sabato 8 marzo 2014

Flavia la monaca musulmana

Dopo una breve pausa il blog riapre i battenti e, in occasione dell’otto marzo, coglie l’occasione per andare a rispolverare un film che, sebbene oggi sia quasi dimenticato, può giustamente ergersi a simbolo dell’orgoglio femminile, a simbolo di rivolta nei confronti dell’innato condizionamento repressivo della società in cui viviamo. Chi capita qui per caso potrebbe ritenere quasi ironico un post dedicato alle donne in un blog che si definisce “obsploitation”, ma grazie al cielo i miei lettori sono gli stessi che da tempo mi seguono su Obsidian Mirror e, per quanto ho fatto e scritto in questi anni, credo non possa esserci alcun dubbio sulla mie reali intenzioni.
Celebriamo quindi questa giornata con un articolo dedicato ad una donna, Flavia Gaetani. Un’eroina del XIV secolo di cui si è perso anche il ricordo, tanto è difficile, se non impossibile, trovarne qualche riferimento certo nel web. L’unico risultato che emerge digitando il nome di Flavia Gaetani in un qualsiasi motore di ricerca è infatti il film biografico che fu girato da Gianfranco Mingozzi nel 1974. Questa incredibile lacuna lascia diversi dubbi sulla veridicità storica della figura della nostra eroina, ma tutto sommato è forse più importante il messaggio che la sua enigmatica figura è riuscita in qualche modo a tramandare, un segnale forte di orgoglio femminile che esplode all’interno di una società sessista. Una società sessista oggi forse più di allora e che, fuor di retorica, ci porta al post di oggi.

Gianfranco Mingozzi, dicevamo, sembrerebbe essere l’unico testimone del passaggio della nostra protagonista  su questa terra, e descrivendo il film ne riferisce usando queste parole:  «È una storia del ’300 ispirata alle vicende di una monaca realmente esistita, Flavia Gaetani, che abbandonò  il velo impostole dal padre per seguire le truppe musulmane durante una delle loro innumerevoli scorribande lungo le coste della Puglia. Una rivolta disperata, solitaria che non potrà che finire tragicamente. [...] Ho cercato di raccontare questa complessa materia (il mondo medievale, il mondo orientale che irrompe nella chiusa Italia del Sud) come una favola drammatica in cui gli elementi tipici, obbligati (personaggi violenti, battaglie, visioni, fanatismi, torture, sesso, sangue...) perdessero i connotati di una realtà immediatamente riconoscibile, ma si presentassero tutti assommati come un grande quadro, in cui a poco a poco i singoli episodi si evidenziassero da soli e si disponessero secondo un ordine dato dalla loro forza visiva, di colore, sonora». (fonte)

Ed è proprio un bellissimo quadro quello dipinto dal regista bolognese. La forza che egli definisce “visiva, di colore, sonora” è praticamente perfetta e non può che lasciare a bocca aperta anche colui che si accosta a questo film con un pizzico di pregiudizio. Estremamente suggestiva e surreale una sequenza di una decina di minuti, verso il finale, che raggiunge il suo climax con la ragazza nuda che entra nel ventre di una mucca squartata, scena che verrà riproposta (involontariamente?) nel cavalloniano Maldoror l’anno successivo.
Suoni e visioni, silenzi assordanti e oscurità accecanti. Tecnicamente Mingozzi ha preceduto i più grandi registi del suo secolo, riuscendo a sottolineare il suono con la luce e la luce con il suono. Quando tutto torna normale, quando il surrealismo lascia spazio alla narrazione, sembra di emergere da un’apnea nella quale non ci eravamo nemmeno accorti di essere finiti. Le porte del convento si spalancano, il vento entra prepotente e noi ritorniamo con i piedi per terra. La musica che ci stava ipnotizzando si interrompe bruscamente, come se qualcuno avesse agito sul telecomando. Ma dove eravamo finiti? Mingozzi ci aveva trascinato all’inferno e noi nemmeno ce ne eravamo resi conto.

