Mentre parlavi pensavo che mio padre è morto per niente. C’eri anche tu quando scrisse quel manifesto che incitava gli italiani a ribellarsi ai tedeschi. La pensavi come lui allora. E adesso che fai? Ti sei cucito la bocca e inghiotti il rospo come fanno tutti. Sai cosa mi ha scritto mio padre prima che lo fucilassero? “Per essere libero, ricordati, devi imparare a ribellarti. E se le leggi sono ingiuste non è solo tuo diritto, ma tuo dovere disubbidirle.”
A distanza di un paio di mesi torniamo a parlare di poliziottesco su Obsploitation, e lo facciamo tirando in ballo uno dei più grandi registi del genere, vale a dire il mitico Enzo G. Castellari, autore di pellicole ormai elevate a stato di cult quali “La polizia incrimina, la legge assolve” (1973) e il qui presente “Il cittadino si ribella” (1974). Non è tuttavia il poliziottesco il genere per cui forse la maggior parte degli appassionati di cinema delle nuove generazioni conoscono Enzo G. Castellari. Sebbene infatti il regista romano sia stato uno dei nostri maggiori talenti nei decenni Settanta e Ottanta, il suo nome ritornò in auge solo pochi anni fa grazie alla pubblicità che ne fece Quentin Tarantino, il quale, presentando al Festival di Cannes il suo “Bastardi senza gloria” (Inglourious Basterds, 2009), non poté esimersi dal citare il nostro come fonte assoluta d’ispirazione. A beneficio di coloro a cui fosse sfuggito, “Bastardi senza gloria” altro non è che il titolo di produzione del film che Castellari avrebbe in seguito portato nelle sale italiane con il titolo di “Quel maledetto treno blindato” (1978), ma che a livello internazionale mantenne invece la denominazione originale (Inglourious Basterds, appunto). Potrei stare qui giorni interi a parlare di Enzo G. Castellari e delle sue opere ma, vista la sua monumentale filmografia, così ricca di figate, credo che avrò l’occasione altre volte in futuro di tornare a parlarne qui su Obsploitation.
Oggi ci concentriamo invece su “Il cittadino di ribella”, e lo facciamo con cognizione di causa in quanto, come vedremo, troveremo alcuni interessanti collegamenti con “Banditi a Milano” (1968) di Carlo Lizzani, pellicola capostipite del genere poliziottesco di cui abbiamo già ampiamente parlato qui.
Ma anche “Il cittadino di ribella” a suo modo può vantare di essere un capostipite di genere: quello che vede un comune cittadino che, stanco delle ingiustizie della società e dell’inefficienza delle istituzioni, ad un certo punto sbarella e decide di farsi giustizia da sé. La pellicola più nota all’interno di questo sottogenere è senz’ombra di dubbio “Il giustiziere della notte” (Death Wish, 1974) di Michael Winner, con Charles Bronson nella parte del vigilante fuori controllo. La ricordate tutti, no? E come potrebbe essere altrimenti? L’uscita nelle sale delle due pellicole fu grossomodo simultanea ma, sebbene “Il giustiziere” uscì in anteprima negli Stati Uniti nel mese di luglio, esso arrivò nelle sale italiane solo a Natale, il che tecnicamente rende il nostro “Cittadino” (sbarcato già a settembre) il primo vero “citizen revenge movie” che il nostro paese abbia conosciuto.
Siamo a Genova. L’ingegner Carlo Antonelli (interpretato da un magistrale Franco Nero) si reca presso un ufficio postale per ritirare un pacco contrassegno a lui destinato. In quel mentre fanno irruzione tre individui armati e mascherati che seminano il panico tra i presenti. Sorpreso nel cercare di recuperare il proprio denaro, lasciato sul bancone, Antonelli viene pestato dai malviventi i quali, al momento della fuga, non esitano a trascinarlo con loro come ostaggio. Nel corso di un rocambolesco inseguimento tra le strade del centro, il nostro protagonista viene ripetutamente sottoposto ad una inaudita quanto ingiustificata violenza, per essere lasciato infine in stato di shock nell’auto abbandonata dai rapinatori al termine della fuga.
La molla in Carlo scatta quando, recatosi alla polizia assieme alla moglie Barbara (Barbara Bach) per sporgere denuncia, si trova a dover avere a che fare con l’inesplicabile comportamento del commissario (interpretato dal leggendario Renzo Palmer), il quale dimostra di non poter (voler) far nulla per risolvere il caso, consigliandogli di dimenticare alla svelta e smetterla di chiedere quella giustizia che, a quanto sembra, non è uguale per tutti.
