Sono stato a lungo combattuto sull’opportunità di far uscire questo articolo su Obsidian Mirror oppure qui su Obsploitation. Una scelta per nulla facile, visto che “Sei donne per l’assassino”, il film che Mario Bava girò nel ormai lontano 1964, ben si adatta ad entrambi i miei blog, per taluni versi più al primo, per taluni altri più al secondo. Perché? Beh, perché “Sei donne per l’assassino” si può ben definire il miglior esempio di “giallo gotico” che abbiamo o, se visto dalla parte opposta, di “gotico giallo”. Chi mi segue su Obsidian Mirror si ricorderà forse dell’impostazione “gotica” che avevo dato al blog delle origini. Il blog un tempo aveva pure un sottotitolo che diceva pressappoco così: “Piccola antologia del gotico nell’arte, nel cinema e nella letteratura". Nel corso degli anni le cose hanno poi preso binari diversi e Obsidian Mirror si è evoluto in qualcos’altro, ma rimane il fatto che il gotico, e in particolare il gotico visto con gli occhi di Mario Bava, è parte indissolubile del suo DNA. Piccola pubblicità blogghereccia: a chi se li fosse persi suggerisco un click sui post che scrissi a suo tempo su “La maschera del demonio” (1960) e su “La frusta e il corpo” (1963). Chiudo l’inciso. Chi invece ha iniziato a seguire Obploitation dai suoi primi vagiti sa che il lavoro qui sopra vorrebbe tentare di seguire un certo filo logico e, se con “Banditi a Milano” ho inaugurato, a ragione, il filone poliziottesco, quale migliore punto di partenza di “Sei donne per l’assassino", unanimemente riconosciuto come il primo giallo all’italiana della storia.
Secondo una diversa scuola di pensiero Mario Bava avrebbe in realtà inaugurato il filone già due anni prima con il classicissimo “La ragazza che sapeva troppo” (1962), film di indubbio valore che però inserirei più propriamente in una categoria di stampo più, ehm, diciamo “hitchcockiana”, sia per il chiaro riferimento a “L’uomo che sapeva troppo” (1934 e 1956), sia per il tema della follia (come movente, ma non solo), sia per l’utilizzo del bianco e nero che rievoca le atmosfere dei migliori lavori del regista inglese (“Psycho” usciva tra l’altro proprio in quegli anni).
Secondo una diversa scuola di pensiero Mario Bava avrebbe in realtà inaugurato il filone già due anni prima con il classicissimo “La ragazza che sapeva troppo” (1962), film di indubbio valore che però inserirei più propriamente in una categoria di stampo più, ehm, diciamo “hitchcockiana”, sia per il chiaro riferimento a “L’uomo che sapeva troppo” (1934 e 1956), sia per il tema della follia (come movente, ma non solo), sia per l’utilizzo del bianco e nero che rievoca le atmosfere dei migliori lavori del regista inglese (“Psycho” usciva tra l’altro proprio in quegli anni).