Ma torniamo a Flavia Gaetani, la monaca eretica protagonista del film e di questo piccolo “speciale” dedicato all’otto marzo. Possiamo definirla una protofemminista, una figura forse eccessivamente sopra le righe e quasi irreale per il contesto in cui viene a trovarsi. C’è nel film una frase fondamentale che riassume praticamente tutto, e che viene pronunciata da una monaca anziana durante lo sbarco dei turchi in quel di Otranto: “Cosa ci possono fare i musulmani che i cristiani non ci hanno già fatto?". Proprio così: c’è una forte componente anticlericale in “Flavia la monaca musulmana”. Quello che in realtà i musulmani, storicamente, hanno fatto alle donne non è stato molto dissimile, e qui sta l’ironia di una storia di rivalsa che in realtà non è tale (Flavia non fa che cadere dalla padella nella brace, rischiando di divenire schiava del chador al posto del velo monacale; la donna fa fatica a dominare l’uomo per ragioni culturali, emotive e fisiche,ed è emblematica in tal senso è la scena in cui una giovane viene sollecitata ad abusare del suo violentatore, ma finisce per essere nuovamente abusata da lui). Il tema è molto interessante e meriterebbe un approfondimento migliore di quello che mi è possibile offrire in questa sede. Non posso perciò che invitarvi a cercare da voi le tracce di tutto ciò disseminate in tutta la seconda parte della pellicola, e a trarne le debite considerazioni.

Sullo sfondo alle vicende di Flavia Gaetani vi è la celebre battaglia di Otranto del 1480, data in cui un esercito ottomano aggredì la cittadina salentina massacrando senza pietà la popolazione: donne stuprate e uccise, bambini uccisi o ridotti in schiavitù, uomini sottoposti a torture inenarrabili e infine uccisi. Come segno di disprezzo nei confronti della religione cristiana gli invasori trasformarono la locale cattedrale in una stalla per i propri cavalli. Una vicenda tra le più sconvolgenti della nostra storia. Oggi, presso quella stessa cattedrale, vengono conservate le reliquie di ottocento eroici cittadini che si rifiutarono di rinnegare la religione cristiana e che per tale motivo furono uccisi nel peggiore dei modi possibili (credo sia opportuno risparmiarvi i dettagli).
La storia di Flavia, suora non per vocazione ma per costrizione, ci viene mostrata a partire da qualche tempo prima dei suddetti avvenimenti. Costretta dal padre all’abito monacale nel tentativo di smorzare il suo atteggiamento ribelle nei confronti del sistema maschilista, ella troverà dapprima in un servo ebreo il complice di un (fallito) tentativo di fuga, e in seguito ci riproverà con il capo dell’esercito musulmano (del quale diverrà l’amante).
Il prezzo della libertà sarà tuttavia estremamente alto per Flavia che, dopo aver assistito all’uccisione del padre e al massacro dei suoi concittadini, verrà abbandonata al suo destino. Destino tragico, considerato che verrà infine giudicata e condannata da un tribunale ecclesiastico ad essere scuoiata viva.
Vi sono inoltre diversi altri spunti che Gianfranco Mingozzi ha ben sollevato, primo tra tutti la vicenda della cosiddette “tarantolate”, una storia tutta medioevale, caratteristica esclusiva del nostro sud, nella quale una (presunta) patologia si fonde con un (evidente) pregiudizio.

Un film di grande impatto emotivo e sociale, considerato il periodo in cui venne presentato. Vale la pena ricordare che le donne avevano ancora negli occhi le violenze dell’8 marzo del 1972 quando, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, vennero brutalmente caricate dalla polizia. Vale la pena ricordare il procedimento giudiziario intentato nel 1973 contro la diciassettenne Gigliola Pierobon che, a causa di un aborto clandestino, fu accusata di delitti contro l'integrità e la sanità della stirpe. Varrebbe la pena ricordare mille altri episodi, ma lo spazio è poco e il tempo ancora meno.
È tuttavia singolare il fatto che “Flavia la monaca musulmana” uscì nelle sale il 13 aprile del 1974, esattamente un mese prima che gli italiani si recassero alle urne per il famigerato referendum, invocato a gran voce da DC e MSI, di abrogazione della legge Fortuna-Baslini (più comunemente conosciuto come referendum sul divorzio). La storia ci dice che partecipò al voto l'87,7% degli aventi diritto, e che votarono no il 59,3% di questi ultimi, consentendo alla legge sul divorzio di rimanere in vigore.
Chissà, ci piace pensare che il film di Mingozzi possa aver in parte contribuito a questa importante vittoria della democrazia, e che magari possa aver successivamente trascinato anche la mobilitazione per il riconoscimento del diritto all'aborto, che venne approvato dal Parlamento il 6 giugno 1978 (e confermato il 17 maggio 1981 respingendo il solito, odioso, tentativo di abrogazione della legge tramite consultazione referendaria).