Il nostro protagonista è tuttavia un personaggio molto diverso da quel Paul Kersey, il “giustiziere della notte” interpretato da Charles Bronson nella già citata pellicola americana: mentre quest’ultimo era dipinto come un vendicatore inarrestabile, pronto a uccidere senza tradire la minima emozione, né paura, né rimorsi, il nostro Carlo Antonelli è una persona molto più simile a quel cittadino comune del titolo, un individuo come tanti altri, con tutti i suoi dubbi e le sue paure.
“L’unico modo di vincere la paura è fare quello di cui si ha paura” dice il protagonista alla moglie nella battuta forse più significativa di tutto il film. E sarà proprio il suo saper affrontare la paura la chiave di lettura di tutto il film. Carlo cerca di inserirsi nel mondo della malavita, dapprima in modo goffo (e rimediando di conseguenza un sacco di schiaffi), poi con più accortezza, soppesando ogni passo, studiando e valutando pro e contro. Nella sua battaglia il nostro eroe non rimarrà a lungo solo: egli incontrerà Tommy (il compianto Giancarlo Prete), un giovane delinquentello che, nolente prima, volente poi, si schiererà al suo fianco. Carlo Antonelli riuscirà infine a guadagnarsi la propria resa dei conti, ma il finale sarà tutt’altro che lieto, sebbene un piccolo spiraglio di speranza, allo spettatore, non viene negato.
Il “cittadino si ribella” si discosta quindi nettamente, e in tutti i sensi, dal suo contemporaneo americano. Sin dalla prima scena Enzo G. Castellari mette le cose in chiaro (e le mani avanti), dissociandosi immediatamente dalle inevitabili accuse di aver girato un film troppo “di destra” in un periodo storico così tendenzialmente “di sinistra”. Quella frase che ho riportato all’inizio del post ne è la conferma: cittadino ribelle sì, ma con una morale diametralmente opposta a quella del tradizionale giustiziere in tuta mimetica.
Un film che, anche per questo, si distingue all’interno del genere poliziottesco ma che, di contro, ne fa spesso il verso. Le citazioni del “Banditi a Milano” (1968) di Carlo Lizzani, come dicevo prima, si sprecano. I tre rapinatori sono, tanto per dirne una, specialisti in “triplete”, esattamente come la banda di Pietro Cavallero che insanguinò Milano nell’autunno del 1967 (episodio rievocato appunto dal film di Lizzani). Il termine “triplete”, che nulla a che fare con il calcio, significa tre banche rapinate in un lasso di tempo brevissimo (mentre la polizia fa irruzione in una banca, i banditi stavano già rapinando quella successiva). Un'altra analogia, tutto sommato forse casuale, è la decisione di gettarsi in centro città nella scena dell’inseguimento (in entrambi i film uno dei rapinatori dice al complice alla guida: “dirigiti verso il centro che li seminiamo”).
Un grande film, insomma, ricco di emozioni obsploitation che molto ben si adatta a questo contesto blogghereccio. Un grande film a cui sono particolarmente legato, avendolo visto e rivisto un sacco di volte a partire da quando ero ancora un imberbe ragazzino delle scuole medie. E a questo punto, come qualcuno dei miei lettori più assidui non mancherà di pensare, non posso esimermi dall’inserire la mia solita piccola nota di colore, quel piccolo particolare personale a cui, come sapete, tengo moltissimo: quando vidi la prima volta “Il cittadino si ribella” ne rimasi talmente folgorato che venne voglia anche a me di diventare un piccolo giustiziere. Feci esattamente quello che aveva fatto il mio eroe Franco Nero all’inizio delle sue indagini: raccolsi una manciata di quotidiani e iniziai a ritagliare le foto segnaletiche di banditi e rapinatori. Le ritagliai e le incollai con cura su un’agenda. Un’agenda che poi mi portavo pure a scuola. Naturalmente non feci nulla più di questo, ma tanto mi bastava per sentirmi un supereroe. I miei genitori naturalmente non capivano, ma credo ormai fossero abituati a non farsi troppe domande. E nemmeno io, tanti anni dopo, mi guardo bene dal farmele.
