una serie di bizzarre scene in cui i malcapitati (ancora ignari del loro destino) vengono intrattenuti in attività “ludiche” quali danzare balli sfrenati e accoppiarsi come capita, il tutto naturalmente corroborato da generose dosi di alcolici e di marijuana.

Un mix davvero troppo eccentrico, anche per il pubblico più preparato che affollava i cinema in quegli anni. Gran parte del minutaggio de “Il prato macchiato di rosso” non è altro che questo: personaggi che si muovono da una stanza all’altra, interagendo gli uni con gli altri con dialoghi senza senso, mangiando e bevendo di continuo, fumando e copulando allegramente e, giusto per dare un minimo di senso alla trama, chiedendosi continuamente cosa diavolo stia succedendo nella casa in cui sono ospiti. Ma le domande che essi si pongono sembrano non richiedere davvero una risposta: si trovano catapultati in un posto senza capirne il motivo e tutto quello che fanno è comportarsi da idioti decerebrati. Anche quando si comincia a respirare aria di trappola, non c’è nessuno che davvero si comporti in maniera un minimo consapevole. Si spogliano e danzano tutti assieme in una stanza pieni di specchi deformanti, giusto per non farci mancare anche un piccolo tocco surreale. Noi malcapitati spettatori non possiamo far altro che attendere la fine della tortura, privati anche del piacere della suspense, visto che quello che succede in quella casa ci viene raccontato per filo e per segno sin dall’inizio.


Se consiglio la visione di questo film? Sinceramente preferisco non prendermi una responsabilità così grande. Potrebbe tuttavia essere un curioso passatempo per gli appassionati del B-movie estremo, coloro che taluni definirebbero masochisti, coloro che non disdegnano investire un’ora e mezza del proprio tempo pur di conoscere a trecentosessanta gradi la cultura di quegli anni, oggi scomparsa, che oramai ci fa un po’ sorridere. 

11 commenti:

  1. Cavolo, non lo conoscevo! Ora devo rivedere un volume monografico che possiedo per controllare se questo titolo appare...
    Potrebbe piacermi, ovviamente per il lato psichedelico^^

    Moz-

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  2. mi hai messo parecchia curiosità, credo che lo guarderò

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  3. Ahiahiahi... prima o poi doveva succedere. Questo mi manca! Cosa vuoi in cambio? XD

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  4. Lo sto guardando ora Obs😏

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    1. Spero vivamente che, almeno un pochino, te lo sia goduto...

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    2. Un film trash degli anni '70 e' molto peggio di un film trash degli anni '80 o '90 😁.
      In sostanza è un film terribilmente noioso ravvivato solo da qualche nudo e dallo strano cameo di Dalla. Il cui personaggio più che ubriaco è stralunato 😂

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