11 commenti:

  1. Questo film lo conosco solo per via della scena della donna nella vacca, ovviamente per riflessio su Maldoror. Non sapevo nemmeno di cosa parlasse davvero, tale pellicola.
    Ottimo viaggio in un giorno azzeccato ;)

    P.s. se vuoi vedere i miei film... passa da me ;)

    Moz-

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono appena passato. Hai avuto davvero un'idea geniale. Ora non ti resta che aggiungere alla tua meravigliosa collezione anche questo "Flavia" che, ti assicuro, offre molto di più della celeberrima scena della vacca (celeberrima solo di riflesso, tra l'altro, come hai giustamente notato).

      Elimina
    2. Beh, pensavo di comperare qualche esponente della nunsploitation, magari un mix come Flavia ci sta tutto! :)
      Continua a suggerire titoli, eh!^^

      Moz-

      Elimina
  2. "Quando tutto torna normale, quando il surrealismo lascia spazio alla narrazione, sembra di emergere da un’apnea nella quale non ci eravamo nemmeno accorti di essere finiti."... Non potevi descriverlo meglio quel momento, la sensazione che lascia è proprio quella di risvegliarti di colpo da una dimensione onirica. Tra l'altro pensa che il film, nelle sue riedizioni col tempo aveva subito tagli non da poco proprio per quelle sequenze. La prima volta che ebbi la fortuna (o la sfortuna) di vederlo fu grazie a una registrazione di Sky. Ecco, quei dieci minuti surreali mancavano totalmente (scoperti precedentemente tramite dei fotogrammi in rete su un sito che ora non esiste più) e non riuscivo quindi a collegare da quale punto fossero stati estrapolati, visto che il film, privato di quella "parentesi" resta tutto sullo stesso piano, omogeneo sia esteticamente che per narrazione. Fortunatamente, col tempo sono riuscito a recuperare proprio il dvd import della "synapse", completo di tutti i suoi 101 minuti. Comunque, grande film obsidian, e recensione necessaria, pregna di curiosità interessanti. E a tal proposito, di Mingozzi ricordo di aver proprio visto il cortometraggio "La Tarantola", ma è passato molto tempo, dovrò andarlo a ricercare su qualche vecchio dvd ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non riesco ad immaginare questo film privato di quella sequenza. Il criminale che ha deciso di effettuare quel taglio ha trasformato un capolavoro in una pellicola dozzinale, una di quelle pellicole che di solito di guardano mentre si è impegnati a fare altro. Non posso credere che qualcuno abbia potuto fare ciò.
      Ti dirò, è venuta voglia anche a me, mentre scrivevo il post, di recuperare quel corto. Non dovrebbe essere difficile, no? Stai dicendo che esiste su dvd, magari inserito tra gli extra?

      Elimina
    2. Che sappia io no. All'epoca lo recuperai in altri modi, poi l'avevo archiviato su un dvd dati. A ogni modo, e con mia grande sorpresa ora lo trovi qui: http://www.youtube.com/watch?v=z607o3Sk3SY

      Elimina
    3. Il tubo è sempre una fonte inesauribile... Grazie!

      Elimina
  3. Un film che ho visto al momento della sua uscita nelle sale cinematografiche nel 1974 (o forse nel 1975), e più di recente un paio di anni fa. Un vero classico anche se non per tutti... sicuramente non per i deboli di stomaco.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il bello di avere qualche anno in più è il poter dire "ehi, questo l'ho visto al cinema". In un certo senso ti invidio, anche se pensandoci bene, io non sono arrivato poi molto in ritardo rispetto a te (credo fosse il '77 o il '78 quando ho iniziato).

      Elimina
  4. Dev'essere davvero un film da guardare con una certa predisposizione di spirito, a quanto racconti!

    Forse la mia riflessione c'entra poco o nulla, ma ho notato che molti di questi film cosiddetti scandalosi uscirono negli anni '70, forse come reazione a un certo perbenismo e a una buona dose di ipocrisia tipici di quegli anni. Ci sono pellicole violente anche oggi, naturalmente, ma sembrerebbe più una violenza a fini... commerciali.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La violenza nel cinema di oggi è troppo fasulla per lasciare il segno. In quegli anni la violenza che trovavi sul grande schermo era molto più reale, era la stessa che trovavi per le strade, che respiravi nell'aria. Cinema di reazione? Non sono sicuro.

      Elimina