A distanza di un paio di mesi torniamo a parlare di poliziottesco su Obsploitation, e lo facciamo tirando in ballo uno dei più grandi registi del genere, vale a dire il mitico Enzo G. Castellari, autore di pellicole ormai elevate a stato di cult quali “La polizia incrimina, la legge assolve” (1973) e il qui presente “Il cittadino si ribella” (1974). Non è tuttavia il poliziottesco il genere per cui forse la maggior parte degli appassionati di cinema delle nuove generazioni conoscono Enzo G. Castellari. Sebbene infatti il regista romano sia stato uno dei nostri maggiori talenti nei decenni Settanta e Ottanta, il suo nome ritornò in auge solo pochi anni fa grazie alla pubblicità che ne fece Quentin Tarantino, il quale, presentando al Festival di Cannes il suo “Bastardi senza gloria” (Inglourious Basterds, 2009), non poté esimersi dal citare il nostro come fonte assoluta d’ispirazione. A beneficio di coloro a cui fosse sfuggito, “Bastardi senza gloria” altro non è che il titolo di produzione del film che Castellari avrebbe in seguito portato nelle sale italiane con il titolo di “Quel maledetto treno blindato” (1978), ma che a livello internazionale mantenne invece la denominazione originale (Inglourious Basterds, appunto). Potrei stare qui giorni interi a parlare di Enzo G. Castellari e delle sue opere ma, vista la sua monumentale filmografia, così ricca di figate, credo che avrò l’occasione altre volte in futuro di tornare a parlarne qui su Obsploitation.
Oggi ci concentriamo invece su “Il cittadino di ribella”, e lo facciamo con cognizione di causa in quanto, come vedremo, troveremo alcuni interessanti collegamenti con “Banditi a Milano” (1968) di Carlo Lizzani, pellicola capostipite del genere poliziottesco di cui abbiamo già ampiamente parlato qui.
Ma anche “Il cittadino di ribella” a suo modo può vantare di essere un capostipite di genere: quello che vede un comune cittadino che, stanco delle ingiustizie della società e dell’inefficienza delle istituzioni, ad un certo punto sbarella e decide di farsi giustizia da sé. La pellicola più nota all’interno di questo sottogenere è senz’ombra di dubbio “Il giustiziere della notte” (Death Wish, 1974) di Michael Winner, con Charles Bronson nella parte del vigilante fuori controllo. La ricordate tutti, no? E come potrebbe essere altrimenti? L’uscita nelle sale delle due pellicole fu grossomodo simultanea ma, sebbene “Il giustiziere” uscì in anteprima negli Stati Uniti nel mese di luglio, esso arrivò nelle sale italiane solo a Natale, il che tecnicamente rende il nostro “Cittadino” (sbarcato già a settembre) il primo vero “citizen revenge movie” che il nostro paese abbia conosciuto.
Siamo a Genova. L’ingegner Carlo Antonelli (interpretato da un magistrale Franco Nero) si reca presso un ufficio postale per ritirare un pacco contrassegno a lui destinato. In quel mentre fanno irruzione tre individui armati e mascherati che seminano il panico tra i presenti. Sorpreso nel cercare di recuperare il proprio denaro, lasciato sul bancone, Antonelli viene pestato dai malviventi i quali, al momento della fuga, non esitano a trascinarlo con loro come ostaggio. Nel corso di un rocambolesco inseguimento tra le strade del centro, il nostro protagonista viene ripetutamente sottoposto ad una inaudita quanto ingiustificata violenza, per essere lasciato infine in stato di shock nell’auto abbandonata dai rapinatori al termine della fuga.
La molla in Carlo scatta quando, recatosi alla polizia assieme alla moglie Barbara (Barbara Bach) per sporgere denuncia, si trova a dover avere a che fare con l’inesplicabile comportamento del commissario (interpretato dal leggendario Renzo Palmer), il quale dimostra di non poter (voler) far nulla per risolvere il caso, consigliandogli di dimenticare alla svelta e smetterla di chiedere quella giustizia che, a quanto sembra, non è uguale per tutti.
Il nostro protagonista è tuttavia un personaggio molto diverso da quel Paul Kersey, il “giustiziere della notte” interpretato da Charles Bronson nella già citata pellicola americana: mentre quest’ultimo era dipinto come un vendicatore inarrestabile, pronto a uccidere senza tradire la minima emozione, né paura, né rimorsi, il nostro Carlo Antonelli è una persona molto più simile a quel cittadino comune del titolo, un individuo come tanti altri, con tutti i suoi dubbi e le sue paure.
“L’unico modo di vincere la paura è fare quello di cui si ha paura” dice il protagonista alla moglie nella battuta forse più significativa di tutto il film. E sarà proprio il suo saper affrontare la paura la chiave di lettura di tutto il film. Carlo cerca di inserirsi nel mondo della malavita, dapprima in modo goffo (e rimediando di conseguenza un sacco di schiaffi), poi con più accortezza, soppesando ogni passo, studiando e valutando pro e contro. Nella sua battaglia il nostro eroe non rimarrà a lungo solo: egli incontrerà Tommy (il compianto Giancarlo Prete), un giovane delinquentello che, nolente prima, volente poi, si schiererà al suo fianco. Carlo Antonelli riuscirà infine a guadagnarsi la propria resa dei conti, ma il finale sarà tutt’altro che lieto, sebbene un piccolo spiraglio di speranza, allo spettatore, non viene negato.
Il “cittadino si ribella” si discosta quindi nettamente, e in tutti i sensi, dal suo contemporaneo americano. Sin dalla prima scena Enzo G. Castellari mette le cose in chiaro (e le mani avanti), dissociandosi immediatamente dalle inevitabili accuse di aver girato un film troppo “di destra” in un periodo storico così tendenzialmente “di sinistra”. Quella frase che ho riportato all’inizio del post ne è la conferma: cittadino ribelle sì, ma con una morale diametralmente opposta a quella del tradizionale giustiziere in tuta mimetica.
Un film che, anche per questo, si distingue all’interno del genere poliziottesco ma che, di contro, ne fa spesso il verso. Le citazioni del “Banditi a Milano” (1968) di Carlo Lizzani, come dicevo prima, si sprecano. I tre rapinatori sono, tanto per dirne una, specialisti in “triplete”, esattamente come la banda di Pietro Cavallero che insanguinò Milano nell’autunno del 1967 (episodio rievocato appunto dal film di Lizzani). Il termine “triplete”, che nulla a che fare con il calcio, significa tre banche rapinate in un lasso di tempo brevissimo (mentre la polizia fa irruzione in una banca, i banditi stavano già rapinando quella successiva). Un'altra analogia, tutto sommato forse casuale, è la decisione di gettarsi in centro città nella scena dell’inseguimento (in entrambi i film uno dei rapinatori dice al complice alla guida: “dirigiti verso il centro che li seminiamo”).
Un grande film, insomma, ricco di emozioni obsploitation che molto ben si adatta a questo contesto blogghereccio. Un grande film a cui sono particolarmente legato, avendolo visto e rivisto un sacco di volte a partire da quando ero ancora un imberbe ragazzino delle scuole medie. E a questo punto, come qualcuno dei miei lettori più assidui non mancherà di pensare, non posso esimermi dall’inserire la mia solita piccola nota di colore, quel piccolo particolare personale a cui, come sapete, tengo moltissimo: quando vidi la prima volta “Il cittadino si ribella” ne rimasi talmente folgorato che venne voglia anche a me di diventare un piccolo giustiziere. Feci esattamente quello che aveva fatto il mio eroe Franco Nero all’inizio delle sue indagini: raccolsi una manciata di quotidiani e iniziai a ritagliare le foto segnaletiche di banditi e rapinatori. Le ritagliai e le incollai con cura su un’agenda. Un’agenda che poi mi portavo pure a scuola. Naturalmente non feci nulla più di questo, ma tanto mi bastava per sentirmi un supereroe. I miei genitori naturalmente non capivano, ma credo ormai fossero abituati a non farsi troppe domande. E nemmeno io, tanti anni dopo, mi guardo bene dal farmele.
Uno dei miei film preferiti, in assoluto.
RispondiEliminaItalianissimo, ragionato, perfetto.
Azione e adrenalina, una sparatoria finale sublime, e personaggi molto ben delineati (anche Tommy, forse il mio preferito).
Epica la scena finale.
Musiche sublimi.
Ah, complimenti per quel che facevi alle medie :p
Moz-
Le musiche! Ecco di cosa mi son dimenticato di parlare! E pensare che è una settimana che me le sto riascoltando a nastro per meglio entrare nell’atmosfera del post…..
EliminaAhahah! :)
EliminaI titoli di testa sono fantastici, con quegli atti criminosi, i ralenti e i fermo immagine^^
Moz-
I ralenti e i fermo immagine sono un altro punto di cui non ho parlato. Porca miseria! ...e sì che sono pure un marchio di fabbrica inconfondibile di Castellari.
EliminaOh, un giustiziere mancato per un soffio! Tra l'altro Obsidian Mirror sarebbe stato un nome magnifico da portare ;D
RispondiEliminaTrovi?
EliminaE' dura gestire due blog in contemporanea?
RispondiEliminaLa verità? La verità è che gestire due blog è i-m-p-o-s-s-i-b-i-l-e !
EliminaA meno che uno dei due, come nel mio caso, venga relegato ad un ruolo più che marginale. All'inizio mi ero ripromesso che non sarei mai finito per sottrarre tempo al blog principale, a costo di pubblicare qui solo un post o due al mese. E così ho fatto (sto facendo). Però c'è un però. Un però che mi assilla.
Adesso ad ogni modo è un po' troppo presto per tirare delle somme anche se minime, ma prima o poi dovrò capire se la direzione è quella giusta.